L’oralità e la scrittura sono due concetti che sembrano tra loro indipendenti e separati, ma non è così. In realtà vivono di un rapporto simbiotico, di utilità circolare, di mutuo soccorso.
La parola scritta deve essere oralizzata per essere letta (anche se non pronunciata formalmente), così come la parola orale deve essere scritta per venire stabilizzata nel tempo. Mi spiego meglio.
Una parola viene scritta per molteplici motivi: per poterla ricordare, per poterla trasportare, per comunicarla ad altri, ma sicuramente anche e soprattutto per essere letta.
C’è chi ha perfino detto che, se una parola non può essere letta, in realtà non esiste. Ma a prescindere da questo, certamente appena una parola scritta viene letta si forma nella nostra testa un suo duplicato mentale sotto forma di rappresentazione (idea) o di mappa concettuale e galleggerà nella nostra coscienza quel tempo sufficiente che ci potrà consentire una sua eventuale successiva elaborazione. L’originale dunque è ancora lì sotto i miei occhi ma io già lo posseggo dentro di me senza doverlo spostare o toccare sotto una forma diversa.
A ben vedere infatti è successo molto di più della semplice interiorizzazione. Mentre la parola scritta ha una sua corporeità, una sua dimensione (si pensi alla possibilità di poter toccare la parola quando è vergata su foglio tanto da poterne apprezzare con i polpastrelli la sua profondità sulla carta, la sua lunghezza e larghezza) la parola orale è immateriale, non ha peso, né fisicità ed è sospesa nel tempo (quando è stata scritta?). La parola scritta è silenziosa ed è un insieme di segni grafici (condivisi o meno) che formano una realtà statica, un messaggio astratto potenziale ma tuttavia ancora molto concreto.
Con l’oralità, la parola scritta si trasforma invece in suono, i segni grafici si ricompongono dinamicamente in un significato condiviso, occupando spazio nel tempo (la pronuncio infatti qui e ora) avviando inoltre un processo di contestualizzazione che mi aiuterà a comprenderla.
Se leggo un biglietto ove è scritto ‘prendi il cellulare’ la mia esperienza di abitante del mio tempo mi farà pensare immediatamente al telefonino e crederò che chi mi ha lasciato il messaggio mi abbia voluto ricordare di portarlo via con me. Non mi verrà in mente che per cellulare in realtà lo scrivente intendeva alludere al significato che questa parola aveva prima dell’avvento dei telefonini vale a dire il furgone con cui la Polizia trasporta i detenuti da e per il carcere ( –> cellulare).
Il contesto di tempo e di ambiente, in cui la parola letta si trova, la ‘riempie’ allora di significato, che, ancora una volta, si rivela essere un contenitore nella mente di chi legge. La copia nel mio cervello è dunque un’astrazione, ma è anche un’attribuzione di significato semantico sulla base del mio bagaglio cognitivo, delle mie competenze linguistiche, che non sono solo strettamente personali, ma anche sociali e culturali.
La circolarità d’uso, di cui prima scrivevo, comporta però che anche la parola orale abbia bisogno a sua volta dello scritto; fino a quando la parola orale non verrà in qualche modo registrata (con graffi sulla pietra, con lo stilo sulla cera, con la penna sulla carta, battendo sulla tastiera per un supporto digitale) sarà infatti soggetta a mutazione, a trasformazione (si pensi ai meme, alle barzellette, alle leggende metropolitane che acquistano o perdono contenuto passando di bocca in bocca) e persino, in casi estremi, alla sua cancellazione definitiva per oblio (–> I Rongorongo, la scrittura dimenticata).
Anche il supporto che registra la parola orale è sottoposta a deperimento, usura, distruzione, ma è un rischio proprio della cosa incorporante e non un problema della parola in sé.
E ovviamente la parola orale, facendosi scritta, coprirà il percorso inverso a quello descritto in precedenza: prenderà fisicità, immobilismo semantico, si farà muta, potrà esser vista (ma non necessariamente anche letta) e diventerà senza tempo.
Acquisterà anche in stabilità formale e contenutistica e potrà essere tramandata sfidando il tempo in divenire con cui però perderà radicazione.
Dunque la parola scritta e quella orale hanno una loro profonda e specifica interdipendenza; ma tutto questo non deve affatto meravigliare in quanto entrambe tradiscono la loro unica matrice: la mente umana.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
Il profilo orale e quello scritto di un testo si sono sempre funzionalmente rincorsi e ancora oggi si rincorrono a servizio dell’Uomo in una sorta di reciproca simbiosi infinita.
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Quindi non sbaglio a rileggere sempre ad alta voce, quando devo correggere! Chi scrive è interprete e deve saper “ascoltare” il proprio lavoro, per poterlo giudicare.
La lettura ad alta voce non tradisce mai. E’ un espediente facilissimo da impiegare e anche molto efficace.