Yan Yan

Yan Yan si distese sul futon lercio. Era stanchissimo. Lo stomaco brontolava. Il cibo che passavano era insufficiente e maleodorante. Oramai erano due mesi che si trovava in quella struttura, con turni massacranti e condizioni di vita pessime. Non c’erano però alternative, pensò mentre cercava di rimanere un po’ sveglio per riordinare le idee, intanto che i compagni di lavoro riempivano il dormitorio. Ma il sonno, come al solito, arrivò in un sussulto trascinandolo in un baratro nero senza sogni.
Yan Yan, nonostante fosse molto giovane, era responsabile di filiera: line manager, lo chiamavano. Doveva controllare che sulla piastra fossero inseriti correttamente i componenti B6m, R2s e HH32. Poi le schede madri venivano inviate altrove in una sezione vicina dello stesso stabilimento. Non tutti i lavoranti tuttavia erano bravi e veloci come lui e spesso doveva intervenire rapidamente quando qualcuno di loro era in difficoltà. Se i vigilanti se ne fossero accorti le sanzioni sarebbero state severe. Aveva visto un operaio che era stato sbattuto con violenza contro un muro per avere invertito i pin del pannello frontale del case cagionando il blocco momentaneo dell’intera catena di montaggio. Il lavorante era rimasto per terra una buona mezz’ora, con un rivolo di sangue che gli fuoriusciva da un orecchio; poi, senza riprendere conoscenza, l’avevano trasportato via come un sacco di soia e sostituito con un altro addetto, sbucato da chissà dove.
Yan Yan, come responsabile di filiera, godeva di una certa libertà di movimento. Una volta era addirittura salito furtivamente all’ultimo piano dello stabile per capire dove si trovasse. Lui e i suoi compagni erano infatti arrivati a notte fonda chiusi in un container dopo una settima di viaggio e, una volta all’interno del complesso, non erano più usciti. Le finestre erano tutte murate mentre il portone di ingresso era blindato e presidiato da una squadra di vigilanti. Attraverso un piccolo buco nel muro, praticato da qualcuno prima di lui, aveva però potuto accorgersi che intorno allo stabilimento c’era solo aperta campagna a perdita d’occhio. Campi di erba secca e colline brulle. Poteva trovarsi in un qualunque paese del globo.
Gli era giunta anche voce che non erano i soli a lavorare alla catena. C’era anche un altro gruppo di operai che faceva il turno di notte. Del resto, lo si poteva capire dal fatto che il lavoro, tra un turno e l’altro, andava avanti ugualmente tanto che i lotti da loro trattati non avevano numeri sequenziali all’inizio di ogni ciclo.
Il suo turno andava dalle 7 del mattino alle 19 di sera; interrompevano solo per un quarto d’ora per il pranzo e un quarto d’ora per la cena, girandosi semplicemente dalla postazione di lavoro per non contaminare i componenti sterili. Ogni quattro ore poteva dormire sul posto per non più di 5 minuti o, a scelta, andare in bagno o andare a bere l’acqua scura del rubinetto. Poi, a fine turno, sciamavano tutti da un unico portone facendo un percorso tale da non poter incontrare l’altro personale. I lavoranti del secondo turno di notte, dopo aver riposato nell’unico dormitorio, raggiungeva il luogo di lavoro per un altro percorso e un diverso accesso. I due turni, insomma, non si incontravano mai. Che il suo futon fosse utilizzando da altri, Yan Yan lo aveva compreso però subito, per il fatto che trovava infatti sempre qualcosa di spostato tra le sue cose e un odore non suo sul materassino.
Una sera, seminascosto dal futon, trovò 25 yuan. Il guadagno di una giornata di lavoro. Chi l’aveva usato in sua assenza li aveva persi. Yan Yan scrisse un biglietto cercando di nasconderlo insieme ai soldi in una piega del materassino. Non voleva che gli altri occupanti di quella squallida stanza lo scoprissero.
Il giorno dopo rinvenne nello stesso posto un biglietto di carta azzurra. Era di ringraziamento ed era firmato Kumiko. Chi occupava il futon nell’altro turno era una donna! Lui dormiva nello stesso posto doveva giaceva una femmina. Ecco perché di tutto quel mistero sul personale del turno di notte.
Trascorsero così alcuni giorni e poi Yan Yan decise di conoscere meglio Kumiko scrivendole ancora con quelle stesse modalità. Continuava a fantasticare su di lei, su chi potesse essere. Kumiko, dopo alcune titubanze, gli rispose. Così, seppe che lei aveva sedici anni, veniva dallo Guangxi, dove aveva fatto la sarta, e che lavorava a quella stessa catena di montaggio da circa sei mesi.
Yan Yan e Kumiko, da allora, si scrissero per diverse settimane fino a desiderare di incontrarsi, anche se era davvero difficile per l’inconciliabilità dei turni e la severità dei controlli.
Poi, un giorno, si misero d’accordo che l’uno avrebbe almeno cercato di vedere l’altra.
Lei si fece coraggio: scappò per pochi minuti dal dormitorio e riuscì a scorgerlo nella sua divisa da manager di linea. Il giorno dopo lui fece lo stesso: lei si era messa tra i capelli un fiore di stoffa che aveva preparato quando ancora si trovava a Shuxian.
Nessun si accorse di nulla. Ma trascorsero alcuni altri giorni senza che lui scrivesse più.
Lei non sapeva più cosa pensare. Era amareggiata. Non gli era evidentemente piaciuta. Come dargli torto. Quella vita non l’aveva resa certo più bella ed era tanto smagrita.
Dopo una settimana lui scrisse in un biglietto: “Sposiamoci”.
Lei rispose: “Va bene, però prima fuggiamo”.