La scatola di cioccolatini

Cioccolatini tra i regali di NataleLa barista se n’era accorta subito. Oramai l’esperienza acquisita sul campo l’aveva aiutata  egregiamente in quel senso. Entrando nel bar, il ragazzo di colore aveva infatti assunto un’aria da colpevole; il suo sguardo era sfuggente e sembrava volersi posare in modo nervoso un po’ ovunque in quel locale senza voler scegliere però un posto preciso.
Lei continuò a servire la clientela senza perderlo di vista; gli lanciava ogni tanto brevi occhiate noncuranti augurandosi che quegli spiacevoli pregiudizi che aveva, quelli che si nega sempre di avere e che invece sono come una nostra seconda pelle, la stavano in realtà facendo sbagliare.
Il ragazzo, intanto, piuttosto magro nel suo giubbotto largo e scuro, i jeans strappati sulle ginocchia ma non per moda, si era fermato davanti a una locandina del teatro comunale della città che pendeva da una sedia. Avrebbero rappresentato al Teatro comunale per il giorno di Santo Stefano uno spettacolo di balletto classico. L’atteggiamento del giovane sembrava finanche assorto, quasi comicamente interessato. Poi il magrhebino, in un lampo, aveva preso la porta allontanandosi in tutta fretta.
La donna uscì immediatamente dal bancone per rendersi meglio conto di quello che poteva essere accaduto accorgendosi così che, dall’espositore dietro la colonna, mancava una scatola di cioccolatini di marca, confezione gold. In un attimo chiamò la polizia municipale che aveva istituito di recente un reparto antidegrado per l’acuirsi di episodi criminali che, in sempre maggior gravità, stavano da tempo funestando il centro città; la polizia era intervenuta in modo sollecito e neanche mezz’ora dopo il ragazzo era stato arrestato.
Nel volgere pertanto di un paio di giorni, Ahmed, così si chiamava il ladruncolo di cioccolatini, era stato denunciato a piede libero restando in attesa del processo per taccheggio mentre la barista era rientrata in possesso del maltolto.
Ma la donna, quando la polizia le riconsegnò la confezione, proprio non se la sentiva di rimetterla nell’espositore. Non era per essere razzisti (per carità), pensò lei, ma, anche se la scatola non era stata aperta, il ragazzo se l’era pur sempre tenuta nascosta sotto il giubbotto e aveva preso chissà quali odori e il solo pensiero la contrariava.
Così di impulso aveva attraversato la strada ed era entrata nella chiesetta dei Santi Apostoli dove, subito dopo l’ingresso, in bella vista, il parroco stava facendo la raccolta, nell’imminenza delle festività, di regali per i meno fortunati. Posando su un tavolo di fòrmica i cioccolatini rubati la donna si convinse quindi che quella era davvero la soluzione migliore.
Ahmed, dopo la strana esperienza di un giorno in guardina, era nel frattempo tornato nel suo caseggiato occupato, dove, in una stanza nemmeno tanto grande, le finestre murate, dormivano in quindici connazionali. Certo, avrebbero potuto anche stare più larghi lì dentro se il tetto non fosse stato un colabrodo e l’acqua piovana non allagasse il pavimento ad ogni temporale. Tra quelli non c’era comunque né suo padre né sua madre. Prima dell’attraversata in barcone, erano stati con forza separati in Libia, sin dall’inizio dell’autunno di quell’anno, e di loro non aveva saputo più nulla.
Poi il giorno di Natale, di prima mattina, arrivarono delle persone.
Ahmed non aveva idea di cosa ci fosse scritto sul furgone parcheggiato di fronte al caseggiato; non aveva mai imparato a leggere e quella in ogni caso non era neppure la sua lingua, ma vide che si erano messi di buona lena a scaricare degli oggetti.
Erano bottiglie di spumante, panettoni, giocattoli per bambini. Quel giorno almeno avrebbe mangiato, pensò lui cercando di ritrovare il buon umore. Chissà perché regalavano tutte quelle cose, si chiese.
A lui toccò una scatola di cioccolatini.
Destino volle che, per ironia, fosse proprio quella che aveva cercato di rubare.
Ma lui non se ne accorse. Era troppo buio in quello stanzone per vederci bene.

Irraggiungibile

Quando la donna entrò in salotto, Ted quasi non se ne accorse. Alcuni fiocchi gelati che la moglie non era riuscita a scrollarsi di dosso, prima di varcare la soglia, caddero nella penombra della casa.
«Ciao, Tesoro… sono tornata!»
«Ehi, Barbara… hai fatto presto!» disse lui alzandosi dalla poltrona. «Pensavo saresti tornata fra qualche ora!»
Lei se ne stette dapprima immobile cercando una risposta da dare, ma poi non le venne in mente nulla. Si limitò quindi a sorridere e a posare la borsa sulla sedia dell’ingresso per poi sfilarsi il piumino bagnato.
«Sta cominciando a nevicare» aggiunse lei cercando con gli occhi la gattina che non vedeva. «Del resto lo avevano preannunciato al meteo… per fortuna la riunione è finita prima. Un punto dell’ordine del giorno è saltato.»
«Bene, sono proprio contento. Hai cenato? Hai fame? Ti preparo qualcosa.»
«No, Ted, non ho mangiato, ma sono proprio stanca… andrei piuttosto a dormire. Domani è un’altra brutta giornata. Vieni anche tu?»
«È ancora presto. Finisco di vedere la partita…» disse lui risedendosi in poltrona e fissando lo schermo come ipnotizzato. La gattina, nel frattempo, era sbucata da chissà dove e si stava strusciando ai piedi della padrona.
«Ti ha dato i croccantini quell’omone cattivo?» chiese lei accarezzandola. Non avendo ricevuto risposta dal marito, cui la domanda era in qualche modo rivolta, andò in cucina, seguita dalla micetta, e rapidamente lasciò andare nella scodella un pugnetto di cibo.
Dopo dieci minuti, Barbara passò davanti al marito ancora incollato allo schermo. Gli fece un sorriso che lui non vide e poi scosse un po’ la testa dicendo sottovoce:
«Ci vediamo domattina» e chiuse dietro di sé la porta della camera da letto.
Passò mezz’ora e poi un’altra mezz’ora.
Al cellulare di Ted arrivò all’improvviso un messaggio.
L’uomo, che non volveva distogliere lo sguardo dalla tv, cercò a tentoni lo smartphone tra i cuscini della poltrona. Lesse quindi distrattamente il messaggio. Era della moglie.
Scusami, Tesoro, sono bloccata in autostrada. C’è una bufera di neve e il telefonino si sta scaricando. Non so quando riuscirò ad arrivare. Non mi aspettare in piedi. Un bacio. Ti amo.’
Ted balzò in piedi. Si fece scorrere sotto gli occhi più volte quelle parole non riuscendo a credere a ciò che stava leggendo. Pensò a un brutto scherzo. In un attimo fu in camera da letto. Accese la luce. Non c’era nessuno però tra le coperte: il letto era ancora intatto. Ritornò nel salotto. Il piumino della moglie non era appeso all’attaccapanni, e i suoi vestiti di casa erano ancora al solito posto. La gattina, appollaiata sulla sedia dell’ingresso, lo guardava incuriosita. Avvertì un gelo alla nuca.
Compose il numero di cellulare della moglie.
Il segnale faceva fatica a stabilirsi.
Poi si udì:
Il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.’

I regali di Natale

La famiglia Allen era raccolta nella stanza che fungeva da saletta/cucina. Le dimensioni ridotte del locale assicuravano al piccolo albero di Natale, recuperato da Grange alla discarica, una certa presenza scenica. Era di plastica, con ancora la maggior parte delle palline attaccate, ma dal fascino retrò. Nessuno, comunque, né la moglie Constance, né i tre figli ancora piccoli, pareva badare all’odore di stantio e ammuffito che proveniva dai suoi rami spelacchiati.
La casa era pressoché tutta lì. Oltre alla camera da letto e al bagnetto, la saletta/cucina veniva trasformata ogni sera, con un’opera di magia di Consti, nella camera da letto dei figli. E anche se sotto l’albero c’erano solo un po’ di fantasia e qualche sospiro di troppo, l’atmosfera serena da vigilia di Natale era intatta.
Suonarono alla porta.
All’apertura si sentì un chiassoso:
«Oh oh oh!»
Era un panciuto Babbo Natale, sorridente e giocoso. I bambini si alzarono all’unisono e sotto gli occhi meravigliati di mamma e papà che non riuscivano a capacitarsi di quanto stava accadendo si misero ad abbracciare l’uomo vestito di rosso mandando gridolini di visibilio. Di lì a poco alcuni nani vestiti da elfi che si trovavano sul pianerottolo, intonando una canzone di Natale, entrarono nell’appartamentino degli Allen con sacchi pieni di giocattoli. Grange continuava a guardare in modo interrogativo la moglie e la moglie faceva altrettanto con il marito. La domanda era molto semplice: se non erano loro vestiti da Babbo Natale e neppure nessuno dei loro parenti, chi era allora quell’uomo sulla soglia di casa? E perché tutti quei regali?
Non si erano ancora ripresi dalla sorpresa che al suono ripetuto di ‘Buon Natale’ ripetuto come un’eco ossessiva, gli improvvisati ospiti erano già usciti. I figli erano come impazziti. Urlando ‘grazie, grazie’ o ‘ma questo è il Natale più bello di sempre’ avevano cominciato a scartare i regali febbrilmente mentre i genitori non sapevano cosa dire o fare, vista la gioia che leggevano finalmente sul viso dei loro bambini.
Passò qualche minuto e il campanello di casa suonò nuovamente.
«Oh oh oh!» si sentì ancora.
Era un secondo Babbo Natale. Questa volta era di colore, così come di colore erano gli elfi che erano dietro di lui e che in un attimo posarono nell’angusto locale altri sacchi ricolmi di regali.
Questa volta sia Grange che Constance reagirono.
Ci deve essere un errore’ ‘Noi non abbiamo ordinato nulla’ ‘Portate via tutto’ dissero all’uomo di colore che sembrava non capire.
I figli, che avevano sentito, si alzarono tutti insieme e li attorniarono protestando. Quello era Babbo Natale, osservarono, e stava loro portando tutti quei regali che non avevano mai avuto nelle precedenti feste.
Il Babbo Natale di colore pressoché non li ascoltò e, di lì a poco, se ne andò con i fidi elfi. Intanto i sacchi si trovavano oramai uno sopra all’altro. Un paio era addirittura rovinato sopra l’Albero spezzandolo in più parti. L’appartamento sembrava un magazzino.
Trascorse qualche minuto e un terzo Babbo Natale calatosi dal tetto salì sul balcone insieme, anche lui, agli immancabili elfi. Tra le proteste di Grange e Constance e le grida di giubilo dei loro figli furono scaricati in pochi secondi altri sacchi non appena la madre aprì la portafinestra.
Quando anche il terzo Babbo Natale se ne fu andato, madre e padre a stento riuscivano a distinguere i figli in mezzo a tutti quei doni. Li sentivano solo ridere e gridare ogni volta che ne scartavano uno. Vedevano volare in aria le carte colorate e i nastri d’oro e d’argento senza capirci più niente.
Squillò un cellulare.
«Pronto?!?» disse con voce incredula Grange.
«Sì, mi scusi sono della Babbo Natale Limited & Sons… Volevo avvisarla che per un problemino di software abbiamo portato dei regali che non sono vostri…»
«Ce ne siamo accorti… venite a riprenderveli! Subito!» fece con voce seccata Grange mentre i figli avevano smesso di scartare per ricominciare a protestare (‘Ma come, papà, i nostri regali?’)
«Purtroppo non è così semplice…» comunicò il tizio dall’altro capo della comunicazione «vede noi quest’anno abbiamo avuto l’appalto per consegnare i regali del Comune alle famiglie meno abbienti di Brentwood…»
«E allora?»
«E allora adesso si è sparsa la voce in tutta Brentwood che i regali li avete voi e che ve li volete tenere; sono arrabbiatissimi e stanno venendo a casa vostra per riprenderseli. Una pletora infuriata di mamme e bambini che oltretutto pensano che sia colpa vostra. Per ragioni sindacali e di sicurezza dei miei dipendenti non posso mandarle nessuno. Ma un consiglio ve lo do volentieri: io se fossi in voi abbandonerei la casa non prima di aver lasciata la porta aperta, però…»
Grange non fece in tempo a chiudere la comunicazione che sentì un’onda urlante di centinaia di persone che si stava avvicinando minacciosa.
«Presto Consti, prendi i bambini…» ebbe appena il tempo di dire.
Ma era troppo tardi.

Il signore in rosso

Oliviero si trovava in cucina e si stava preparando un panino con la mortadella (sarebbe stato quello il suo cenone della Vigilia) quando sentì un fracasso provenire da fuori della porta. Qualcuno era caduto. Si precipitò fuori accendendo la luce. Sul pianerottolo c’era un uomo piuttosto in carne, vestito di rosso, in mezzo a scatole grandi e piccole confezionate in colori vivaci sparse intorno a lui.
«Accidenti che botta!» esclamò l’uomo ancora disteso. Oliviero si avvicinò per aiutarlo a mettersi in piedi.
«No, per carità, non mi tocchi» fece il signore in rosso. «Faccio da me, la ringrazio. Ogni tanto mi succede con questi carrelli moderni: hanno le ruote davanti che vanno per conto loro e, quando meno te lo aspetti, si bloccano di colpo…»
Oliviero fece un passo indietro per gustarsi meglio la scena e si mise a sorridere.
«Sì, lo so cosa sta per dirmi…» se ne uscì l’uomo vestito di rosso: «che io in realtà non esisto, che sono solo un’invenzione consumistica, che le sembro un amico di un suo vicino di casa e che, insomma, è tutta una mascherata…»
«Lo sta dicendo lei…» gli fece di rimando Oliviero, sempre sorridendo.
«Ecco, appunto… mi aiuti però almeno a rimettere i regali sul carrello» sollecitò  il signore in rosso che, già in piedi, si stava spazzolando il vestito con le mani: «non riuscirò altrimenti a portarli dentro tutti, al numero 4.»
«Dai Serra?»
«Sì… mi pare si chiamino proprio così e hanno pure cinque figli…»
Poi l’uomo in rosso si diede una manata sulla fronte.
«Ecco, ma che testa che ho! Mi sono dimenticato che loro sono in sei quest’anno. C’è anche il nipotino Mark appena arrivato da Miami. Non posso farlo rimanere senza regali! Che figura ci farei?»
«Davvero…» domandò Oliviero grattandosi la testa «…come fa ad avere tutte queste informazioni? Che tipo di parente è lei? Conosco bene i Serra, da anni, io a lei non l’ho mai vista…»
«Lasci perdere, Oliviero… e poi comunque fa proprio male a non fare neppure l’albero…»
Oliviero rimase interdetto. L’uomo sapeva il suo nome ed era conoscenza del fatto che non avesse fatto l’albero di Natale in casa. Stava per chiedergli di nuovo come facesse a sapere quelle cose, ma preferì abbozzare una risposta che suonò tuttavia come una giustificazione non richiesta:
«È che non ho figli, né nipoti ed è comunque una gran seccatura comprare l’albero, addobbarlo, mettere le luci, per poi disfarsene pochi giorni dopo.»
«Ma così impedisce allo spirito del Natale di entrare in casa sua… Tutti noi abbiamo bisogno d’amore, non trova?»
I due si guardarono per un po’ senza dir altro; poi il timer della luce delle scale scattò e si spense. L’uomo vestito di rosso schioccò le dita e la luce si riaccese.
«Mi dia allora almeno un’occhiata ai regali mentre torno giù, vado e vengo…» disse il signore in rosso che già aveva preso a scendere le scale.
«No, guardi ho altro da fare, stavo giusto cenando…» fece a quel punto lui scorbutico.
«Sì, ha ragione, vada vada, sennò il panino con la mortadella le si raffredda!»
Oliviero fece una smorfia a quella battuta ironica e si chiuse la porta rumorosamente dietro di sé. Stava ancora scuotendo la testa quando vide che in sala, davanti a lui, c’era un albero di Natale che arrivava fino al soffitto, ricolmo di palline e di addobbi di ogni tipo, luci accese, colorate e intermittenti, comprese. Era bellissimo. Corse in cucina e al posto del panino alla mortadella trovò il tavolo imbandito con ogni leccornia tipica del cenone della Vigilia. Uscì rapidamente sul pianerottolo: non c’era nessuno e neppure il carrello né i regali a terra. Gli sembrò di sentire anche una risata liberatoria e soddisfatta provenire dal basso. Ma non ci avrebbe giurato.
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Buon Natale

christmas«Allora, dove passerai il Natale?»
Hap alzò lo sguardo dal libro. Sembrò far fatica a mettere a fuoco l’amico che gli era di fronte. Posò gli occhiali e fece un sorriso stanco gettando un’occhiata per un attimo verso il muro dalla parte opposta.
«Penso che come tutti gli anni andrò negli Hamptons, con moglie, figli e cani al seguito…» rispose dopo un po’ Hap cercando ora gli occhi di Leo.
«E quanto tempo ci resterai?»
«Due settimane, come al solito, tempo e lavoro permettendo» fece lui mostrando i palmi delle mani come se quel concetto dovesse essere evidente. «In quella villa così grande non ci vado quasi mai… dovrò decidermi a venderla. Nemmeno Ann ci si trova bene: si sente sola persino con la servitù; anche i ragazzi… se non li porto ogni tanto a far un po’ di pesca d’altura al marling si annoiano facile.»
«Ti capisco, è l’effetto deprimente che a volte fa il mare…» disse Leo lisciandosi la barba di un paio di giorni e sedendosi vicino all’amico. «Io infatti preferisco la montagna.»
«E tu dove andrai invece?»
«Io che sono più vecchio di te me ne starò invece tranquillo nel mio chalet sul Lago Tahoe anche se assediato dalla mia tribù di nipotini. Faranno un gran baccano, come sempre, ma vederli al mattino di Natale starsene a rovistare sorridenti tra i regali ai piedi dell’abete di otto metri che ho comprato apposta per loro, è un vero balsamo per gli occhi.»
«Eh già già…» annuì Hap posando il libro e mettendoci l’indice in mezzo per non perdere il segno. «Mia figlia grande, per ora, non ne vuol sapere di mettere su famiglia: ci ha presentato questo suo nuovo ragazzo, che, per carità è pure di buona famiglia, educato e rispettoso, ma è lei che non mi sembra granché convinta…»
«Forse perché il ragazzo non piace al papà» fece Leo ironico.
«No, che dici, ho smesso da tempo di impicciarmi di queste cose; no, è piuttosto che non mi sembra innamorata, ecco, tutto qui… Prendi per esempio l’altro giorno: lui, questo ragazzo, questo John, ha preso l’aereo dall’Europa dove si trovava per non so quale motivo e si è fatto 6.000 miglia solo per essere presente al pranzo del compleanno di Margaret, mia figlia; e lei, quando l’ha visto entrare, gli ha rivolto un gelido ‘ah, sei qui?»
«Mah, sono i ragazzi di oggi… non ci badano mica alle formalità; loro sono concreti, vanno dritti alla sostanza non sono come eravamo noi…»
«Dici?»
«Dico dico… te lo assicuro… e che regalo farai a tua moglie?»
«Quest’anno sono vent’anni di matrimonio… le regalerò un anello bellissimo che ho fatto arrivare tramite il mio gioielliere di fiducia direttamente dal Sud Africa…»
«Caspita che regalone! Io invece ho pensato a una serra.»
«A una…?»
«A una serra, una serra nuova per le piante: a lei piace tantissimo, ma anche a me del resto. Coltivare le orchidee e le piante grasse dà molta soddisfazione: sai, è un passatempo che abbiamo entrambi, che ci accomuna, ed è un modo come un altro per stare insieme, dopo tanti anni…»

«Ma che bella coppia di inguaribili sognatori…» si sentì dire alle loro spalle. I due ergastolani si girarono. Chuck il secondino, li stava squadrando con l’aria strafottente di sempre. «Se non spegnete subito quella luce, come vi ho già chiesto di fare da un po’, vengo lì dentro e vi rompo i denti a tutti e due.»
Hap e Leo si guardarono senza dir nulla. Hap allungò la mano e spense lentamente la luce della cella salendo poi sul superiore dei letti a castello; subito dopo anche Leo prese posto nel suo letto in basso. Calò il silenzio. Si sentivano solo rumori lontani e indistinti che in un carcere di massima sicurezza non si sa mai da dove provengano. Il buio si era già rarefatto e le ombre si stavano dividendo quella stanzetta sghemba.
«Allora buon Natale, Hap.»
«Sì, buon Natale anche a te, amico mio.»

La seconda parte segue con –> Maricopa
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