Martha Playing

Lo stadio era pieno di gente e anche il pubblico era quello dei concerti migliori. Una serata fredda forse, ma loro che stavano suonando, agitandosi e ballando, non se ne stavano neppure accorgendo.
Mark, il frontman, era soddisfatto e lo era anche Kathya, la sua nuova groupie che oramai lo seguiva dall’inizio del tour.
«Quando fate ‘I wanna go over’? gli chiese Kathya all’intervallo di metà concerto. Lui posò la chitarra in un angolo, ma non rispose. Se ne stette a guardare per un po’ l’enorme luna piena intrappolata tra le due torrette di comunicazione della sala stampa dell’ultimo piano. Incombeva così tanto su di loro che sembrava voler cadere da un momento all’altro all’interno dello stadio come una palla in un canestro.
«Prima c’è Martha…» disse Mark guardando la ragazza negli occhi. Ma Kathya era fatta più del solito tanto che lui non era convinto avesse capito. Continuava infatti a ballare dietro le quinte del palco al suono di una musica inesistente mentre sul campo regnava sovrano il brusio di almeno 50.000 giovani seduti sul prato.
Passarono ancora alcuni minuti e poi apparve dal lato opposto una bambina minuta con una Ovation in mano. Prese una sedia e la sistemò davanti al microfono che aggiustò in altezza. Si sedette concentrata. I primi del pubblico che si accorsero di lei si azzittirono incuriositi essendo la sua presenza al concerto di una rock band del tutto irreale; e il silenzio si diffuse come un’onda di alta marea tanto che la gente, in un attimo, si fece attenta e in attesa. Poi le luci si spensero all’unisono e un solo faro proiettò una pozza di luce calda su quella presenza che iniziò a suonare e a cantare.
La voce si levò dolcissima come la musica di quella chitarra. Sembrava una carezza spontanea, una voce amica, gentile, un conforto inaspettato sbucato da dietro l’angolo della vita, una voce che parlava di amore e di odi che sfidano il tempo e non hanno mai fine.
Gli occhi della gente brillarono nell’oscurità. Sul viso avevano un’espressione incredula per le sensazioni che quei suoni sapevano creare. Alcuni dissero, giorni dopo, che era stato possibile sentire persino il battito dei propri cuori.
E quanto la canzone terminò e si riaccesero le luci nello stadio tutti si alzarono ad applaudire verso il palco vuoto perché la bambina era già andata via. E applaudirono a lungo anche se quello non era il genere di musica che erano venuti a sentire, anche se quella presenza esile, con quella voce incredibile, neppure sapevano chi fosse.
«Bellissima Mark, non ho mai sentito una cosa simile…» gli disse Kathya tirando su con il naso e asciugandosi gli occhi. «Sarà la vostra supporter?»
Mark, che era sempre di poche parole, si accese una sigaretta. Si stava ancora godendo il pubblico che in piedi applaudiva chiedendo il bis. La luna piena nel frattempo si era sganciata dalle torrette di comunicazione e ora provava a indossare una diafana nuvola di passaggio.
«Martha era la mia sorellina» disse dopo un po’. «Quando tempo fa ho mi ha fatto sentire per la prima volta questa sua canzone le ho promesso che le avrei lasciato uno spazio tutto suo in un nostro concerto per poterla cantare. Martha aveva tutti i numeri per diventare una grande popstar. Ma è morta di leucemia fulminante sei mesi fa. E io ho voluto ugualmente mantenere la mia promessa.»