Dammi una mano

«Ti aiuto a tagliare il prato, nonno?» Il vecchio guardò per un attimo il nipote, pensando a cosa potesse fargli fare. Il volto del bambino si era acceso in un sorriso contagioso.
«Ma sì, mentre inizio qui, tira su i rametti che trovi qua e là così faccio meno fatica a passare il tosaerba.»
Il vento, che spesso rinforzava in quella zona, faceva cadere dalle decine di querce una quantità considerevole di piccola legna che, finendo tra le lame della macchina, rendeva difficoltoso il taglio. E il bambino, accettando di buon grado il suo compito, andava e veniva per il prato come un’ape laboriosa depositando nella cesta, messagli a disposizione dal nonno, tutti i rametti che trovava.
Poi Tommy, tornando da una delle sue corse a perdifiato da dietro le compostiere, si bloccò impietrito davanti al nonno.
«Cosa c’è, tesoro?»
«Nonno nonno, c’è una mano, laggiù!»
«Una mano? Ma cosa dici?»
«Sì, una mano… la mano di una vecchia…»
«Fammi vedere.»
Il nonno spense il tosaerba e, preso per mano il bambino, si fece accompagnare.
«Ecco, è lì dietro» fece Tommy fermandosi a debita distanza e indicando un punto dietro le compostiere. Il vecchio rovistò con cautela. C’era un nugolo di mosche là attorno e un odore di carne putrefatta che toglieva il respiro. Raccolse delicatamente la mano diventata grigio-nera, e, girandosi verso il nipote, gli disse:
«Non devi avere paura Tommy. È la mano di Elsa, la mia vicina di casa. Una settimana fa, mentre era nell’orto, è stata morsa al palmo da una vipera. Siccome aveva la roncola in mano, non ci ha pensato neppure per un attimo e si è troncata di netto la mano all’altezza del polso prima che il veleno le andasse in circolo; e poi, come se niente fosse, tamponandosi il moncherino, se n’è andata a piedi da sola in ospedale. Donne d’altri tempi!»
Il bambino continuava a fissare quella mano mozza che si agitava tra le dita del nonno. Era sempre più pallido.
«Quando poi è tornata a casa non ha più trovato la mano anche se l’abbiamo cercata ovunque. Evidentemente qualche gatto se l’era portata via.»
Poi l’uomo, con un colpo secco, sfilò la fedina d’oro dall’anulare.
«Sarà contenta di riaverla…» disse sorridendo e buttando la mano rattrappita nella compostiera.

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Una pietra magica

Stavo preparando nell’ex garage, nelle dosi canoniche, la mistura di sabbia, torba e semi d’erba, con dicondra e trifoglio, quando sento alle mie spalle:
«Che fai?» Era ‘Svaldi, il nipotino di otto anni di Nello. Non lo sento mai quando mi arriva alle spalle.
«Ciao, ‘Svaldi… cerco di far venire l’erba dalla parte di là, dalle galline… anche se è difficile che prenda perché è tutto in ombra.»
Il bambino era sulla soglia appena sotto la basculante. Sembrava annusasse l’aria e la trovasse strana. Aveva ragione, lì dentro tengo di tutto: fertilizzanti, legna, diserbanti, olio di macchina, benzina. «Se vuoi ti presto la mia pietra magica…» mi fece lui arricciando il naso «basta che la seppellisci un po’ nella terra…».
«Ma perché dovrebbe essere magica la tua pietra?» gli chiesi mantenendomi serio.
«Perché sono andato al Santuario col nonno l’altra domenica e l’ho buttata nell’acquasantiera. Nonno dice che l’acqua santa è potentissima.»
«Ha ragione… ma se la pietra la dai a me tu come fai senza?»
«Ho Bill, lo spietato marine, che mi protegge» e con una mossa rapida cavò dalle tasche dei pantaloni corti un soldatino di plastica grigia.
«Ti protegge?!?» feci io mentre amalgamavo con forza il mio impasto più duro del solito.
«L’ho buttato nell’acquasantiera insieme a Frank il cercamine, Harry il suo fido attendente e il mio carro armato preferito Spaccatutto.»
«Hai messo nell’acquasantiera i soldatini?!?» chiesi io stupito. «E non ti han detto niente?»
«Altroché. Mi hanno sgridato che non la finivano più. ‘Non si gioca nel Santuario!!!’», scimmiottò lui con lo sguardo imbronciato, una mano dietro la schiena e l’altra a mezz’aria a dir di ‘NO’. «Ma io mica ci giocavo… volevo solo che i miei soldatini diventassero potentissimi.»