Sulla strada

Quella era una strada che Alberto non faceva mai volentieri. Troppe curve, troppi chilometri, troppa nebbia. Capitava una volta al mese di doverla risalire dalla piana al poggio, ma, se non ricordava male, erano passate solo tre settimane dall’ultima volta; e questo contribuiva a peggiorare il suo cattivo umore. Accese la radio. Non l’avrebbe aiutato a veder meglio nella nebbia fitta, ma sicuramente avrebbe tamponato quella sensazione spiacevole di essere, in quel mattino gelido, l’unica persona sveglia nella valle. Stava cercando un canale che trasmettesse solo musica e non pubblicità, quando dal ciglio della strada si materializzò un uomo che agitava le braccia nella sua direzione facendo voci. Inchiodò il furgone.
«Mi scusi, mi scusi» fece la persona anziana, vestita da cacciatore, avvicinandosi. «Non volevo spaventarla. Mi si è bloccato il motorino. È la candela… è bella che andata…» e si guardò indietro in un punto indefinito della carreggiata dietro a lui dove la nebbia nascondeva il suo mezzo in panne. L’uomo aveva un viso tirato, larghi baffi che gli coprivano parte delle guance sgonfie e un sorriso simpatico che a tratti gli accendevano gli occhi chiari. Alberto, mise le frecce di emergenza e accostò. «Mi spiace averla dovuta fermare così» insistette il vecchio tornando indietro verso il ciglio della strada «ma sono ore che sono fermo e non so più che fare». Raggiunsero il ciclomotore sul ghiaino. Era piuttosto malandato. Appena dietro al faretto smangiato dalla ruggine il muso furbo di un setter irlandese iniziò subito a fare le feste.
«Buona Frieda, buona, il signore adesso ci aiuta.» Il vecchio, senza parlare, mostrò la candela consumata oltre ogni misura rigirandosela nella mano macchiata d’olio.
«Mi sembra che ci sia un meccanico a pochi chilometri di qui» disse Alberto al vecchio che ricambiò lo sguardo con un’espressione d’immensa gratitudine. «Salga, poi la riporto qui.»
«No, preferisco rimanere con Frieda, se non le dispiace. Non posso lasciarla da sola nella nebbia, avrebbe paura e potrebbe scappare. E poi ho notato che lei non ha posto, lì dietro, sul suo furgone».
«D’accordo, faccio in un attimo, allora».
«Tenga» fece il vecchio consegnandogli l’intero suo portafoglio tra le mani.
«Ma no, cosa fa? Mi paga dopo, quando torno.»
Alberto risalì sul furgone. La nebbia era così densa che al volante già non scorgeva più né il vecchio, né il cane. Percorse molto lentamente i pochi chilometri che lo separavano dal paesino dove per fortuna trovò il distributore di benzina con annessa officina. Non sapeva bene perché, ma era felice di poter essere d’aiuto. Un benessere ingenuo, sottile e delicato. Si era perfino dimenticato della sua giornata di lavoro e del cliente che lo stava sicuramente aspettando in negozio.
Di ritorno, giunto al ponte in pietra, arrestò il furgone mettendosi subito a cercare il vecchio; di lui però nessuna traccia. Chiamò, a voce alta, caso mai si fosse mosso nell’attesa. Era sicuro che quello fosse il posto giusto. Ma nulla. Dopo qualche minuto si fermò un’auto.
«È successo qualcosa? Ha bisogno di aiuto?» chiese un uomo sui quarant’anni sporgendosi dal finestrino.
«No, io no» rispose Alberto, confuso. «C’era un signore, qui, poco fa, l’ha per caso visto mentre veniva in su?»
«No, lei è la prima persona che vedo da quando mi sono alzato questa mattina» fece l’uomo facendo il gesto si ripartire; poi ci ripensò e abbassò nuovamente il finestrino:
«Se fossi in lei però, me ne andrei di lì con questo nebbione. Nemmeno una settimana fa c’è morto un vecchio in quel punto. Si era fermato con il motorino e il suo cane. Nella nebbia un camion non l’ha visto e l’ha scaraventato giù nel burrone.»

Citycar

La citycar scivolava silenziosa nel traffico. Arrivò ad accostarsi alle strisce pedonali senza fare rumore come avesse finito la benzina e il motore si fosse spento. L’uomo al volante sembrava impietrito: la sguardo fisso davanti a sé, regolato sul nulla, le mani strette a pugno sulle razze, le labbra contratte. La donna che in quel momento stava attraversando il viale, arrivata all’altezza dell’ombra della vettura, si fermò a guardare il conducente. Nei suoi occhi c’era disperazione, cupa nostalgia, dolori irrisolti e la donna non ebbe il coraggio di muoversi, né di tornare indietro come se quella disperazione e quel dolore stessero travasandosi nel suo animo in una sorta di inarrestabile contagio emotivo. Il semaforo nel frattempo proiettò luce verde e un’altra macchina si accodò alla citycar rimasta ferma. Il giovane al volante stava per suonare il clacson, ma poi scorse la donna in piedi a un terzo della strada che osservava l’uomo della citycar. Il corpo di lei esprimeva una indecisione innaturale, un dubbio lacerante, un timore ondivago per scelte di vita non più rimediabili. Il giovane si sentì a disagio, turbato, fuori posto e desistette; si limitò solo a spegnere la radio accorgendosi così che si stava irradiando da quel punto un silenzio malato a coprire i frastuoni della città in un’ondata lenta di vernice trasparente di tristezza e malinconia. A quella macchina se ne aggiunsero via via delle altre, a quella donna si aggiunsero via via altre persone come si fossero fermate a riflettere o aspettare o per cercare di capire. Pian piano tutto il traffico si bloccò per centinaia di metri nell’una e nell’altra direzione: la gente se ne ristette immobile, in buon ordine, sui marciapiedi e sulla strada, a guardare quell’unico punto iniziale da cui tutto era cominciato. Passò un tempo infinito, sospeso, inafferrabile, dove l’unica unità di misura era il battito del cuore di ognuno.
Poi la citycar ripartì.

Senza fare attenzione

Era uno strano rumore, da dove proveniva? Dal mozzo della ruota? Dal semiasse? E dire che aveva fatto fare da poco il tagliando alla macchina. Cercò di non pensarci e accese la radio per non sentire il cigolio insistente. La strada di campagna era tutte curve e il rumore sembrava aumentare nonostante il pezzo degli Zetazeroalfa lo stesse assordando. Accostò. La ruota sembrava in ordine. Forse era il differenziale o il giunto o chissà cos’altro. Nel frattempo dalla colonica dall’altra parte della strada uscì una persona anziana. Era vestita da casa, con un largo grembiule e le ciabatte. Senza fare nessuna attenzione, attraversò. Teneva davanti a sé un mazzo di fiori di campo, più che altro una corona di margheritine che circondavano un asfodelo. Lo teneva con il braccio disteso innanzi a sé come fossero i fiori a tirarla e lei fosse legata a quelli dal braccio. I capelli bianchi erano mal raccolti e una ciocca le cascava su un orecchio. Arrivata a pochi passi da lui, si inginocchiò davanti a un paracarro, posò alla base il mazzo di fiori e fece il segno della croce. L’uomo si alzò. C’era qualcosa di antico in quella scena, come un’immagine che avesse viaggiato nel tempo prima di arrivare lì. La donna snocciolò un rosario di legno tra le dita ruvide e poi, facendosi forza sul guardrail, si levò ritta squadrando l’uomo come se volesse attaccar discorso.
«È… è morto qualcuno, in quel punto?» chiese lui che aveva dimenticato il motivo per il quale si era fermato. Sul grembiule rosa adesso poteva scorgere la scritta ‘Ciao da Venezia’ con a lato la prua di una gondola.
«Quello?» fece la donna girandosi in direzione del paracarro. «Oh no, no…» scosse la testa acciuffando nell’aria un riflesso violetto. «Piuttosto venga, venga, guardi anche lei» e fece con la mano il gesto di avvicinarlo. L’uomo le si accostò incerto e quando le fu vicino fu preso per un braccio e portato vicino ai fiori. «E allora?» fece la donna mettendo entrambe le mani sui fianchi. «Visto?»
«Visto cosa?»
«Come cosa…?!?» fece delusa. «Quella macchia sul paracarro. È l’immagine di Padre Pio…» L’uomo si sporse in avanti: la macchia ora la vedeva, ma poteva essere il muso di un gatto o una torta di mirtilli spiaccicata su un muro o semplicemente una macchia di fango. «Gli ho chiesto una grazia e lui è apparso» proseguì lei. «Sa, io ho un negozio di alimentari e non si ferma mai nessuno. E ora, con questo miracolo, accorreranno in molti. Proprio come ha fatto lei». L’uomo interrogava ancora perplesso la macchia e quando si voltò vide che la donna stava già attraversando nuovamente la strada per tornare indietro. Senza fare nessuna attenzione.