Di cuoio e sangue

cuioioLuca osservava il gatto come se potesse suggerirgli come proseguire. Il certosino, sentendosi osservato, aveva aperto gli occhi color ambra, grossi come due fari antinebbia, e, dopo essersi accertato che il mondo se la sarebbe potuta cavare anche senza di lui, si distese in una posizione improbabile e si riaddormentò.
L’uomo continuava a guardare il cursore che lampeggiava ipnotico sul display: il capitolo settimo si rivelava più impegnativo del previsto. La trama complessiva l’aveva bene in mente, anche i personaggi erano sul tavolo, persino quelli secondari, sebbene non tutti. Dopo un inizio fulmineo e un incipit strepitoso ora però si trovava inchiodato come una staccionata di un pascolo dismesso: doveva raccordare la prima parte al momento in cui la storia diventava più densa e, soprattutto, doveva mettere sulla strada dell’investigatore un indizio apparentemente insignificante, ma utile alle indagini; gli venivano in mente però solo idee banali e già sfruttate e la scena che stava curando, inoltre, aveva la consistenza di una maionese impazzita. La cosa più preoccupante era che la scaletta dei tempi per la prima stesura era già saltata e la fiducia di arrivare in fondo con successo si stava sfaldando giorno dopo giorno.
Si alzò dalla scrivania prendendo a camminare per la stanza come faceva di solito quando voleva ritrovare la concentrazione. Dopo qualche minuto, arrivò alla conclusione che doveva distrarsi. Il gatto lo sorvegliava sotto le palpebre socchiuse; quando lo vedeva comportarsi in quel modo lo trovava proprio buffo, sicché decise di lasciarlo fare e di rimanere sdraiato dov’era. In fondo, mancava un’ora buona ai croccantini della sera.
Luca scese allora alla libreria sotto casa. Respirare l’aria della carta stampata aveva sempre un buon effetto sul suo umore e, magari, avrebbe potuto comprare anche qualche buon libro. Nella sezione novità vide che era uscito l’ultimo lavoro del suo scrittore di gialli preferito. Lo sfogliò qua e là. Quello sì che era scrivere! Dopo tanti bestsellers, la prosa era ancora fresca, il linguaggio preciso, la capacità descrittiva intatta. Anche la trama era interessante e originale. Posò il tomo di più di seicento pagine provando ammirazione mista a invidia. A giudicare poi da tutti quegli altri libri accatastati davanti a lui, c’era evidentemente chi non sapeva neppure cosa fosse il blocco dello scrittore. Gli stava venendo il nervoso. Non era stata una buona idea, dopo tutto, entrare lì dentro. ‘Di cuoio e sangue’, lesse su una copertina mentre stava andando via. Bel titolo! Perché non era venuto in mente a lui? Sarebbe stato perfetto per il suo thriller. Anche la copertina non era affatto male. Una foto accattivante, semplice, ma accattivante. Sarebbe stata l’ideale anche quella. Il libro era di un certo ‘Mister Parker’. Strano, pensò, anche il mio gatto si chiama così e gli venne da sorridere. Scorse qualche pagina e impallidì. Era la sua storia, parola per parola. Scritta molto meglio di quello che fino a quel momento aveva potuto fare: ma non c’era dubbio, era la sua storia. Anche i personaggi erano gli stessi e la trama identica. Andò al capitolo settimo dove si era fermato poco prima seduto alla sua scrivania e lesse il seguito. Ma sì, certo, come aveva fatto a non pensarci? Era quella la soluzione giusta e geniale! Come aveva fatto questo tizio a copiargli il manoscritto, proprio mentre lo stava scrivendo? Diede un’occhiata alle note biografiche dell’Autore. Mister Parker era ovviamente uno pseudonimo, ma tutte le indicazioni riportavano a lui: anno di nascita, età, scuole, hobby, persino i (pochi) premi letterari vinti. Mister Parker era lui! Ma cosa stava succedendo?
Tornato a casa, sotto lo sguardo accondiscendente del certosino, lesse il libro tutto d’un fiato. Le sue idee c’erano tutte. Sembrava il ‘suo’ libro sei mesi dopo, con tanto di editing raffinato. Gli batteva forte il cuore. Non è che questa è una di quelle vicende che, come nei film peggiori, alla fine, suonerà alla porta il diavolo che in cambio del libro vorrà la mia anima? Si domandò inquieto. Non sto sognando, pensò, ne sono sicuro; ho questo maledetto blocco da settimane e ora ho la possibilità di copiare da me stesso. Non è possibile! Cosa c’è sotto? Ci rifletté sopra. A pensarci bene, anche se avesse voluto, non sarebbe stato più in grado di tornare indietro: era già debitore di chi gli aveva fatto trovare il ‘suo’ libro. Era in trappola. Grazie a quella lettura, poteva con facilità continuare a scrivere spedito tutto il resto del romanzo. Ma sì, pensò, che male ci potrà mai essere? Non è forse già scritto da me? Tanto valeva approfittarne. Il libro era stupendo, ne sarebbe uscito un capolavoro che lo avrebbe definitivamente imposto sulla scena letteraria. E poi quella era l’unica copia che aveva visto in libreria. Com’era capitata lì non era affar suo. Al resto ci avrebbe pensato poi. L’importante era che il libro fosse saldamente nelle sue mani e che potesse concludere il lavoro nei tempi previsti.
Si mise alla scrivania e non fece altro che ricopiare al computer il testo del ‘suo’ libro. Gli sembrava di fare qualcosa di disonesto anche se trovava paradossale copiare da se stesso e sentirsi nel contempo in colpa.
Stava ‘scrivendo’ febbrilmente il ventesimo capitolo quando sentì suonare alla porta. Il gatto fece un salto dallo spavento e si mise a soffiare in direzione dell’ingresso. Luca capì che non era di buon auspicio. In preda a un pessimo presentimento andò ad aprire. Nel quadro della porta apparve un uomo vestito di scuro, né giovane né vecchio, gli occhiali a specchio che gli coprivano il volto insieme a una folta barba nera e una sigaretta accesa penzolante all’angolo della bocca.
«Sono qui per il libro» disse in modo secco senza tanti preamboli.
Ecco, ci siamo, pensò Luca. «Libro? Quale libro?» provò a mentire.
«Non faccia il furbo: il libro di Mister Parker, quello che ha preso in negozio…» disse l’uomo in scuro con un mezzo sorriso storto: la cenere gli cadde per terra.
«Ah, quello…»
«Si proprio quello… »
Luca si guardò in giro, impacciato, non sapeva che dire. Poi, fece un lungo respiro e, pronto a tutto, disse in modo grave: «Va bene, ha vinto lei. Cosa devo fare?»
«Se ne è andato senza pagarlo. Lei è un buon cliente della libreria e il principale sa quanto lei sia distratto. Mi hanno mandato su a dirglielo. Se potesse per cortesia passare in negozio per regolare…»

Una brillante strategia di marketing

La biondina tutta boccoli lo guardò quasi fosse una radiografia; allungò la mano per afferrare svogliatamente il libro che il ragazzo aveva scelto dallo scaffale per il prestito.
«La tessera?» chiese lei in modo amorfo.
Il ragazzo, ubbidiente, la estrasse dal portafoglio e gliela consegnò. Le formalità si esaurirono in pochi altri secondi e il ragazzo già stava scendendo le scale quando, sfogliando il libro appena ritirato, lo vide aprirsi verso le ultime pagine, proprio là ove si trovava, piegato in due, un biglietto da cinquanta euro. Sgranò gli occhi. Si bloccò. Si voltò indietro casomai qualcuno lo avesse visto. Era solo.
Di lì a qualche giorno, forse perché messa in giro da quello stesso ragazzo per giustificare il ritrovamento, si diffuse la voce che la storica libreria comunale in centro avesse adottato la brillante strategia di marketing di inserire a caso, nei libri dati a prestito, alcune banconote di rilevante taglio. La notizia in un lampo fece il giro di Facebook, di Twitter e di altri social network, tanto che a sera c’era già chi giurava di aver trovato, con lo stesso sistema, anche cento euro e chi un biglietto per il prossimo concerto degli U2.
Quando un mese più tardi il ragazzo tornò a riconsegnare il libro trovò davanti all’entrata della libreria una fila interminabile di persone di ogni età che occupava decine e decine di metri di marciapiede.
«Non capisco cosa stia succedendo» fece il titolare dell’esercizio alla biondina tutta boccoli che aveva appena terminato il turno.
«La gente, lo sai, è imprevedibile» fece lei alzandosi e mettendosi un giubbottino di pelle che le lasciava scoperto il piercing all’ombelico. «Magari tira il caffè su di sopra e poi passano qui per prendersi un buon libro. Ora siamo trendy, ma poi domani… insomma non ci fare la bocca…» disse lei dandogli un’occhiata maliziosa da donna vissuta.
«Sarà! E che dicono che regaliamo soldi: è una cosa da matti…» disse sottovoce cercando di non farsi sentire dalle persone in attesa davanti alla cassa prestiti.
«Sì, è davvero una cosa strana» considerò lei sfilando la borsetta dallo schienale della sedia. «Io invece in questo posto i soldi li perdo solo. L’altro giorno ho utilizzato come segnalibro una banconota falsa da cinquanta euro, regalatami da un amico bancario, e non la trovo più.»

Un nuovo alloggio

Quando quella mattina l’impiegato, con la sua solita indolenza, alzò la serranda della libreria non riusciva a credere ai propri occhi: un barbone, entrato chissà come, da chissà dove, si era fatto un letto di libri in mezzo al salone centrale non facendosi mancare neppure il cuscino. Anzi, con la pila delle ultime novità, si era costruito pure il comodino e lo scendiletto. L’impiegato gli si avvicinò tra l’intimorito e il contrariato. Brandiva l’asta della serranda pronto a contrastare qualsivoglia scomposta reazione. Il barbone gli dava però le spalle ed era assolutamente immobile. Era tutto infagottato nei suoi vestiti rattoppati, con il lungo cappotto tirato fin sotto il naso per ripararsi dall’aria condizionata sempre accesa. L’impiegato si fece coraggio e lo scosse per un braccio: l’altro si svegliò di soprassalto come se fosse ancora nel sonno profondo. Si girò pesantemente passandosi la manica della giacca sugli occhi cisposi che sembrava non riuscisse ad aprire.
«E adesso?» gli fece l’impiegato facendo una panoramica generale del disordine alzando minacciosamente l’asta di metallo come una mazza da baseball. Il barbone lo guardò con occhi spauriti. Poi si tirò su a sedere facendo cadere parte del bordo del letto formato da una fila di classici della letteratura inglese:
«Adesso?!?» ripeté rauco, sbadigliando un alito vinoso da far stordire un topo di fogna. «Ci starebbe proprio bene un buon caffè.»