L’Uovo di Pasqua

«Paolo, hai preso l’Uovo di Pasqua per Giulio?»
La domanda lo aveva fulminato sullo zerbino di casa. Se n’era dimenticato e un sudore gelato gli corse come un’onda lungo il collo. Il lavoro in farmacia si era protratto più del previsto quel giorno e gli era passato di mente.
«Glielo avevi promesso!» rincarò lei la dose regolando l’occhiata sulla modalità “sufficienza/biasimo”.
Giulio, il figlio di otto anni, stava aspettando poco distante. Ascoltato il breve scambio di parole tra i genitori, prima incrociò le braccia e poi corse via piangendo in camera.

La cena si svolse in un silenzio suboceanico. Si sentiva solo il rumore delle posate, il masticare rumoroso del bambino e qualche suono distratto nella via. Paolo era mortificato. Avrebbe voluto chiedere alla moglie perché mai l’uovo non l’avesse comprato lei visto che era stata a casa tutto il giorno; ma avrebbe scatenato ls solita discussione senza fine da cui non ne sarebbe uscito o, peggio, ne sarebbe uscito a pezzi. Meglio rimanere zitti.
Poi, mentre la moglie serviva il secondo, suonò il campanello della porta. Paolo non aveva fatto in tempo a pensare chi potesse essere a quell’ora che Giulio era già sceso dalla sedia ed era andato ad aprire: come se avesse avuto una premonizione.
E sullo zerbino troneggiava infatti un Uovo di Pasqua che sembrava enorme. Era incartato in modo sontuoso in una confezione con colori sgargianti che ne aumentavano la dimensione. Giulio emetteva gridolini di contentezza, saltando sul posto e battendo le mani; alla fine si mise ad abbracciare l’uovo.
«Ma cosa fai, Giulio… aspetta che ti aiuto a portarlo dentro…» gli disse la madre che ora guardava il marito in tutt’altro modo.
«Allora ci prendevi in giro… sei tremendo» gli disse lei sottovoce regalandogli uno dei suoi più bei sorrisi di sempre mentre lui, avvicinandosi titubante, indugiò sulla soglia per scrutare la strada in entrambe le direzioni.

Fu complicato convincere il bambino a finire la carne. Ma, subito dopo, in pochi attimi, l’uovo fu scartato e riposto sulla tavola in tutta la sua grossezza. Paolo andò persino a prendere il martello tra gli attrezzi del padre e tutto eccitato cominciò a rompere la crosta del cioccolato in più punti. Era di prima qualità, spesso, profumato. Giulio si mise a mangiarlo spingendosi i pezzi in bocca con entrambe le mani. Gli occhi brillavano di felicità.
In fondo si intravide la sorpresa.
«Tieni papà» disse il bambino fiducioso «me lo monti tu?» dando per scontato fosse un giocattolo da assemblare.
Paolo prese il pacchetto con circospezione. Quando erano venuti l’ultima volta in negozio erano stati chiari. Doveva pagare di più e più puntuale o ci sarebbero state conseguenze incalcolabili. Già. Avevano detto proprio così: “incalcolabili”. Sillabando bene la parola.
Si mise il pacchetto in grembo per non farsi vedere dalla moglie e dal bambino che se la ridevano tra loro.
Sì sì, come temeva. Era una pistola arrugginita, senza caricatore. E un proiettile calibro .38. Nella canna era infilata in modo accurato una fotografia arrotolata. Era di Giulio che giocava tranquillo in giardino, in una giornata di sole. Ed era macchiata di sangue.
«Ma papà sei fichissimo…» disse Giulio strappandogli all’improvviso di mano la pistola. «Anche una pistola ad acqua! Grazie… è la più bella Pasqua della mia vita.»

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