“Proprio non capisco…” mi disse Oreste del bar del Cinghiale con i due gomiti appoggiati al bancone in una posizione che doveva risultargli quanto meno scomoda “sono andato, per un giorno, a trovare mia madre a Tòdaro, ero tranquillo perché avevo lasciato il locale in mano a Gino, quando, al mio ritorno, scopro che non è stato venduto neppure un panino!”
Io l’avevo di fronte, Oreste, e inconsapevolmente lo studiavo. Stavo in particolare pensando che quando lui si preoccupa, corruga così tanto la fronte che sicuramente gli si alzano gli alluci nelle scarpe.
“Che sia il prosciutto che non sia più buono o sarà piuttosto lo speck?”
Non risposi, non avevo molta voglia di farmi trascinare nella solita quotidiana lamentazione del mio pur bravo oste.
“Che sia il pane? Forse era troppo cotto? Oppure era poco cotto? Era troppo lievitato o magari poco lievitato?”
“Il pane non lo è di certo. Lo fa Bastiano!” mi sentii in dovere di dirgli in segno di solidarietà e partecipazione, ma anche in difesa del mio amico.
“Non credo neppure io… anche perché quegli stessi salumi vanno via che è una bellezza oggi…”
“Magari Gino non è simpatico, sai è uno di fuori, qui gli amici probabilmente preferiscono te…”
Stavo tamburellando con le dita sul bancone. Di solito a quel punto Oreste capisce e si affretta a prepararmi il ‘cucciolo’.
“Non penso neppure sia questo il motivo… perché Gino ormai sono tanti anni che è qui e poi lui è più giovane di me, si dà fare e anzi, scherza volentieri, sta alla battuta…”
Lentamente Oreste si scollò dal piano del bancone; dimenò, in segno di disappunto, il suo testone, che in effetti un po’ ricordava quello di un cinghiale spettinato, e si mise a farmi il ‘cucciolo’.
In quell’istante si alzò anche un ragazzo che fino a quel momento aveva giocato a Teresina e, avvicinatosi al bancone, ciondolò:
“Mi fai un panino speck e caprice, Oreste?”
“Sì subito…” rispose quello che, nel frattempo, era già passato a mettere la panna fresca dentro al mio caffè; poi accorgendosi con la coda dell’occhio che non c’era più pane, urlò:
“Ginoooooo… mi vai a prendere nel retro degli altri sfilatiniiii?”
Si sentirono alcuni rumori provenienti dal retro come di ceste spostate e cassetti aperti. Poco dopo comparve Gino, tutto sorridente, con un fascio di piccole baguette in mano.
“Non ti preoccupare, Oré” fece Gino volenteroso “che glielo preparo io il panino. Cosa devo fare?”
“Oh, grazie… uno speck e caprice!”
Il ragazzo che lo aveva ordinato fece un’espressione come di sorpresa mista a imbarazzo. Vidi distintamente che per un paio di volte aprendo la bocca e inspirando aria come per una apnea subacquea, aveva anche cercato di dire qualcosa, ma poi ci aveva rinunciato. Quindi, tutto d’un fiato, disse:
“No, scusa Gino, ci ho ripensato, scusami tanto, ma ho un po’ di mal di stomaco…”
“Come vuoi…” fece quello di rimando con un sorriso schietto e comunicativo. Poi, con un gesto rapido che si capì essere involontario, si grattò tra le chiappe e si annusò.
Con senso di mal contenuto disgusto guardai Oreste. Oreste incrociò il mio sguardo e nascose il viso dietro i suoi due badili di mani.
Io mi girai. Era il momento di sorbire il mio cucciolo.