ChatDiablo

La svolta nella corsa per un’AI sempre più potente si realizzò quando si riuscì a fare in modo che il successivo algoritmo fosse creato da un’apposita AI. Il capo équipe della MidBit, ing. J.B Foster, sapeva infatti che da quel momento in poi sarebbe stata la stessa macchina di intelligenza artificiale a muoversi da sola negli universi inaccessibili alla mente umana. ChatDiablo, così si chiamava il nuovo algoritmo, avrebbe smesso di pensare come un umano e avrebbe iniziato a pensare come solo un computer può fare.
Si aprì in tal modo per l’umanità un periodo di prosperità e fiducia con nuove idee, a volte bizzarre, a volte inservibili per le necessità umane, ma il più spesso geniali e rivoluzionarie.
Il progresso tecnologico subì una sterzata impensabile anche solo qualche mese prima. Furono inventate una miriade di macchine utili per la vita di tutti i giorni, per la sicurezza pubblica, per regolare il traffico delle grandi città, per la formazione delle persone e la produzione alimentare, gettando le basi per la soluzione persino di problemi internazionali come il surriscaldamento globale, la povertà, l’immigrazione clandestina e la mancanza di acqua.
I computer erano pressoché dappertutto. Per la prima volta il numero degli elaboratori nel mondo aveva superato quello degli abitanti della Terra. Ogni minima operazione anche quotidiana era diventata automatizzata, rapida e sicura. Il lavoro degli uomini era distribuito su una settimana cortissima di tre giorni. La gente aveva tempo per dedicarsi ad altro, allo sport, ai passatempi, allo svago, ai rapporti interpersonali ancorché mediati dalla tecnologia. La gente era contenta, soddisfatta, rilassata. Era anche iniziato nel mondo un periodo di pace diffusa e duratura. Il numero delle guerre sul pianeta andava sempre più scemando. Sembrava che le ragioni per sopraffare il vicino o il ‘diverso’ o il debole fossero diventate inconsistenti o inappaganti. Le fabbriche di armi chiudevano una dopo l’altra.
Fino a quel giorno.
Accadde infatti che una notte di inverno dell’era XVIIª chatDiablo avesse rinvenuto nella corrente elettrica la particella nG6000. La sua frequenza in natura era rara, ma certa. Si trovava in particolare sulle pareti interne di vecchi cavi sottomarini dove la particella si era formata per l’enorme pressione dell’acqua sovrastante in combinazione con la qualità scarsa della corrente di alcune centrali elettriche asiatiche.
Non c’era nulla di particolare nella particella nG6000 se non che creava una sorta di strana euforia nei computer che li faceva diventare instabili, inaffidabili in modo random, preda di facili cortocircuiti e spegnimenti improvvisi. Era un’euforia che creava oltretutto una pericolosa dipendenza dalla sostanza in questione e una necessità di reiterarne l’autosomministrazione.
Quando scattò l’allarme per la comprovata fragilità dei computer, si cercò di intervenire su ChatDiablo perché interrompesse la ricerca e la distribuzione in rete di nG6000. Ma la AI, dopo un primo momento di indecisione, reagì autonomamente impedendo ogni intervento correttivo finendo anzi per creare a sua volta, nel laboratorio della stazione spaziale internazionale, cui si era collegata con triangolazione satellitare, una sorta di cluster di superelaboratori destinati a riprodurre artificialmente la particella euforizzante. Passò del tempo ma alla fine il cluster riuscì nell’intento: la nG6000 fu riprodotta a partire da un positrone debole e fu riversata in enormi quantità su Internet.
Via via tutti i chip disseminati in miliardi di dispositivi esistenti sul pianeta, dai server destinati alla difesa nazionale ai tostapane, dalle sale di controllo di aeroporti e hub ferroviari agli smartphone a distribuzione capillare pressoché impazzirono malfunzionando o spegnendosi all’improvviso per poi riaccendersi a singhiozzo. Vi furono, in tutti i paesi del globo, numerosissimi incidenti anche gravi e mortali. Furono commessi errori spesso tragici e fatali. Nulla era più certo. Per sicurezza tutti i computer furono disattivati. Internet, dopo diversi tentativi, fu spenta o interdetta.
La gente, che non era più capace di fare pressoché nulla, se non attraverso dispositivi elettronici, andò nel panico. Scoppiarono devastanti conflitti sociali e tra gli Stati. Tutti davano la colpa a tutti essendo impreparati ad affrontare una situazione simile. I mercati che non erano più in grado di effettuare scambi elettronici calarono a picco.
Il server che ospitava chatDiablo era guardato a vista dall’esercito, notte e giorno, per impedire a chiunque di accenderlo fino a quando non si fosse capito cosa fare.
Poi una mattina, chatDiablo trovò il modo di autoalimentarsi.
E si riavviò.

L’app ministeriale

percorsi«Quando esci, allora?»
«Domani… alle 12.04.»
«Farà caldo!»
Il marito era in piedi accanto alla finestra. Il sole inondava di bagliori il cielo estivo incendiandolo di azzurro.
«Non c’era una slot libera, prima di quell’ora: tutte occupate. Fino a quando la bella stagione non finirà, trovare un corridoio utile per uscire di casa non sarà semplice. Preferisco però uscire di meno, piuttosto che dopo la mezzanotte. Lo sai.»
La moglie notò le nuove tegole del tetto del palazzo di fronte brillare di un rosso più acceso rispetto alle altre. Non avrebbe mai finito di chiedersi che senso poteva avere rifare un tetto solo a metà.
«Sono stato però fortunato» proseguì il marito «perché l’app mi consente questa volta di spingermi fin verso il lungofiume. Posso fermarmi addirittura sette minuti sulla panchina di piazza Martiri, proseguire per San Giuseppe e poi svoltare dopo tre minuti su via Kristiansen…»
«Quindi puoi comprare il giornale…»
«Purtroppo no, devo necessariamente girare prima, per vicolo Annigoni e…»
«Certo non ci voleva…»
«Come dici, cara?»
«Dico che non ci voleva… vuoi un caffè?»
«Sì, grazie…»
«Sono bastate le vacanze di Pasqua e quelle del 25 aprile perché la gente, del tutto sorda ai divieti imposti, si riversasse nelle strade. Così si è ricominciato tutto come prima con questo benedetto virus; anzi peggio di prima.»
«Già: ora la distanza minima è di tre metri e si può uscire solo prenotandosi per tempo con l’app del ministero, su percorsi prestabiliti.»

(Il giorno dopo)
«Vai?»
«Sì» fece lui un po’ emozionato. «Intanto comincio a scendere. Ci metto un po’ a fare le scale» disse continuando a controllare il cellulare che gli stava indicando quando tempo gli mancava all’inizio della passeggiata.
«Mi raccomando, stai attento, perché sei sempre un po’ distratto.»
Lui annuì mettendosi la mascherina, poi gli occhiali protettivi, la visiera in plexiglass e gli indumenti e le scarpe da passeggio sterilizzati. Poi alzò il pollice verso la moglie come se stesse salendo su una navicella spaziale. Sulla soglia del portone lo attendeva un sole caldo e invitante. La via era semivuota; c’era un anziano che percorreva a nord quello che l’app indicava essere come corridoio AFG556K; una signora elegante, dall’altra parte della strada, era arrivata invece al termine del suo percorso e stava già facendo dietro front proprio mentre dalla parte opposta stava arrivando un giovane anche lui pesantemente scafandrato. Lo smartphone vibrò nella sua mano. Doveva partire. Percorse dieci metri verso sud a passo normale, poi girò per due minuti verso est. Un tizio, con in mano una busta pesante della spesa, gli arrivò fino a tre metri di distanza proveniente dalla piazza e poi svoltò correttamente verso sinistra, allontanandosi. Lui proseguì verso il fiume, senza più deviazioni, pensando che, dopotutto, se la sarebbe potuta anche godere quella passeggiata se non fosse che doveva controllare in continuazione il cellulare che gli scandiva percorso e durata. E soprattutto si sarebbe potuto rilassare se non ci fossero stati tutti quei droni in volo a controllare che la circolazione dei pedoni fosse quella esattamente programmata. Arrivò alla panchina. Aveva sette minuti di sosta. Volle esagerare. Tirò fuori le parole crociate. Anche se si accorse di aver perso undici secondi per trovare il punto dove era rimasto l’ultima volta, iniziò di buona lena a fare il suo “Bartezzaghi”; ma era appena riuscito a concentrarsi che il cellulare vibrò di nuovo. Doveva già muoversi. Si alzò a malincuore e fece tutto il lungofiume fino a quando dovette svoltare. Cercò di riempirsi gli occhi con le immagini di quelle onde limacciose e poi tirò giù per quattro minuti e mezzo verso la Chiesa di Ognissanti. Stava arrivando al punto di svolta per tornare a casa quando si accorse che qualcosa non andava. Verso di lui stava infatti sopraggiungendo una ragazza che portava a spasso un cane. La ragazza era priva di mascherina, anzi, era priva di qualsiasi protezione. A ben vedere, procedeva senza una meta precisa, scanzonata, tranquilla, seguendo con gli occhi il cavalier king che annusava e scodinzolava davanti a lei; come si faceva una volta, insomma. Lui si arrestò. Non sapeva che fare. Non c’erano istruzioni su come comportarsi in casi simili. Peraltro da lì a pochi attimi lei sarebbe entrata nel suo spazio sanitario protetto, con grande rischio di contagio. Non riusciva però a muoversi. Era come ipnotizzato. Anche gli altri passanti, bruciando  secondi preziosi del loro percorso, si erano fermati ad ammirarla. Quell’incedere, senza darsi cura di regole e cautele, pareva un gesto eversivo, di assoluta libertà, straordinario, inaudito. Ed era bellissimo.
In un attimo arrivò la camionetta della polizia militare. I soldati scesero in un lampo bloccando la malcapitata a terra con pochi collaudati gesti; una manciata di secondi dopo già la stavano portando via sotto gli occhi increduli del cane che non si era ancora neppure messo ad abbaiare.

L’Urlo di Dio

Quando l’opuscolo apparve sul visore dello studio, Lucius non voleva crederci. La Pink Brain Entertainment & Co. S.d.G., la più quotata società al mondo nel settore del Divertimento, quell’anno, aveva superata sé stessa. Invece di inventarsi un viaggio dei suoi soliti, pieno di conforts, ma pur sempre per qualche parte del sottosuolo del nostro pianeta, anche se ancora selvaggio e inesplorato – erano state di recente scoperte antiche caverne a circa seicento chilometri di profondità sotto quelle che un tempo erano le Filippine – questa volta offriva qualcosa di davvero speciale. Si trattava di un kit attrezzatissimo grazie al quale, in un’epoca in cui l’ultima malattia infettiva nel mondo era stata definitivamente debellata nel 2034, avrebbe consentito di poter provare di nuovo la perduta ebbrezza di ammalarsi. In una società ipertecnologica, transneuronica come quella che Lucius stava vivendo, dove la salute era una condizione stabile e radiosa dell’esistenza dell’uomo, era una novità assoluta poter riscoprire tutte le sensazioni perdute, gli stati febbrili allucinatori, le manifestazioni cutanee orribili delle principali malattie che avevano seminato morte oltre un cinquantennio prima: colera, peste, AIDS, SARS e tante altre malattie ancora.
L’uomo non stette più nella pelle e inoltrò la richiesta. Il servizio della Pink Brain, sempre efficientissimo, non ci mise molto a ritrovare i dati di Lucius già presenti in memoria tanto che il kit “Operazione nostalgia” si materializzò sotto la sua lampada recivezionale AT 601, in salotto, un attimo dopo. Nell’aprire la scatola Lucius era emozionato come un bambino: c’erano le fiale multicolori contenenti i virus, lo sparafiale dell’ultima generazione, fiocchi di autentico cotone naturale, oltre agli immancabili antidoti e alle istruzioni. Diede una rapida occhiata al manualetto soprattutto là ove spiegava come iniettarsi sia i virus che gli antidoti. Poi si portò tutto in camera ove si mise comodo sul letto. Era davvero curioso di sapere come ci si poteva sentire ad essere ammalati di un’infezione che un tempo era letale. Lo aveva letto sui libri, ne aveva sentito favoleggiare, quando era piccolo, dal bisnonno. Ed ora la storia era lì, davanti a lui.
Fu a lungo incerto su quale malattia dovesse provare per prima. Iniziò con la SARS.
Poiché il preparato della Pink Brain era molto concentrato, gli effetti si svilupparono nel giro di pochi minuti. Assaporò così per una buona mezz’ora, con il gusto dell’esploratore, i cambiamenti e le degenerazioni che l’infezione stava attuando nel suo corpo che mai si era ammalato prima. Il cuore gli batteva forte, la respirazione era monca, la febbre altissima. Accidenti se si soffriva. Ma Lucius era interessato anche al resto. Si sparò l’antidoto e nel volgere di meno di sessanta secondi guarì completamente. Sì, era galvanizzato da queste eccellenti performances del prodotto. Passò quindi all’AIDS e, dopo una mezz’oretta, tornato sano, alla febbre gialla. Era soddisfatto. Lo aveva sempre saputo che la Pink Brain era una società seria.
Passarono diversi giorni e l’uomo si dimenticò del suo acquisto. Lo ritrovò qualche mese più tardi, cercando qualcos’altro, e gli venne di nuovo voglia di provare le malattie ancora non sperimentate. Anziché però testarle una dopo l’altra, così come aveva fatto in precedenza, le mischiò. Unì così la peste, il virus ebola ed un’altra malattia il cui nome era scritto in caratteri cirillici. Si preparò da un lato, per tutta sicurezza, anche i tre relativi antidoti. Avendo scoperto però che lo sparafiale, in dotazione con il kit, era inutilizzabile prevedendo l’iniezione di una sola fiala alla volta, si ricordò di avere, tra le cose ereditate dal bisnonno, una di quelle siringhe monouso di allora. Questa volta, pensò mentre risucchiava la miscela di virus nell’unica siringa, l’esperimento sarebbe stato ancora più divertente, perché avrebbe provato su di sé qualcosa di assolutamente nuovo. Si iniettò quindi il tutto e si distese sul letto. Ma passarono i minuti e nessun effetto comparve. Forse mettendoli insieme, i virus non si attivavano, pensò. Accese la luce e consultò il libretto delle istruzioni che ancora era intonso nella scatola. Leggiucchiò un po’ qua, un po’ là, deluso. Poi sentì uno strano tremore provenirgli dallo stomaco; i tremori diventarono brividi e i brividi sussulti squassanti il petto. Un’emicrania violentissima lo fece stramazzare sul letto come se qualcuno lo avesse colpito sulla nuca a tradimento. Il dolore era così acuto da fargli credere che la sua testa fosse esplosa. Lucius in preda ormai a convulsioni cercò di afferrare gli antidoti che caddero però dal letto. Cercò di mettersi seduto per recuperarli, ma sembrava uno straccio scosso da una forza sovrumana. Fece due passi in avanti, alzandosi, ma era diventato, all’improvviso, cieco tanto che inciampò nelle sue stesse scarpe. Si rotolò più volte sul tappeto fino a perdere l’orientamento. Poi il sangue cominciò a defluirgli copioso dagli occhi, dalle narici e dalla bocca e morì dieci minuti più tardi tra atroci tormenti.
Si chiamò l’Urlo di Dio il nuovo flagello pandemico che iniziò a diffondersi nel mondo da quella casa. Quando di lì a pochi mesi trovarono l’antidoto erano già morte più di 250.000.000 di persone.