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Un muro di foto
«Vuoi davvero sapere cosa c’è lì dentro? Sei proprio un curiosone!»
Pronunciò quelle parole in modo grave, tanto che mi sentii in dovere di chiarirgli che saperlo non era poi così importante. Al suo perentorio ‘seguimi’, però, mi arresi. Tirò fuori da sotto la tonaca una chiave lunga, d’altri tempi girandola più volte nella toppa troppo grande:
«È una stanzetta che fungeva una volta da anticamera allo studio» mi spiegò in modo concitato «ma da quando sono qui non l’ho mai usata per questo scopo.»
Aprì finalmente la porta e, accesa la luce, si scostò per farmi entrare. Rimasi a bocca aperta. Le pareti della stanzetta erano letteralmente tappezzate di foto, per lo più in formato tessera o, al massimo, in formato cartolina.
«Chi sono?» domandai io con la bocca spalancata.
Padre Ercole, sembrò ammirare le foto a una a una e, per qualcuna di essa, sorrise anche; quindi mi mormorò:
«Sono tutte le persone che ho incontrato nella mia vita e che ora non ci sono più. Amici, parenti o anche solo conoscenti.»
«Ma sono tantissimi…» commentai in un modo che sembrò un’obiezione.
«E pensa che io non ho grosse relazioni con il prossimo, nonostante il lavoro che faccio… Sono sicuro che ne conosci altrettante anche tu, se solo ci pensassi un po’. Io ho appeso le loro foto perché mi aiuta a ricordarle, a capire cosa non ho fatto per loro e che avrei invece dovuto fare e, soprattutto, cosa hanno significato per me.»
C’erano persone giovani, coppie che si abbracciavano felici, un signore anziano con la zappa in mano e un ragazzo con lo zaino in spalla che pareva volesse conquistare il mondo: facce sorridenti, serene. Una piccola comunità, insomma, cancellata dalla faccia della terra.
«Spero solo di finire su questo muro il più tardi possibile» sbottai sincero. «Cominciando con il non darti una mia foto.» Dissi così, cercando d’incrociare gli occhi del sacerdote, che stava, però, guardando a terra. «Ma che stupido!» seguitai «Tu ce l’hai già una mia foto, vero?»
«Sì…» ammise lui volgendo la testa da un’altra parte «… non si sa mai.»