Un uomo a pezzi

Un tagliente brano di heavy metal irruppe a spallate nel suo sonno. Si ripeté nel dormiveglia che doveva assolutamente ricordarsi di abbassare la suoneria e soprattutto di sintonizzare la radiosveglia su qualcosa di più soft. Aprì gli occhi. Da qualche giorno sul soffitto della stanza, a quell’ora, si formava un’ombra inquietante, una maschera kabuki mal riuscita. Portò la mano sinistra alla testa per grattarsela, ma non ci riuscì. La guardò: la mano non c’era. Aveva un moncherino e la pelle liscia all’altezza del polso come se la mano non ci fosse mai stata. Si mise di scatto seduto sul letto ritrovandosi gelata, sotto i piedi, la mano perduta. Pareva quella di un altro, così pallida che si sarebbe potuta confondere tra le lenzuola se non fosse stato per le unghie diventate grigie. Afferrò la cornetta e gli scivolò di lato sul comodino: compose tremando il numero di lei sentendo prepotente il bisogno di chiederle aiuto. Al quarto numero l’indice gli si spuntò rimbalzando per terra. Osservò con orrore lo spazio vuoto rimasto tra le dita: non usciva sangue. Il dito era caduto, semplicemente: un ramo secco staccatosi dal resto per consunzione. Urlò. Emise un suono roco che quasi si spaventò di sentir uscire dal petto. Doveva andare all’ospedale. Era vicino, lì l’avrebbero salvato, qualunque cosa gli stesse accadendo. Appena in piedi, la gamba sinistra si separò di netto all’altezza del ginocchio: lui si aggrappò al davanzale della finestra per non rovinare sul pavimento e sbatté con violenza contro il termosifone. Si sentì mancare, ma strisciò bocconi fino alla cucina dove, da dietro la porta, afferrò lo spazzolone rigirandoselo come una stampella. Ripose i pezzi del suo corpo dentro a un borsone, forse al pronto soccorso avrebbero potuto riattaccarglieli. Fu incerto se vestirsi, ma non c’era tempo: la spalla sinistra stava cominciando a staccarsi. Intravedeva persino la carne rosa nella fenditura, già cicatrizzata, come se l’amputazione ci fosse sempre stata e ora si liberasse dell’arto diventato inutile. Arrivò in qualche modo in strada ma gli risultò penoso e ridicolo procedere in quel modo: seminudo, con una ramazza sotto l’ascella, vistosamente claudicante. Ogni tanto doveva fermarsi per rimettere a posto la spalla che minacciava da un momento all’altro di cadere. Un signore, vedendolo in quello stato, gli si avvicinò:
«Ma cosa le è successo? Ha bisogno di aiuto? Vuole che le chiami un taxi?»
Lui annuì, esageratamente. E la testa gli si staccò dal collo per ruzzolare poco lontano su un tombino.

12 pensieri su “Un uomo a pezzi

  1. Non c’è uno spazio commenti agli aforismi? Dovresti trovare un modo; a volte son anche più belli dei post, altre fanno semi-seriamente incazzare (;-)); mi piacerebbe (e non credo solo a me, se ben ricordo qualche vecchio commento d’altri) lasciare un’opinione anche su quelli.
    Oggi, ad esempio, che dici che “per una donna, tra due punti passano infinite rette” (cito: non si sa mai, dovessi leggere questo commento domani, sarebbe cambiato l’aforisma), vorrei aggiungere che “attraverso ciascun punto di una donna passano infinite rette”.

  2. Mi colpisce particolarmente quest’uomo a pezzi; perché fa il paio con quello di un pezzo di post che giace in un angolo di cassetto. Mi scuotono sempre molto certe sintonie.

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