Sabbia

sabbiaEra cominciato così, come capita un po’ a tutti. Non gli era venuto in mente come si chiamava una certa persona. Eppure c’era stato un periodo in cui l’aveva incontrata spesso. Sarà lo stress da lavoro, la stanchezza, aveva pensato. Passerà.
Poi accadde che iniziò a non ricordare le facce delle persone incontrate poco tempo prima e poi ancora dimenticò del tutto un avvenimento recente che lo aveva riguardato da vicino. Di lì a poco aveva preso a dimenticarsi delle parole comuni come gatto, albero, muro, tavolo e di quello che faceva mentre lo stava facendo. Si spaventò.
Il medico gli aveva fatto una visita completa, gli aveva disposto esami, prescritto cure e medicinali e poi… e poi aveva scosso la testa. Gli disse cosa sarebbe successo in futuro, in quale nebbia la sua mente sarebbe naufragata, come avrebbe vissuto.
No, non era pronto per tutto questo, si disse guardandosi dritto nello specchio. Non era pronto a veder sfaldare il proprio mondo, a dimenticarsi a poco a poco di tutto quello che aveva costruito giorno dopo giorno, a scordarsi dei suoi sogni, dei suoi pensieri, a guardarsi in quello stesso specchio e a non riconoscersi più.
Poi accadde qualcosa. Forse tentò di togliersi la vita. Difficile dirlo e ancora più difficile ricordarlo. L’unica cosa di cui però fu certo è che si risvegliò in un letto d’ospedale, in una stanza dalle luci soffuse, tra tubicini e macchine complicate che facevano beep in modo ritmico e fastidioso. La testa gli doleva. Ma anche tutto il corpo. Sì, stava male, molto male. Il respiro gli diventava sempre più corto a ogni istante e il cuore batteva tanto forte che sembrava volesse scegliere un altro petto in cui pulsare. Chiuse gli occhi proprio mentre il beep era diventato un suono sinistro e continuo.
Si ritrovò così nel bel mezzo di un deserto; i passi lenti e pesanti nella sabbia rossa; il caldo arroventato saliva a vampate sino al viso asciugandogli il sudore non appena affiorava alla pelle. Voleva bere, doveva bere. La collina che aveva appena scalato, come se avesse saputo dove stesse andando, pareva respingerlo a ogni passo e una volta arrivato fin lassù la distesa infinita di sabbia lo avvolse in un abbraccio. Alla sua sinistra, in basso, fuoriusciva qualcosa dalla sabbia. Forse era una pianta. Se l’avesse tagliata avrebbe potuto berne il succo. Scese velocemente, incespicando e ruzzolando, e quando si rialzò era già alla base dell’oggetto misterioso: no, non era un pianta, ma un parallelepipedo di metallo; svettava dalla sabbia verso il cielo incendiato di luce, di sbieco: era un frigo, in mezzo al deserto.
Si avventò sulla portiera a tirare la maniglia. Non si apriva. Si inginocchiò per scavare tutto intorno per poterla liberare dalla sabbia. Il frigo era freddo, ronzava come facesse le fusa: dentro ci dovevano essere per forza delle bevande fresche. Togliendo la sabbia tutt’attorno il frigo si reclinò per poi cadere e rotolare da un lato; il cavo elettrico che lo teneva acceso, sparendo in un punto non distante nella sabbia, lo trattenne. Scavò con foga, noncurante del caldo che lo soffocava, quindi si avventò nuovamente sulla maniglia: era bloccata, forse finanche chiusa a chiave. Cercò di forzare il portello inserendo le dita nell’apertura e poi ancora provò con la maniglia che alla fine si ruppe. Se ne rimase in piedi a guardare il moncone rimastogli in mano come a chiedersi di cosa si trattasse. Si mise a urlare.
«Si calmi, si calmi!»
Lui aprì gli occhi e l’infermiera gli sorrise. «Ora che sta un po’ meglio, non mi faccia però così…» gli disse con aria di finto rimprovero. Lui si guardò attorno. Non rispose.
«Lei è un po’ disordinato, lo sa?» fece la donna prelevando solerte alcuni oggetti che si trovavano sul comodino. Aprì l’armadietto di fronte al letto e li ripose con cura. «Ieri mi è andato in arresto cardiocircolatorio. Pensavamo di averla persa. Poi, per fortuna, ha deciso di rimanere con noi…» Sorrise di nuovo.
«Di rimanere con voi…» ripeté lui, dopo un po’.
«Però una cosa deve proprio spiegarmela» disse lei con un tono tra il simpatico e il serio. «Come mai le sue scarpe nell’armadietto sono così piene di sabbia?»

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hat_gy
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Io sono malato

L’infermiera entrò nella stanza come una furia. Senza guardare diede una manata all’interruttore a muro, grigio di ditate, e azzittì la chiamata: «si può sapere cosa vuole ancora?»
L’uomo con gli occhi chiusi, si agitava nel letto, madido di sudore. «Mi può dare un antidolorifico per la notte?»
«Il medico non ha lasciato prescritto nulla!» disse secca per azzittirlo «… e poi lei non c’ha niente!»
«Come non ho niente!?! Ho dodici punti in gola…»
«Tutte storie. Lo sappiamo benissimo perché lei è qui. Le solite raccomandazioni…».
«Ma cosa dice?» sbottò indicando il fondo del letto «legga la cartella… c’è scritto ogni cosa… ho anche la febbre alta, da ieri, e nessuno se ne preoccupa.»
«Lei è il peggior finto paziente che mi sia mai capitato…» e dicendo questo si girò così velocemente che la crestina bianca tra i capelli le si spostò di lato. L’uomo aspettò nel silenzio che l’infermiera tornasse. Non poteva dire sul serio, non poteva davvero lasciarlo lì in quella condizione.
«Non tornerà» si sentì dire nella penombra accanto a lui.
«Come dice?»
«Lei è nel reparto sbagliato». L’uomo si voltò un poco e vide il profilo di una donna non più giovane che si protendeva verso di lui. «La osservo già da un po’, sa?’: lei deve andare in un altro reparto … a pagamento, s’intende, ma lì i malati ipocondriaci sono presi sul serio… Ho visto i suoi vestiti e il Rolex che ha al polso. Lei è uno che ha mezzi, non perda tempo con noi.»
«Malato ipocondriaco, io? Ma sto male sul serio: mi hanno operato l’altro ieri… due ore di intervento alla tiroide… ho male dappertutto… senta anche la voce com’è rauca!»
«Interpretazione perfetta! Lei è bravissimo, gliene devo dare atto… ma non deve convincere me. Venga, andiamo…» e così dicendo sganciò il freno dalle ruote del letto. «Dobbiamo andar via prima che l’infermiera ritorni».
«Ma dove andiamo?» fece l’uomo preoccupato vedendosi girare tutt’attorno la stanza.
«Nel reparto che le ho detto. Non si preoccupi, ho già fatto la strisciata con la sua carta di credito, il resto lo pagherà a rate, con calma… Vedrà si troverà benissimo».
«Io non voglio andare da nessuna parte! Sono malato sul serio, né ho intenzione di pagare alcunché. Ho il diritto di essere curato gratis, pago le tasse, io, cosa crede?». Il letto, spinto dalla donna, aveva intanto inforcato il corridoio e poi un altro, per poi imbucarsi in un ascensore per lettighe e attraversare un paio di reparti. «Ecco ci siamo!» annunciò la donna trionfante. In un attimo il letto raggiunse una stanza trovando parcheggio in uno spazio vuoto. L’uomo aveva voglia di piangere.
«Allora come lo vuole?» sussurrò un’infermiera apparsa dal nulla mostrando un décolleté vertiginoso profumato di mirra.
«Come dice?» fece lui ancora stordito dalla febbre.
«Come lo vuole l’antidolorifico? Normale, ‘scoppiettante’ o vuole la nostra ”superbumba’?» e strizzò l’occhio.