Nel gorgo vuoto

Era una delle peggiori tempeste che si fossero mai abbattute in quel tratto di mare. Il capitano Kamamura, anziché tornare al porto più vicino, stava proseguendo imperterrito lungo la sua rotta. Non sarebbe mai tornato se non con la stiva piena del quantitativo di pescato pattuito.
Da tempo vi era grande rivalità con Sukato, l’altro comandante di punta della flotta Mutziko, e Sukato aveva fatto sapere a tutti che era seduto già da qualche ora al bar del porto di Shiogama a sfondarsi di sakè visto che aveva appena consegnato una partita eccezionale di merluzzi e tonni.
Kamamura si era chiuso in un mutismo impenetrabile, spezzato unicamente da comandi secchi e precisi. Il suo secondo, Ishikawa, che ben lo conosceva, aveva capito che si preparavano per tutti giorni difficili.
Alle 14.06 dell’ottavo giorno di navigazione il vento rafforzò da est. Una gabbia per granchi reali si frantumò contro la scialuppa numero due lanciando ovunque schegge di bambù e fasciame di barca.
«Perché non l’avete assicurata con una doppia volta di cima…?» gridò rabbioso contro il vento Kamamura. Nessuno l’aveva visto arrivare sul ponte e ora, sotto gli scrosci potenti del maestrale, sembrava un fantasma sorto dal profondo dell’oceano. Formulando quella domanda si era fatto così vicino al suo secondo che sembrava volesse prenderlo a schiaffi. Si limitò però a sputargli addosso tutto il suo disprezzo facendolo vergognare di essere al mondo.
Poi l’imprevedibile.
La gloriosa e rispettata bandiera della flotta Mutziko, dimenticata anch’essa sul pennone, con lo schiocco di una frustata, udibile finanche nel fragore della tempesta, si era liberata del suo sostegno finendo in mare. Il capitano avrebbe potuto sopportare anche l’umiliazione di tornare con la stiva mezza vuota, ma mai di fare rientro senza bandiera. Sarebbe stato per lui un disonore intollerabile e tutti si sarebbero sicuramente presi gioco di lui. Rimase così, immobile, per un tempo sospeso, a fissare quella striscia di stoffa volare nel cielo come un’uria ferita e infilarsi dentro un’onda di diversi metri che subito la avvolse spingendola nel profondo. Poi, come lanciato da una balestra, Kamamura si mise a correre all’impazzata verso la poppa del peschereccio lanciandosi in mare in modo scomposto e senza nemmeno tuffarsi. L’equipaggio a quella scena rimase impietrito. Ishikawa salì subito in cabina per fermare il motore. Occorreva mettere immediatamente in mare una scialuppa, quella rimasta integra, per cercare di salvare il capitano o quantomeno per riportare a bordo il suo corpo.
In pochi secondi, i tre marinai più coraggiosi già si stavano calando tra le onde immense rischiando ad ogni istante di venire spinti contro la fiancata del peschereccio; si portarono a colpi di remi là dove avevano visto sparire l’ultima volta il capitano. Tutto intorno c’erano muri d’acqua, improvvisi crateri e subito dopo montagne inaccessibili. I tre fermarono la scialuppa legandosi agli scalmi per rimanere dentro la barca e guardarsi attorno.
«Ecco lì, eccolo lì» gridò Fukuda all’improvviso mettendosi pericolosamente in piedi. Ora che tutti e tre lo vedevano si diressero in quella direzione a forti colpi di remi. Il capitano agitava trionfante sopra la sua testa la bandiera. Ai marinai parve addirittura che lui stesse sorridendo. E sembrava impossibile perché nessuno, neppure Ishikawa, lo aveva mai visto mutare in qualche modo il suo viso di pietra. Mancavano ormai poche bracciate per raggiungerlo, quando un’ombra scura di proporzioni indefinibili guizzò rapidissima dal fianco di un’onda gigantesca. Tutto si consumò nello spazio di un lampo che squarciò in quel momento il cielo. La massa scura e irreale si abbatté sul capitano prendendo il suo posto nell’acqua nera, lasciando subito dopo solo un gorgo largo e vuoto.
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