Di pattuglia

La macchina della Polizia Municipale veniva su lenta per lo stradone. Dietro a lei si era formata una fila di altre vetture, ma nessuno osava sorpassare.
«Va tutto bene Franco? Hai un’aria abbattuta…» A quella domanda, il collega che guidava, spostò il busto verso il volante come se si stesse aggiustando sul sedile, poi alzò un poco la visiera del cappello:
«È… è il piccolino: ha preso di nuovo l’influenza e non ha fatto dormire né me né mia moglie per tutta la notte». Beppe sorrise dentro di sé: aveva giurato che sarebbe rimasto single tutta la vita, per quel motivo e per mille altri.
La macchina transitò al limite dello spegnimento del motore davanti al tabaccaio, al Bar Sport e poi lungo la piazza.
«E quello quando lo han messo!?!» esclamò Beppe estroflettendo l’indice appena sotto il naso del collega. Un autovelox sembrava sbucato come un monolite malinconico dal ciglio della strada; li guardava entrambi con gli occhi quadrati e opachi.
«A te hanno detto niente in Comune?» chiese Franco fermando la macchina in mezzo alla strada e costringendo tutte le altre dietro a loro a fare altrettanto. I due scesero e subito gesticolarono infastiditi verso le altre vetture per farle circolare. Beppe, per un attimo, parve persino che scacciasse le mosche.
«Sono quelli della stradale che ce l’hanno piazzata, potrei scommetterci lo stipendio» fece Franco assestando una pacca sul corpo dell’Autovelox.
«Già, ma almeno in Comune potevano avvertirci» fece l’altro che, scuotendo la testa, ora stava nuovamente guardando la strada con i suoi finti rayban comprati da un vero marocchino.
«Se la vedranno loro…» insistette Franco che sentiva il sonno pungere le palpebre.
«E meno male che ci hanno pensato!» se ne uscì un uomo sulla sessantina che stava pareggiando con il forbicione la siepe di bosso del suo giardino. «Qui siamo in una frazione e voi vi fate vedere quando vi pare. Così in questo stradone vanno a una velocità folle. E non è solo per il rumore. L’altra settimana per poco non investono un bambino».
A Franco non piacque quel tono insolente, preferì però non replicare. Si girò verso il collega dicendogli di andare. Si trovavano già seduti in macchina quando si sentì bussare al finestrino: era una vecchietta. Beppe tirò giù il vetro scocciato.
«Quell’autovelox lì non ce l’ha messo la Polizia» fece la donna impastando le parole. «L’ha costruito lui, quel fabbro comunista senzadio. È solo un involucro di metallo, sapete, dentro è tutto vuoto».

Autovelox allo spray

Browser posò per un attimo il mastodontico panino sbocconcellato come solo avrebbe potuto fare un topo gigante. In quel gesto goffo, un cetriolino si liberò dalla presa della mortadella e del pane e rotolò sino a me. Browser squadrò preoccupato sia me che il cetriolino. Poi, veloce come un gatto, lo afferrò per lanciarselo in gola.
«Guarda che a me non piacciono i cetriolini» gli feci tentando di rassicurarlo.
«Non si sa mai» fu la risposta lapidaria mentre con pochi colpi di mascella lo stava già giustiziando. «Comunque non è vero che non mi muovo mai di qui» mi farfugliò in un linguaggio reso quasi incomprensibile dal successivo boccone che stava impastando.
«Ah no?»
«No. Ieri, per esempio, sono stato a Collefili e ci sono pure arrivato in venti minuti netti.»
«Hai praticamente volato.»
«Già, ogni tanto mi piace correre.»
«Lo sai che ci sono almeno due autovelox lungo la strada, vero?»
«Quelli non mi preoccupano. Ho inventato uno spray da spruzzare sulla targa della macchina. All’apparenza la targa rimane inalterata, ma in concreto diventa illeggibile alla foto.»
«Questa sì che è una bella invenzione!»
«C’è da diventarci ricchi, lo so. Guarda tu stesso, è il flacone vicino a te.»
Mi girai intorno e, seminascosto tra le riviste di informatica, lo trovai.
«Ma questo è un semplice spray per zanzare» gli comunicai sorpreso.
«Non è possibile!»
«Controlla…» gli dissi facendoglielo ruzzolare vicino.
«Porc… nella penombra del garage devo aver scambiato i flaconi!»
Per un po’ rimase con lo sguardo per aria aprendo un paio di volte la bocca come fosse stato un pesce allamato. Quindi riprese a mangiare tranquillo il panino:
«Va beh… tanto la macchina è ancora intestata a te.»