Risveglio

Quell’insistente fischio nella testa aveva finito per svegliarlo. Era iniziato come un ronzio remoto, come se provenisse dalla stanza accanto. ‘Strano rumore’ aveva pensato nel sonno ‘qualcuno ha acceso la lavatrice nel cuore della notte’. Poi gli era parso che fosse una radio fuori sintonia, con sprazzi di parole o di suoni strappati all’etere. Il rumore si era fatto più aggressivo e rifugiandosi come uno scoiattolo spaventato nel suo cervello passando per la bocca spalancata. Nel suo nuovo riparo il rumore covò come un serpente feroce e gravido di rancore. Crebbe e crebbe ancora, agitandosi in modo scomposto, assestando colpi all’impazzata con una coda che ora aveva preso la forma di una sciabola rovente. Era il dolore. Acuto, devastante, soffocante in quella tana angusta nel fondo dell’abisso in cui si ritrovava scagliato. Provò a gridare, ma gli riuscì solo un rantolo informe. Cercò di muoversi, ma si sentì legato per un braccio e una gamba che sapeva essere lì solo come proseguimento del suo corpo. Si fece allora strada nella sua mente l’immagine della sua macchina che scivolava leggera nel buio, veloce come un rondone, libera dai vincoli della gravità e dalle banali forze fisiche del mondo. Una staccionata divelta alla fine di una curva maledetta e quel volo infinito nello spazio aperto, sotto un velo di stelle troppo bello per poterlo vedere per l’ultima volta. Ecco sì, un incidente. Era stato uno spaventoso incidente stradale che lo costringeva da più di un mese in quel letto di ospedale pieno di odori stantii. Aprì gli occhi alla ricerca di un filo di luce, ma era solo una diversa oscurità ad invadergli l’anima. E pianse, pianse a dirotto nel ricordarsi che il parabrezza gli era esploso in faccia cancellando in un attimo i suoi profondi occhi azzurri.