Un Capitano da favola

Pinolo e Nunzio avevano trascorso, in riva al fiume, tutta la notte. Persino la fiabesca Polpot era rimasta sveglia.
Il panorama, in quello squarcio di vallata alle prime luci dell’alba, era del resto così piacevole e struggente da indurre chiunque a sognare ad occhi spalancati.
«Io non so se dirtelo Nunzio, ma…»
«Sì, amico mio…?»
«E’ da diverse ore che hai un enorme gabbiano sulla spalla destra e credo che…»
«Sì lo so!»
«Prego?»
«Lo so… ti dico… è un gabbiano reale inglese…»
L’uccello marino, avendo compreso che si stava parlando di lui, scosse in su e in giù il capo a mo’ di assenso.
«Vuole riposarsi qualche giorno per poi riprendere il viaggio… per i Caraibi forse… o per il Madagascar… non ha ancora deciso…»
Il gabbiano fece di no con la testa.
«E tutto ciò come lo hai capito…?!?» accennò Pinolo non riuscendo a dominare il proprio stupore.
«Oh bella! Me l’ha detto lui!» ribatté l’altro meravigliandosi della meraviglia dell’amico.
Pinolo se ne stette in silenzio. Sapeva che non avrebbe mai dovuto formulare una simile domanda.
Il volatile, maestoso nella sua livrea candida con screziature fuligginose ed argentee, assestò un paio di leggere zuccatine d’intesa al suo nuovo padroncino; il ragazzo avrebbe potuto anche giurare che l’animale stesse facendo le fusa.
Sparpagliati raggi di un sole intorpidito stavano giocherellando a riflettersi sull’acqua e a rincorrersi pigri tra l’erba (a quell’ora già abbastanza trafficata di formiche e insettini vari) allorquando il bambino, si sentì battere con insistenza sulla nuca.
Si voltò.
La bocca se ne rimase innaturalmente aperta.
Il gabbiano per lo spavento schizzò nel cielo azzurrato di fresco.
«Ma che gli ha preso?!?» si stupì Pinolo seguendo l’evoluzione dell’uccello.
«Pi… Pinolo… gua… guarda chi c’è?»
Si voltò anche lui.
Anche lui non seppe se muoversi, scappare o svenire.
«Finalmente vi ho beccati razza di scansafatiche… meritereste di rimanere confinati per una settimana in cambusa sommersi da pentole unte e tegami puzzolenti!» sbraitò un vocione sgraziato e insolente «… era quaggiù, allora, che vi eravate imboscati… eh?!?»
«… ma… ma… lei… lei è…»
«Sì, sono Capitano Uncino… con baffi e marsina rossa, per servirvi!» esclamò quello agitando un vecchio rampino arrugginito. Poi, grattandosi un naso che ricordava una spampanata canna fumaria, soggiunse «…QUALCOSA DA OBBIETTARE… FORSE?»
«No… credo di no…» replicò il bambino.
«Il signor Solmartimer gradirebbe una vostra visita urgente… sono sicuro che non avrete difficoltà ad accontentarlo…» flautò il Capitano che, sguainata la sciabola, ne controllava il filo con un dito.
«… i cartoni animati sono pericolosi?!?» s’informò sottovoce Pinolo preoccupato.
«Ti ho sentito brutto sgorbio vermiforme… vuoi assaggiare il taglio di questa lama per convincertene?» strillò il Capitano facendo svolazzare la piuma del cappello.
In quel preciso frangente, riatterrò sulla spalla di Nunzio il gabbiano tornato in suo soccorso avendo avvertito la situazione di pericolo.
«Non erro di poter validamente sostenere che lei sia un insopportabile arrogante…» principiò Nunzio alzandosi sulle punte dei piedi nel suo solito modo di quando si arrabbiava « … e se dovessimo recarci dal suo principale, ebbene sappia, bel tomo, che non sarà soltanto per i suoi modi villerecci e inurbani, bensì perché lo avremo ritenuto opportuno, dato che il sunnominato è il nostro migliore (e unico) cliente!»
Pinolo, come era già successo in passato, afferrò per un polso il compagno, tentando di ricondurlo alla calma.
«Moccioso impertinente!» esplose il Capitano punzecchiando il posteriore di Nunzio con l’uncino «… chi ti credi di essere, signorino modi villerecci e inurbani, per osare di rivolgerti a me in siffatto modo, lo sai che posso affettare la tua personcina tale e quale una soprassata per poi gustarla con radicchio, ravanelli e maionese?»
«… considero tale prospettazione non aderente alla realtà, giusto il presente contesto fattuale nella sua globalità operativa…» replicò Nunzio incrociando le braccia e assumendo un’espressione sfrontata.
«CHE HA DETTO?» chiese il Capitano a Pinolo.
«Boh!» fece l’altro.
«Ed inoltre, per dirla tutta, a me la maionese non piace neppure!»
«Ah sì?!?» si irrigidì il Capitano incerto se usare prima il rampino o la sciabola.
Il reale volatile allora, con inaspettata eleganza, ad un cenno del padroncino, si trasformò repentinamente nel Coccodrillo Tic-tac.
Il Capitano Uncino, sbiancato all’istante, sia in volto che nella marsina, lanciò un grido agghiacciante che gli fece gettare in aria l’arma bianca ed il cappello.
«IL COCCODRILLO NOO… IL COCCODRILLO NOO…!!!» gridava quello scappando tallonato dall’animale che, con un sonoro tic-tac, gli teneva dietro a pochi centimetri dal sedere.
«Non ho mai visto nulla di simile…» sospirò Pinolo osservando dissolversi in lontananza la scena.
«Io sì!» gongolò soddisfatto Nunzio «… nella favola di Peter Pan di J. M Barrie… non l’hai letta? Io la so a memoria… me la raccontavano spesso quand’ero piccolo» quindi il bambino, levandosi e scuotendosi le mani per pulirle dall’arenile, «… su, andiamo a sentire cos’ha da dirci quel beccamorto!»
Quindi i due salirono sulla leggendaria Polpot che, vedendoli arrivare, aveva avviato il motore.
I giovani stavano inforcando la strada a tornanti che s’inerpicava sulla Collina Sparuta (l’altra Collina Tersa), allorché un potentissimo temporale investì con inaudita potenza il veicolo facendolo sobbalzare. A stento, con un fondo divenuto ad un tratto pressoché impraticabile per il fango (la Polpot inserì la trazione a tutte e cinque le ruote, inclusa cioè quella di scorta), riuscirono a giungere al casolare di Solmartimer.
Nunzio fece appena il gesto di uscire dalla macchina, che subito il gabbiano, sfidando il nubifragio, gli si appollaiò sulla spalla destra dandogli soffici colpetti con la capoccella pennuta.
«Credo che sia stata apportata qualche involontaria variante alla favola…» disse Nunzio all’amico.
«COME DICI???» ululò Pinolo assordato da un tuono più vicino degli altri.
«Il coccodrillo-gabbiano…»
«Ebbene?!? Che ha fatto???»
«Mi ha or ora riferito che si è pappato anche l’altra mano del Capitano Uncino…»
«Ah!» fu la risposta di Pinolo quasi affogato dalla pioggia, non convinto tuttavia di aver ben inteso il senso della frase. Poi, svuotandosi le tasche del giubbotto dall’acqua che vi era penetrata, continuò «quand’è che ci decidiamo ad investire un po’ di soldi della ditta in un ombrello?»
«Ombrelo? Ombrelo? Compra tu ombrelo, no caro prezzo, compra belo ombrelo di Moustafà!». Una gracile figura si parò loro innanzi illuminata dal proprio sorriso. Quel tipo era così magro che (ad aver tempo) si sarebbero potute contare tutte le ossa del corpicino che affioravano da sotto la maglietta straccionata.
«Fa ultimo prezzo a Moustafà, compra belo ombrelo!»
Una folata violenta si trascinò via il senegalese, proprio mentre il portone della stamberga si apriva.
Un tanfo di zolfo si sparse prepotente all’esterno, mettendo in fuga un branco sbandato di lupi affamati scesi a valle per un po’ shopping.
«Salve ragazzi!» esordì con insolita cordialità Solmartimer con l’arcigufo Melchiorre ormeggiato alla spalla destra «se non vi dispiace esco io perché fuori piove.»
Nunzio e Pinolo si guardarono in faccia temendo di aver capito. L’arcipiumato fece, invece, rapida inversione d’ala nell’incavo del tetto. All’asciutto.
«Dunque… dunque…» bofonchiò il Beccaccione «avrei bisogno ancora dei vostri servigi… dovreste ritornare al posto di lavoro… a Cocoritos dico… non c’è più alcun pericolo… adesso… potete stare tranquilli!» spiegò con lentezza rimirandosi le scarpe appiattite.
«Ah no? E i Carabinieri? Dove li mettiamo i Carabinieri, signore? E poi lei cosa caspita ne sa di quale sia la situazione a Cocoritos?» aggredì Nunzio alterandosi.
«Mi serve una bara un po’ speciale…» seguitò Solmartimer noncurante.
«Speciale?» cercò chiarimenti Nunzio con un occhio solo aperto, parendogli di conversare sotto la doccia «speciale, signore? Quanto speciale…? Questo, comunque, le costerà parecchio… probabilmente il doppio!»
Pinolo strattonò il bambino per azzittirlo.
«E’ deceduta una donna… di stazza piuttosto giunonica» seguitò l’uomo trucibaldo «… e ho necessità che il feretro sia largo… abbastanza largo, una taglia extralarge…» Le dita ossute corsero veloci nell’aria per delimitare le dimensioni dell’oggetto.
«Capisco…» boccheggiò Pinolo che, chissà perché, cominciava ad aver voglia di nuotare «… c’è un ricco signore giù in città… ho ricevuto la sua telefonata circa tre settimane or sono… mi aveva chiesto se c’era un loculo libero a Cocoritos… aveva smesso l’attività d’orchestrale e voleva seppellire il suo contrabbasso, cui è parecchio affezionato… contrabbasso comprensivo di involucro ovviamente, in mogano antico… io gli ho detto che ci avrei pensato su… potrei ricontattarlo.»
«La custodia per il contrabbasso andrà benissimo…» concluse Solmartimer quindi, rivolgendosi con affettuosità a Nunzio «mi hai terrorizzato a morte il Capitano… tuttavia devo ammettere che l’idea del Coccodrillo Tic-tac è stata eccellente… sì… davvero ottima… hai fatto proprio bene, forse era entrato un po’ troppo nella parte!» e abbozzò, per la prima volta da quando si conoscevano, un larvato sorriso.
«A proposito, signore…» incalzò Nunzio rialzandosi in punta di piedi, segnale inequivocabile che stava per passare al contrattacco «… ma è vero che il Capitano Uncino abita con lei?»
«Certo!!!» rispose Solmartimer spingendosi ben oltre a quella straordinaria parvenza di buonumore «… è il mio maggiordomo… Baldovino Cannavà. Come Julia Roberts, mi dava un mucchio di grattacapi… troppo appariscente, voi mi capite… e così ho creduto bene di ritrasformarlo in qualcosa di innocuo, efficiente e simpatico… un cartone animato!»
Con il viso slavato e le braccia abbandonate lungo il tronco (terminanti con due uncini di cui uno più luccicante dell’altro) il Capitano si affacciò alla soglia della porta appoggiandosi ad uno stipite, visibilmente provato.
«Era la tua favola preferita quando eri piccino…» proseguì il Necroforo scoccando un’occhiata gelatinosa al bambino per saggiarne l’interesse.
«… qua… quando ero pi… piccino?» balbettò incredulo Nunzio, sciogliendosi come una saint-honoré dimenticata nel microonde «… ma allora… ma allora… lei… tu…»
«Già…» si lasciò andare, con un fil di voce quell’altro, facendo galleggiare le sue pupille spente nel brodo acquoso dei bulbi oculari. Melchiorre annuì turbato.
«Papà!»
«Figlio mio!»
Solmartimer abbracciò con veemente tenerezza Nunzio. Il gabbiano reale inglese quel grifagno di Melchiorre. Pinolo, trasportato dall’entusiasmo del momento (pur con una certa riluttanza), Capitan Uncino-Cannavà.
Piansero diuturnamente. Tutti. Singhiozzando e lacrimando, lacrimando e singhiozzando (il muschio, intorno a loro, se ne giovò non poco).
Intanto nella vicina Foresta Cupa, l’Anima errabonda di J. K. Günther, con imbarazzante tempismo, sfilò dall’astuccio il suo magico violino e, sognando la sua indimenticabile finale di calcio, intonò un patetico a solo.
Ma delle lacrime non se ne accorse proprio nessuno, vista la pioggia che non cessava di scendere, a vascate, dal cielo plumbeo.[space]

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