L’editing del testo a pubblicazione avvenuta

uroboroScrivere è un insieme inestricabile di emotività e razionalità.

Nasce e procede per idee, per lampi creativi, per inaspettati insight (leggi sul punto –> Quando l’insight accende la creatività e il libro, sempre di Anna Maria Testa –> Minuti scritti. 12 esercizi di pensiero e scrittura) ma si consolida subito dopo, come il magma che si raffredda una volta fuoriuscito dal cratere che lo ha eruttato, cercando di trovare una sua struttura, prendendo forma attraverso la disciplina acquisita, nell’essere plasmata dall’esperienza e dall’applicazione di una multiformità di saperi.

È un uroboro arcaico, insomma, dove anche se si potesse comprendere dove si trova l’inizio del processo creativo e dove la fine, rimarrebbe tuttavia difficile e complesso riconoscere al suo interno di quali segmenti distinguibili (emotivi e razionali) è composto (per saperne di più –> Il simbolo dell’Uroboro).

Tra le emotività che contribuiscono a dare pulsione alla scrittura vi è sicuramente anche la tensione per la correzione.

Tensione che cresce man mano che si avvicina il momento della pubblicazione che è l’attimo in cui si lascia andare il proprio testo, come fosse un esemplare raro di cui ci si è presi cura (–> Oralità e scrittura – Un dualismo ricorsivo senza fine).

Anche se poi lo si lascia andare into the wild con quello sguardo un po’ incerto e un po’ preoccupato di chi non è tanto sicuro che ce la potrà fare da solo.

Mi viene in mente il papà che decide di non tenere più il sellino della bicicletta a suo figlio che sta imparando; alla domanda del bambino “mi stai tenendo vero, papà?” lui decide invece di lasciarlo pur se a malincuore perché sa che, anche se più avanti potrà cadere, è nel senso naturale delle cose che il figlio trovi da solo il suo equilibrio. Insomma: tutto ciò cui si dà un’autonomia funzionale, prima o poi, deve vivere di vita propria; possiamo sommergerla di regole, di linee guida, di raccomandazioni ma poi dovrà vedersela da sola con il mondo intero.

Ma tutto questo è però vero (solo) per la pubblicazione cartacea non necessariamente per la pubblicazione on-line.

La-Gioconda-di-Botero

Ultimamente ho scoperto infatti la trasgressione del correggere in fase di post pubblicazione, quando cioè la storia è già oggetto della lettura on-line.

E ho capito che la tensione della pubblicazione, perfetta o presunta tale che sia, lascia il posto alla tensione (emotiva) verso il perfezionamento del prodotto finito che è un processo che, come si sa, è di per sé senza fine.

È il Leonardo che, nella sua stanza del Castello di Amboise in Francia dove trascorrerà gli ultimi tre anni di vita, invitato da re Francesco I (e dove c’è la tomba dello stesso Leonardo –> Sulle tracce di Leonardo da Vinci tra i Castelli della Loira), nonostante siano trascorsi tanti anni da quando aveva iniziato il quadro, ogni tanto sollevava il telo che copriva la sua Gioconda per darle anche solo una pennellata; è il Manzoni che nella sua stanza in riva all’Arno, dopo le numerose stesure, cambia ancora qualche aggettivo o verbo al suo Fermo e Lucia. Giusto per citare solo due esempi, molto rappresentativi.

E il basso continuo di questa diversa tensione non è l’urgenza temporale, è piuttosto la voglia di andare oltre, di cercare la parola giusta, il significato più corretto, la suggestione definitiva, di andare dietro a un’idea di perfettibilità che non esiste. È dietro l’angolo, ‘ora ci arrivo‘ vien da pensare, e poi, raggiunto quell’angolo, ci si accorge che forse tutto si risolverà forse a quello successivo, senza trovare in realtà mai quiete. ‘Posso smettere quando voglio‘ viene ancora da dire, ma potrebbe non essere davvero così (per un illuminante chiarimento per i lemmi: perfezionabile e perfettibile vedi –> Una parola al giorno).

Poi c’è quella strana ebbrezza dello scrivere (rectius correggere) mentre tutti gli altri stanno già leggendo, pensando che il testo sia definitivo mentre non lo è; ed è in questo che  tutto sommato va riconosciuta questa forma naif di trasgressione, nel far venir cioè meno l’affidamento del Lettore a quello che gli si mostra sebbene, tutto sommato, la correzione sia a suo beneficio. Il testo allora, al contrario di quello dovrebbe essere, sta ancora cambiando, non ha cessato del tutto la sua maturazione, sta ancora fermentando, è tutt’ora in divenire, mentre avrebbe dovuto essere già fermo, lapidario, immobile.

E così si verifica che il Lettore di ora sta leggendo un testo meno nuovo di quello che che il Lettore dopo leggerà come fosse arrivato tardi al suo appuntamento senza saperlo.

In questo operare, in un momento in cui avrebbe dovuto essere invece interdetto all’Autore di rimettere mano al testo già licenziato, la tensione ridiventa creativa, fruttuosa, propulsiva. Si poteva pensare di aver perso potere sul testo e invece eccolo ancora lì, a disposizione, con tutte le sue infinite possibilità ancora da esplorare e senza la fretta di dover ri-pubblicare perché il testo è già on-line.

Ogni cosa ritorna insomma in discussione, quando, a pensarci bene, al testo doveva piuttosto subentrare il silenzio della lettura; non c’è dunque una vera requie, ma un ciclo continuo, dove l’uroboro finisce per avere il totale sopravvento (vedi anche per questi concetti –> Oralità e scrittura – Un dualismo ricorsivo senza fine).
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IN CONCLUSIONE

Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:

della voglia di correggere il testo anche quando è stato già pubblicato sul Blog, ben oltre cioè il momento il cui lo scritto dovrebbe vivere di vita propria. È un modo (forse) esagerato per cercare una perfezione che in realtà, come è ovvio, non esiste. [space]

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> La Regola del Tre – Una tecnica narrativa per rendere equilibrato il testo