Si era alzata molto presto quella mattina. Lui le aveva chiesto di aiutarlo e lei, un po’ per noia, un po’ per simpatia, aveva accettato. Avevo scoperto a sue spese quanto fosse però faticoso caricare il furgone alle due di notte con ogni genere di mobilia e partire per un paesino sperduto dove si sarebbe tenuta la mostra dell’antiquariato. Senza contare il caldo africano di quei giorni. Ma ormai era fatta, era lì con lui, e se la doveva sbrigare. Arrivati sul posto all’alba, sistemarono i mobili nella piazzola assegnata, nell’area dei giardini pubblici; ben presto arrivò gente, colorata, chiassosa, come a un avvenimento mondano. Dopo qualche ora si accorse che tutto sommato era divertente stare lì, all’aperto, a contatto con le persone, mostrarsi intenditrice e spigliata nel decantare la struttura di un armadio o le venature di un tavolo. Un gioco insomma, un bel gioco.
«Mi fumo una sigaretta, torno fra un po’» gli disse sorridendo. E con la sua sigaretta se ne andò poco distante sui gradini della chiesa di San Properzio. Si sedette, soddisfatta di quello che stava facendo. Cercò nella borsetta: era senza fiammiferi. Fermò una ragazza con un accendino in mano. «È scarico» le disse dispiaciuta. Dopo una decina di minuti, smaniosa di fumare, bloccò un uomo che aveva una sigaretta tra le dita anche se spenta. «Hai da accendere?» gli domandò piena di aspettative. «No, mi spiace, ho anch’io lo stesso problema.»
Si stava facendo tardi e la ragazza tornò indietro contrariata. Cercò di non pensarci anche se continuò a guardarsi in giro nella speranza di intercettare con gli occhi qualcuno con una sigaretta accesa. Stava spiegando a una signora che non poteva comprare una sola sedia delle quattro esposte quando le giunse l’odore del fumo di un sigaro. Si liberò in fretta della donna mettendosi in mezzo alla stradina per capire da dove provenisse quel profumo. Si girò su se stessa temendo appartenesse a qualcuno passato di lì mentre era distratta. Ma poi lo avvertì di nuovo: arrivava dal portone aperto della casa di fronte. Senza pensarci un attimo, sempre più determinata, s’infilò la sigaretta in bocca e salì di corsa le scale. Si arrestò davanti alla prima porta. Bussò. Nessuno. Salì la seconda rampa bussando ancora. Nulla. Si voltò sul pianerottolo: la porta era aperta. Gli arrivò all’improvviso un’altra ondata impalpabile di sigaro: era il posto giusto. «È permesso?» chiese entrando nel corridoio. Per qualche istante ci fu silenzio, quindi sentì dire:
«Entra, entra». Non era possibile capire da dove arrivasse quella voce calda e impostata: la casa era incartata nella penombra e i suoni ovattati, ovunque aleggiava insinuante l’odore di un buon avana. «Hai bisogno di qualcosa, cara?» Lo vide. A pochi metri da lei, all’interno della sala, una persona molto anziana era vestita dei soli calzetti scuri e stava placidamente seduta sulla poltrona a fumare il sigaro. Il corpo era lattiginoso, cadente e una folta peluria bianca spuntava dal petto incassato da cui si dipartiva un ventre prominente e gonfio; il sesso raggrinzito era esibito in tutta evidenza: quella figura sembrava così rilucente nel chiaroscuro della stanza che la ragazza si meravigliò persino di non averla notata subito. «Posso offrirti da bere? Chissà che sete avrai con questo caldo…» insistette.
In un attimo la ragazza ridiscese i gradini fecendoli a due a due. Quando fu in strada era senza fiato e la sigaretta, in bocca, era spezzata in due.
‘È proprio ora che io smetta di fumare’ si disse strappandosela dalle labbra; e la gettò lontano nel tombino.
Antiquariato
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