Orientarsi con le nuvole

«Ma c’è proprio bisogno di andare con questo ronzino a massacrarsi la schiena?» chiese il marito mentre stava calzando di controvoglia gli stivali.
«Eddai, Peter, rilassati… è un bellissimo cavallo e vedremo la tanto decantata Rough Valley; ci divertiremo e ci abbronzeremo: è prevista infatti una bellissima giornata! Non sto più nella pelle.»
«Non potevamo rimanere sulla veranda del bungalow a leggere un buon libro?»
«Non essere noioso, Peter… non abbiamo fatto seimila miglia per starcene in veranda.»
In quel mentre arrivò un uomo a cavallo di uno splendido Appaloosa; cavalcava senza sella e aveva i tratti somatici di un nativo.
«Mi chiamo Chavatangakwunua… e sarò la vostra guida per tutta l’escursione» disse con tono grave, senza muovere le labbra, come se avesse voluto piuttosto fare una dichiarazione di guerra. I lineamenti erano sagomati nella roccia, una maschera da guerriero mutuata da un dagherrotipo. «Ma mi potete chiamare Chuck…» fece ancora trattenendo il cavallo impaziente di partire.
«Ma chi è questo buzzurro?» domandò Peter accostandosi all’orecchio della moglie.
«Zitto che ti sente!»
E in effetti, per un attimo, Chuck si girò verso la coppia per incenerirla con lo sguardo. Poi, andando avanti e indietro tra gli astanti, continuò:
«Non scendete mai da cavallo se non quando ve lo dico io. Ci sono gli scorpioni dagli occhiali, i serpenti, i ragni ballerini e i coyote che non riuscirete a vedere se non quando è troppo tardi. E sono sempre affamati. Non allontanatevi quindi mai da me e andrà tutto bene. In serata ci accamperemo, come da programma, al Moning Rock; torneremo domani, in nottata.»
«Come sarebbe a dire? Dormiremo all’addiaccio?» chiese Peter contrariato.
«Ma sì caro: ne abbiamo parlato l’altra sera, non ti ricordi? Ed eri d’accordo… non mi stai mai ad ascoltare quando parlo» gli fece di rimando la moglie accigliata.
«Domande?» interrogò Chuck continuando a muoversi in su e in giù con il cavallo; e poi, prima ancora di aspettare una risposta, gridò «andiamo!» e partì al galoppo.
Il gruppo, nonostante le prime difficoltà, rimase compatto. Alternavano il passo al canter e il trotto al galoppo sostenuto, anche se per brevi tratti. Ma Peter non smetteva mai di brontolare: troppo caldo, troppo vento, si andava troppo piano, troppo forte, aveva fame, sete e chissà cos’altro. Per un po’, come al solito, la moglie gli badava e poi finì per ignorarlo.
«Ho visto che guarda spesso le nuvole» disse Peter a Chuck che in quel momento lo stava affiancando. «Pensa che pioverà?»
Il nativo sulle prime voleva non rispondergli. Si capiva che quel turista rompiscatole, del tutto estraneo al contesto, non gli andava affatto a genio. Ma poi pensò che dovesse essere gentile per il bene degli affari.
«Mi oriento… guardo le nuvole e mi oriento…» affermò lui secco spronando subito dopo il cavallo per riprendere la testa del gruppo.
«Come sarebbe a dire che si orienta con le nuvole?» chiese Peter alla moglie inorridito «ci perderemo in questo scatolone di sassi e salamandre… moriremo tutti!» disse sbarrando gli occhi.
«Ti avrà preso in giro… Peter, stai calmo, goditi il viaggio!»
Verso sera, all’improvviso, Chuck estrasse il fucile che portava a tracolla e sparò a un punto lontanissimo davanti a lui.
«Ecco, lo sapevo! È impazzito per il caldo» esclamò Peter.
Chuck, che subito dopo lo sparo era partito al galoppo, già stava tornando con un enorme istrice tenuto per la gola. «La nostra cena!» disse alzandolo con il braccio senza tradire alcuna emozione.
«Io quella schifezza non la mangio, te lo dico subito, Greta…» fece Peter incrociando le braccia e facendo il broncio. «Non ho neppure con me le mie pastiglie per digerire e so già che starò male tutta la notte e per di più al freddo.»
«Le tue pastiglie ce l’ho io» disse la moglie alzando gli occhi al cielo «e ho portato anche i sacchi a pelo.»
Poi, approfittando dell’attimo in cui la moglie si era staccata di qualche metro dal cavallo del marito, Chuck la raggiunse rapidamente e le mormorò sottovoce:
«Mi faccia un cenno e io lo farò sembrare un incidente» e proseguì.
«Che cosa ti ha detto il buzzurro?» domandò il marito appena dopo.
«Mi ha chiesto se gradiresti un pezzo di apple pie che sua moglie ha fatto apposta per lui… ma ha saputo che è il dolce che ti piace tanto e te ne offrirebbe volentieri una fetta.»
«Apple pie, dici?» si accertò lui con gli occhi che gli brillavano. «Davvero? Ma sì, forse, giusto per mandar giù quella carnaccia dell’istrice…»
A quel punto la donna si girò verso Chuck e gli fece il gesto del pollice alzato.
Il nativo, per la prima volta da quanto erano partiti, sorrise d’un sorriso sbilenco e le rispose contraccambiando lo stesso gesto.

Pilato

Più il tempo passava e più pensava che non fosse affatto giusto. A lui non toccava mai di andare in vacanza: aveva il suo animale da accudire! E ora che era in pensione gli pesava ancor di più essere costretto a restarsene a casa. Aveva chiesto ai suo vicini che se occupassero, anche solo per poco tempo, ma non avevano sentito ragione anche perché lui non aveva mai avuto un buon rapporto con nessuno. 
Una notte, nel cuore della notte, si alzò di soprassalto. Aveva fatto un sogno orribile. Che era morto in quel letto, da solo, dopo una lunga malattia, senza essere mai uscito da quella valle. Allora decise. Si alzò, preparò lo zaino, ci mise dentro quello che aveva trovato nell’armadio e prelevò da dietro il mattone nel muro tutti i suoi risparmi. Sì, sarebbe partito: ma che fare di Pilato? Si risedette di nuovo sul letto a rimuginare, vinto dallo sconforto e dal senso di colpa. Poi guardandosi attorno, vedendosi circondato dalle sue misere cose, capì ciò che era diventata la sua vita: andò nella stalla, prese la cavezza e la slacciò dall’anello attaccato al muro. Si chinò e liberò la zampa dalla catena. Il toro, 850 chili di carne massiccia di razza charolais, lo scrutava incredulo; dopo qualche sforzo da parte del contadino di spostarlo, l’animale lo seguì docilmente caracollando fuori sul prato antistante. L’uomo pensò che, dopotutto, all’interno del recinto il toro avrebbe potuto trovare l’erba necessaria per sopravvivere e due settimane sarebbero passate velocemente. Per maggior sicurezza gli scaricò nella stalla otto balle di fieno ben stagionato e aprì la sistola prendendo a far scorrere l’acqua lungo lo scolo a riempire la vasca pluviale. Diede un pacca sul dorso gibboso del toro e, afferrato lo zaino, cominciò a scendere a valle. Pilato lo guardò per un po’ allontanarsi quindi si voltò indietro a controllare chi mai fosse rimasto a fargli da guardia, ma non c’era nessuno: per la prima volta nella sua vita aveva la possibilità di girare libero nel recinto senza funi o catene. Non riusciva a capacitarsi di ciò che gli stava capitando davvero. Gironzolò per un po’, entrando e uscendo lentamente dalla stalla un paio di volte. Nel suo occhio si rispecchiava un mondo intero e l’aria fresca del mattino saturava le sue froge. Camminò docilmente lungo il perimetro, sporgendo più volte il muso curioso verso i prati più bassi. Poi bastò che con il suo peso si appoggiasse alla staccionata perché si spaccasse in due: per non voler salire, prese anche lui la strada della valle. Vagò per un paio di giorni fermandosi a mangiare l’erba nei prati e a bere l’acqua dai ruscelli. Il quarto giorno scese ancora, puntando verso una brezza carica di profumi e sentori. Il sesto giorno, girata una collina, avvertì quello stesso odore che seguiva da qualche ora e che ben conosceva. Fece un sentiero stretto, a chiocciola, fino a quando si trovò davanti a una recinzione. Una ventina di metri oltre quel punto c’erano alcune mucche anche loro al pascolo. Il fiuto non lo aveva ingannato. Butto giù senza sforzo la recinzione che gli rimase impigliata in un corno. Non ci badò e proseguì il cammino: la sua attenzione era rivolta a ben altro. Il terreno in quel posto era strano, duro, caldo, gli zoccoli risuonavano come non aveva mai sentito. Si fermò dubbioso per un attimo, per pensare il modo migliore per proseguire. In quel mentre una moto a tutta velocità, appena uscita dal tunnel, se lo trovò maestoso davanti a sé a sbarrargli, come una montagna nera, quel tratto di autostrada.