La borsa grande

Il senegalese, un pezzo d’uomo dalle mani massicce e dallo sguardo paziente, cercava con lena all’interno di un borsone dentro al quale sarebbe potuto comodamente sparire.
«Mi spiace, no borsa grande» disse al termine della ricerca con le braccia aperte come volesse imitare un aereo. Provò anche a sorridere, ma il viso deluso della signora davanti a lui lo faceva star male. «Tu torna alle 6 di pomeriggio» disse l’uomo ciondolando le braccia «conosco amico… procura te borsa».
«A quell’ora devo già essere in aeroporto» fece la donna scrollando una mano tintinnante di gioielli.
«Facciamo veloci, è qui vicino, tu poi torna a casa con borsa grande».
Quando a dieci minuti alle 18 la donna si ripresentò, il senegalese senza dir nulla raccolse da terra tutte le borse tirando i lembi del lenzuolo, come un fagotto. Fece il gesto alla signora di seguirlo. Dopo un paio di stradine strette si fermò sotto la finestra di una casa che si sarebbe detta abbandonata e chiamò qualcuno. Si affacciò un ragazzo cinese e con lui si mise a parlare in un misto di inglese e di un’altra lingua indecifrabile.
«Dice non c’è suo padre» fece il senegalese alla donna.
«E quindi?»
«Quindi, senza padre lui non va in magazzino, padre non vuole». Poi l’extracomunitario riprese a discutere con il ragazzo facendo chiaramente il gesto di sfregare il pollice con l’indice della mano nel segno inequivoco che la cliente aveva i soldi. Il ragazzo si convinse. Scese con le chiavi in mano e, dopo essersi guardato più volte in giro, aprì la basculante di un garage vicino dischiudendo un magazzino pieno zeppo di borse griffate. La signora entrò estasiata.
«Quelle borse, grandi!» fece il cinese con movimenti rapidi della mano come volesse far presto. La donna non sapeva decidersi e girava tra le borse accatastate in tante montagnole, a seconda del tipo e della marca, come per accertarsi fossero vere.
«Voglio quella lì» disse a un certo punto indicando una borsa attaccata al muro.
«Forse non in vendita… non so…» fece il cinese agitato. «Sentire mio padre».
«Devo partire subito» disse di rincalzo la donna mostrando di volersene andare, ma facendo vedere i soldi.
«Va bene, va bene» fece il cinese staccando la borsa dal muro.
«È pesante» notò la donna prendendola in mano.
«Borsa grande, peso grande» disse secco il cinese.
Contenta, la donna pagò. All’aeroporto arrivò in ritardo per il check-in, ma riuscì ugualmente a sbrigare le formalità d’imbarco. Era ormai alla dogana quando un cane lupo, strattonando il guinzaglio dalle mani di un poliziotto, si mise a ringhiare nella sua direzione.
«Cos’ha in quella busta?» la interrogò stentoreo un uomo in tuta mimetica. La donna sbiancò. ‘Che fossero riusciti ad addestrare i cani a fiutare le borse rubate?’ pensò. Il poliziotto raccolse dalle mani della donna la busta da cui estrasse la borsa griffata che aprì. Dentro c’era un sacchetto di plastica trasparente con della polvere bianca. «Questa sarà mezzo chilo di cocaina, signora…»
La donna rimase ammutolita.
«Posso spiegare» balbettò, «glielo assicuro, posso spiegare».

Dialetto cantonese

Lei è Chang Uo Feng?» chiese il postino al cinese che gli aveva aperto la porta.
«No, Deng Tze Yang: lei non azzecca neppure uno.»
«Lei parla bene però l’italiano» commentò il postino.
«Questo fa di me Chang Uo Feng?»
«Certamente no, facevo solo per dire. E chi è Chang Uo Feng?»
«Questa è domanda deve fare lui. Io sono Deng Tze Yang, tu ricorda?»
«Sì, l’avevo capito, ma siccome vedo che la persona che cerco abita a questo numero civico…»
«No, lui è sconosciuto a me. Cosa deve consegnare lui?»
«Niente, niente» fece il postino facendo il gesto di rimettere nella sacca la raccomandata.
«Ma quella è multa» osservò il cinese.
«Penso di sì.»
«Allora dà me che firmo tuo registro.»
«Ma se ha appena detto che non lo conosce!»
«Lui cugino sorella di mia moglie. Lui non saluta me perché lui dice io essere cinese di famiglia povera. Così dico io non conoscere lui. Ma è multa e allora io conoscere molto bene lui, così quando consegno lui multa vedo sua faccia arrabbiata e io contento.»
Il postino diede la raccomandata al cinese facendogli firmare il registro e stava per andarsene quando lo straniero esclamò con disappunto:
«Ma multa essere mia, non di Chang Uo Feng!»
«Sì, lo so» fece sorridendo il postino «il mio collega me l’aveva detto che lei non l’avrebbe presa se avessi detto che era sua. La raccomandata è tornata indietro già troppe volte. Si chiama ‘recapito creativo’, questo. Buona giornata.»
Il cinese se ne rimase per un po’ sulla soglia, interdetto. Poi cominciò ad imprecare alle spalle del postino che non se ne dette però pena. Del resto chi lo capisce il dialetto cantonese?