Jazz & kite

border-collieSandro osservava la scena con occhio critico e non era soddisfatto. Nonostante il vento soffiasse teso si rendeva conto che il suo aquilone non aveva la portanza giusta. Bastava un colpo di vento improvviso e il kite rispondeva male ondeggiando in modo anomalo e vibrando sulla coda. Scosse la testa sbuffando.
Jazz, il suo cucciolo di border collie, si era seduto sulla sabbia a guardare anche lui, con la testa reclinata da un lato, quel curioso oggetto che sventolava temerario sopra la sua testa; per essere divertente, lo era, per cui non comprendeva bene perché il suo padrone avesse quella faccia così tanto corrucciata.
Erano anni, in verità, che Sandro ambiva a costruirsi l’aquilone perfetto. Le prove di volo erano estenuanti, l’assemblaggio maniacale, l’impegno incessante. Si era fatto consigliare sui materiali da usare, aveva letto manuali di volo, aveva fatto ricerche, ma i miglioramenti rimanevano pochi e i risultati frustranti.
Un giorno, parlando con un amico, scoprì tuttavia che era disponibile un tessuto innovativo che le industrie cominciavano a utilizzare nel comparto sportivo. Una sorta di tramato che era più resistente di una muta da sub, ma dieci volte più leggera pur rimanendo modellabile come un foglio di carta. Queste caratteristiche gli avrebbero permesso di alleggerire la struttura, di allungare l’aquilone e di renderlo più aerodinamico. Sì, ci avrebbe provato.
Le prime verifiche al mare diedero risultati eccellenti. L’aquilone appariva più stabile e di maggiore governabilità; s’innalzava in tempi rapidissimi e richiedeva addirittura di salire ancora più in alto se solo avesse avuto a disposizione una corda più lunga. Usando anche per la sagola, lo stesso materiale già impiegato per la copertura, Sandro comprese di essere a una svolta.
Dopo qualche settimana lo studio professionale di Sandro lo mandò a Deauville per un cliente di riguardo. L’occasione per provare il suo nuovo aquilone al vento della Normandia lo elettrizzava. Partì con la macchina e l’inseparabile Jazz; e per fare le cose con calma, si prese addirittura due giorni di ferie.
Giunto sul posto, si rese subito conto che il vento in quel luogo era una cosa seria. Era robusto, mutevole, difficile da domare, ma ricco di stimoli ed emozioni.
I tentativi iniziali furono subito promettenti trovando conferma che le modifiche strutturali apportate erano valide anche per quel vento capriccioso: il nuovo tessuto rispondeva in maniera ottimale. Apportate a ogni fine sessione le nuove messe a punto l’aquilone si dimostrava ora in grado di eseguire complicate evoluzioni abbandonando, a comando, l’alta quota per poi cabrare in picchiata in rapida velocità e risalire subito dopo in modo altrettanto vertiginoso. Aveva l’agilità di una giovane poiana e Sandro non si era mai sentito così fiero; Jazz avvertiva tutta la soddisfazione del suo padrone e gli girava in tondo non smettendo di fargli le feste.
Verso mezzogiorno il tempo peggiorò. Il cielo affollato di nubi buie risalì severo dal mare diventando in pochi minuti così denso da dare l’impressione di voler cadere tutto intero da un momento all’altro. Sandro, sorpreso per tanta repentinità, ritirò immediatamente l’aquilone. Ma quello fu anche l’attimo in cui, un fortissimo colpo di vento, complice il tessuto speciale usato, sollevò verso l’alto il kite per diversi metri. Lo strappo fu così violento che prese di sprovvista l’uomo: la corda gli scappò di mano. Ma Jazz non ci pensò un attimo. Scattò in avanti e con un balzo riuscì ad afferrare al volo la sagola. Per tre volte di seguito il cane rimase sospeso per aria e per tre volte riportò la corda abbastanza vicino al padrone da permettergli di afferrarla; ma l’uomo, nonostante corresse con tutte le sue forze, non ci riuscì. Poi il cane, stremato, abbandonò la presa mentre la corda, scivolatagli tra i denti, andò ad attorcigliarsi intorno al collare. Una folata assestò al kite un altro strappo rabbioso facendolo sgusciare di lato in mare aperto; in breve tempo entrò in una corrente termica e salì sempre più in alto incurante del peso inutile che trasportava dietro di sé come un’ombra triste; rimaneva in quella scena prosciugata di colori solo un puntino indecifrabile laggiù in basso che correva sulla spiaggia agitandosi disperato.

L’abbraccio

 

L’aquilone volava alto e il bambino era abbastanza soddisfatto. Era stato attento a costruirlo con tutta la cura e l’attenzione che quell’impegno meritava. Anche la scelta dei materiali era stata lunga, ma alla fine l’aveva spuntata lui. Lo zio gli era stato da buon maestro quando era venuto a trovarlo la settimana indietro, prima di ripartire per la grande città: gli aveva dato delle dritte veramente niente male che lui subito aveva messo a buon frutto.
E ora Giacomino stava provando il suo nuovo prototipo, così lui lo chiamava, alla Malga Granda, il punto più ventoso di tutta la valle. L’aquilone, appena lasciato libero, si era infatti impennato immediatamente prendendo quota e stabilità. Era il posto ideale, quello della Malga Granda, l’aveva detto anche lo zio, e non c’era neppure nessuno cui avrebbe potuto arrecare fastidio. Solo larici in lontananza, qualche mucca qua e là e nessun altro se non il solito contadino che dalla posizione in cui si trovava Giacomino appariva poco più grande una piccola pigna.
Ma Giacomino era un perfezionista. L’aquilone pendeva un po’ di lato, come se la parte sinistra non fosse esattamente in linea con il resto della struttura.
Una volta a casa, decise allora di smontare ogni parte dell’aquilone per ricostruire daccapo tutta la parte sinistra con nuovo legno di balsa, nuova colla e nuova carta. Questa volta usò la bolla per essere sicuro della perfetta simmetricità delle due parti dell’aquilone.
Tornò alla Malga Granda. L’aquilone aveva ora una presa più sicura sul vento tanto da potersi sollevare ancora più in alto. Il bambino poteva eseguire delle traiettorie nuove e finanche mai esperimentate prima. La struttura rispondeva come lui voleva. Anche il contadino era interessato alle inusuali evoluzioni di quella freccia rossa e arancione con tanti trecce colorate che si libravano, appena dietro, nel vento: con le sue mucche era infatti sceso di parecchio, forse proprio per guardare meglio, tanto che adesso, pur se in lontananza, lo si vedeva sorridere a quell’esplosione di forza che l’aquilone con la sua energia esprimeva.
Ma Giacomino non era ancora del tutto appagato: si era accorto che l’aquilone aveva un po’ troppo peso sulla coda, fatto questo che lo costringeva, anche se non spesso, a correggere le traiettorie.
In garage sostituì così il ferretto della coda con un altro più leggero, ma altrettanto resistente. L’alluminio era senza dubbio più adatto del ferro.
Ora alla Malga Granda Giacomino era proprio compiaciuto. L’aquilone aveva preso velocità e quota tirando come non aveva mai fatto. Il piccolo aveva infatti ormai dato tutta la corda lunghissima che aveva disposizione e l’aquilone sembrava un francobollo lassù nel cielo.
Poi un colpo di vento fortissimo spezzò all’improvviso la corda e l’aquilone divenne immediatamente un puntino rosso e arancione fino a sparire del tutto.
Giacomino se ne rimase lì, immobile, impietrito, come se non volesse credere a quello che era appena accaduto. Si voltò intorno alla ricerca di qualcuno cui chiedere aiuto, come se potesse esserci qualcuno capace di riportarglielo giù. Ma non c’era nessuno. Non c’era neppure quel contadino con le mucche che aveva assistito ai suoi progressi. Il vento si era fatto teso e Giacomino strizzava gli occhi come per aguzzare la vista e poter scorgere il suo aquilone.
“Ciao bambino…”
Il piccolo si voltò quasi spaventato. Era il contadino, quello che aveva notato il giorno precedente.
L’uomo gli si avvicinò lentamente e, sorridendo, se lo strinse a sé in un abbraccio maledetto.
Tutti i giornali locali e nazionali avrebbero parlato, il giorno dopo, del ritrovamento di un bambino di cui ignoti avevano fatto scempio delle carni. E poco distante da lui un aquilone bellissimo, adagiato nell’erba altra, in attesa di essere liberato nel vento.