Sono passati tanti anni da quel giorno. Da quando mi sono ritrovato seduto sulla corriera in partenza dalla piazzetta principale di Lughi. Avevo la macchina dal carrozziere, ma non era stata quella una ragione sufficiente per mancare al compleanno di ‘Gi. Così avevo preso quello scomodissimo mezzo, un dinosauro caracollante che sembra sempre perdersi tra tutti i paesini della valle, prima di rammentarsi la strada giusta per tornare in città.
Stavo pensando al da farsi, a tutto ciò che avrei dovuto sbrigare nel corso della giornata, quando guardai dal finestrino alla mia sinistra. All’interno di una macchina parcheggiata poco distante, un uomo e una donna stavano litigando. Ma, a ben vedere, era piuttosto l’uomo che sbraitava agitandosi in modo scomposto, mentre la donna, sul sedile più vicino a me, se ne stava in silenzio, raccolta, gli occhi bassi e immobile. Lui urlava e gesticolava e dai muscoli tesi del collo e dall’espressione stralunata degli occhi, si vedeva che era fuori di sé. Passarono così alcuni minuti. Forse perché si sentiva fissata, lei a un certo punto si girò nella mia direzione senza che l’uomo neppure se ne accorgesse. Vidi i suoi occhi carichi di una tristezza infinita. Una rassegnazione profonda, di quelle che incatenano l’anima per l’eternità. Mi fissò per un tempo che mi sembrò lunghissimo senza che io riuscissi a staccare il mio sguardo da lei. Poi la corriera accese il motore e cominciò a muoversi. Lei mi seguì piano piano ruotando appena quel suo corpo fragile e minuto. E, con la stessa inattesa meraviglia dei primi narcisi a primavera, aprì lentamente le labbra ad un sorriso dolcissimo e liberatorio, regalandomi tutta la sua solitudine e infelicità.