Cucciolo

Avevo appena finito un lavoro in ufficio e, francamente, non mi era riuscito benissimo. Per tirarmi su il morale pensai di fare quattro passi per andare a prendere un ‘cucciolo’ da Oreste al bar del Cinghiale. Lui sa fare un caffè con una panna freschissima e una spolverata di cacao Van Houten che ha del miracoloso: lo ha chiamato ‘cucciolo’ forse per quella sorta di cappellino che la panna crea sopra alla tazzina calda e fumante. Mi stavo pregustando quella leccornia, quando entrò nel locale la signora Spicciaùti. Era senza il suo trionfante cappello con le piume di fagiano tant’è che i capelli ramati erano sciolti con i boccoli morbidi che le toccavano le spalle leggere. Spingeva la famosa carrozzina che ‘Gi mi aveva raccontato essere vuota senza cioè alcun bambino dentro.
Il parlottio insistente del bar si fece brusio e il brusio si dissolse nel silenzio.
La donna, guardando avanti a sé, ancheggiando come una femme fatale in un tailleur stretto che ne amplificava le forme, si diresse altera al bancone, proprio vicino a me.
“Mi può scaldare questo?” bisbigliò con una voce suadente la donna allungando il biberon a Oreste. Il barista la fissò come ipnotizzato e prese il biberon alla velocità di un bradipo colto da un eccesso di pigrizia.
“Ma certamente signora, per me è un piacere.”
Ovviamente Oreste mollò il mio caffè che si stava già raffreddando sulla macchina per occuparsi entusiasta del nuovo incarico. Ma non protestai. La voglia di accertarmi che non ci fosse davvero nessun neonato in quella carrozzina era fortissima. Mi sembrava pazzesco, tutto sommato, che quella bella signora piacente, dall’aria fin troppo normale, se non fosse stata per quell’avvenenza eccessivamente debordante per la gente assopita di Lughi, potesse andare giro per il paese spacciandosi per la mamma di un bambino che in realtà era solo frutto della sua fantasia.
Cercai di sporgermi, ma non avevo il coraggio. Poi Oreste arrivò con il biberon caldo e glielo restituì. Lei fece per aprire la solita borsettina appesa al manubrio del passeggino, ma con una mano sola non vi riuscì. Mi mise allora letteralmente in mano il poppatoio, dicendomi:
“Me lo può tenere un attimo?”
La donna, con le mani libere, fu in grado di agevolmente aprire la borsetta da cui cavò un bavaglino con una trombettina gialla ricamata da un lato. Quindi si protese sensualmente verso l’interno del passeggino, probabilmente per allacciarlo al figlio. Il momento era propizio. Anche se, in quella circostanza, mi sentivo piuttosto ridicolo con quell’oggetto in mano, feci per avvicinarmi: era il biberon che mi dava questa licenza. Allungai un po’ il collo, ma il bel corpo di lei mi copriva la visuale. Una tendina posta sopra all’imboccatura oltretutto non lasciava intravedere nulla.
Poi la donna si rigirò regalandomi un dolcissimo sorriso, cui contraccambiai restituendole il biberon. Ero ormai rassegnato a veder insoddisfatta la mia curiosità, quando, proprio mentre la signora Spicciaùti provava, con quel gesto che già le avevo visto fare, la temperatura del latte, versandosi alcune gocce sul polso sinistro, vidi distintamente le copertine nella carrozzina che si mossero due o tre volte. Mi venne un sobbalzo al cuore. Allora non era vero che la donna era una visionaria! ‘Gi si era sbagliato! La Spicciaùti era una dolce e premurosa mammina! Mi gongolavo a questa idea, dimentico del mio caffè spolverato di cacao oramai gelido e rappreso. Ero davvero felice. Rimiravo quel quadretto così tenero quando, nell’esatto istante in cui la donna stava per riprendere il manubrio del passeggino, da sotto le copertine, scivolò fuori, per una frazione di secondo, la coda di un cane. Doveva essere un Yorkshire o un suo incrocio. Rapida, la donna la fece sparire sotto la copertina che rassettò con cura. Quindi, girando di pochi gradi la testa, salutò tutti in modo solare. E uscì.