Pensieri di cartone

 

Entrò in macchina e si aggiustò il sedile. Poi lo mosse nuovamente in avanti e quindi indietro per incastrarlo nella posizione originaria. Fece per togliersi il cappello, ma ci ripensò. La moglie intanto gli si era seduta sul sedile accanto, con la borsa sulla gonna, chiedendosi perché mai non avviasse il motore. L’uomo si mise invece a stringere il volante fino a farsi diventar bianche le dita, lo sguardo fisso dinanzi a sé come se la macchina fosse già nel traffico e non parcheggiata ancora sotto casa.
«È che a volte quando mi sveglio mi sembra di avere un altro me stesso sulle spalle» esordì lui con voce atona e lo sguardo fisso in avanti. «Mi sembra che la vita non abbia più bisogno di me, che scorra ignorandomi per questa mia mediocrità che mi trascino da sempre come una compagna senza illusioni. E il mio corpo… il mio corpo sta appassendo… mi duole la spalla, il ginocchio, le mani, ma soprattutto mi feriscono i miei pensieri che si mettono di traverso come ostacoli da saltare. E sono sempre di più… più ingombranti, indisciplinati, arroganti e io non ce la faccio, non ce la posso più fare…».
La moglie aveva ruotato di qualche grado il busto verso di lui, raccogliendo sul grembo una mano dentro l’altra quasi avesse voluto applaudire; in realtà era la sua solita postura di ascolto mille volte sperimentata con successo con i suoi alunni.
«E la cosa più terribile…» seguitò l’uomo con il collo irrigidito e la voce calante «è che mi sento dannatamente solo…»
La moglie buttò un occhio sul Rolex che le scintillava al polso poi, con un sorriso di cartone, gli mormorò:
«Certo caro… ti capisco… è che si sta facendo proprio tardi».