Nel paese di Tredicicase

 

Nel paese di Tredicicase c’era fermento. Peter e Sue volevano sposarsi e soprattutto volevano mettere su casa.
«Ennò, proprio non si può…» aveva detto Mastro Anziano scuotendo capelli e barba. «Se costruissimo un’altra abitazione non ci potremmo più chiamare Tredicicase… non sarebbe onesto e poi, se lo venissero a sapere quelli del Governo Centrale?» 
«E chi mai se ne accorgerà» gli fece notare Peter stringendosi alla sua compagna, «abitiamo su un’isola sperduta nell’oceano». 
«Dio lo saprà!» fu la risposta irremovibile. 
Peter e Sue erano disperati e non sapevano che fare. 
«Ci penso io» disse loro Bob il Falegname. «Vi costruirò una barca. Sarà come avere una casa tutta vostra, ma sarà pur sempre una barca: il nome del paese sarà salvo e voi ve ne starete tranquilli nel porticciolo senza dovervene andar via». 
I due fidanzati erano felici. Bob il Falegname era davvero bravo e avrebbe fatto un buon lavoro. Così i due giovani, con la benedizione di tutti, si sposarono e Bob in poco tempo costruì una barca comoda e sicura. 
«Ma non ha timone, né remi, né vele…» gli fece notare Peter tra lo stupito e il meravigliato. 
«E a che ti servono? Non devi mica navigare. La nave sarà meno ingombra. Non avrai alberi e vele tra i piedi, né pericolose aperture sul ponte per remi e timone: i tuoi bambini giocheranno sicuri». 
Mai parole furono di miglior augurio. Sue ben presto rimase incinta e nove mesi più tardi le doglie si fecero sentire rapide e dolorose. Peter salì sul ponte per chiamare aiuto ma un temporale fortissimo lo dissuase ricacciandolo sottocoperta. Si sarebbe arrangiato. Dopo tutto, pensò, la gente di Tredicicase era rude e abituata a far sempre da sola. E ci volle l’intero giorno e l’intera notte e gran parte della mattina successiva perché venisse alla luce un bel bambino. 
«Lo chiameremo Khail» disse lei sfinita. 
«Sì, amore mio, e non avrà mai nulla da temere». 
Lei di lì a poco si addormentò e Peter, avvolto il bambino in una coperta, andò sul ponte. Voleva presentare a tutti il nuovo cittadino di Tredicicase. Splendeva il sole, la tempesta si era acquietata, ma l’isola non c’era più: la barca, senza timone, né remi, né vele era in mare aperto. La tempesta aveva spezzato gli ormeggi.

4 pensieri su “Nel paese di Tredicicase

  1. qualcuno ha deciso che le case dovevano essere esattamente tredici, magari è stato proprio Dio il giorno prima del Diluvio Universale.
    se Dio esistesse, certo.

  2. Nessuna speranza. Nessuna scelta. Sembra non esserci spazio per nulla se non per l’ accetazione di una realtà amara. Questa tua storia è così. Ingiusta come lo è spesso la vita.

  3. …E Dio, come sempre, non stava guardando, mentre la tempesta spezzava gli ormeggi.Avrebbero dovuto costruirla, quella quattordicesima casa: Dio avrebbe continuato ad ignorarlo. No, Dio non lo sa, non lo saprà.
    O avrebbero dovuto cambiare nome all’isola. Perché, a volte, bisogna proprio averlo, il coraggio di crescere. E di cambiare.
    Spira un’aria glaciale, in questo post. Un’atmosfera che ricorre nella tua scrittura. Come di una voce metallica che legge senza incrinare la voce una storia terribile. Un senso di impassibilità narrativa dinanzi alla tragedia che gela.Come se tu scegliessi l’estremizzazione dell’antiemotività per elevare ad ennesima potenza l’effetto emotivo delle tue terribili storie.Sembrano fiabe, sogni. E trafiggono.

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