Una persona, cui l’autore normalmente pensa poco, è il lettore.
Concentrato com’è sulla propria opera, distratto dallo sforzo di tradurre in parole il proprio pensiero, chi scrive non considera chi lo leggerà, se non di sfuggita. Si pensa che il lettore sia a valle del processo creativo, anzi che ne sia totalmente fuori e non partecipi in nessun modo dell’opera. Niente di più sbagliato.
Diversamente da quello che accade in una pièce teatrale che ha forma tridimensionale e in una fiction televisiva o in un film dotati di bidimensionalità, lo scritto è unidimensionale.
La parola imprigionata sul foglio non può infatti contare sull’ausilio di immagini (e di suoni) che la possano contestualizzare, né può avvalersi di un attore che faccia comprendere, con il suo linguaggio non verbale e la sua carica espressiva, quale ne sia il più autentico significato (si pensi anche solo alla frase ‘lei è simpatica’ pronunciata da chi si accompagna con un gesto che gli assegni invece l’opposto significato); la parola, che in realtà si presenta sorda e muta, immersa in un mare di altre parole che hanno lo stesso problema, deve farsi carico di gran parte dell’interazione comunicativa che nelle altre forme espressive di cui prima si parlava, è sbilanciato sull’autore.
Lo scrittore deve quindi tenere bene a mente che la sceneggiatura del suo lavoro è, di volta in volta, creata nella mente del lettore, senza il quale la trama espressa nel libro si impoverirebbe miseramente. In altri termini, chi legge deve essere ‘trasportato’, attraverso la parola scritta, in quel certo luogo dove si svolge l’azione, deve poter ‘vedere’ quel tal oggetto di cui si parla, deve poter ‘ricostruire’ nella propria testa il protagonista della storia, rappresentandosi le sue caratteristiche che lo rendono unico e rilevante (approfondisci il punto leggendo quello che lo scrittore francese Patrick Modiano ha detto durante durante il suo discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura all’accademia di Svezia, a Stoccolma –> “Il lettore conosce il libro meglio del suo stesso autore”).
Se si confrontassero le immagini, tutte altrettanto valide, che ogni singolo lettore si forma nella mente per ambientare la stessa opera, ci accorgeremmo di quanta originalità e fantasia sia dotato il lettore, tant’è che non è un caso che leggere non piaccia a chi si ritiene totalmente privo di immaginazione.
Anche questo è il motivo per il quale una storia scritta, più di quella trasmessa alla televisione o al cinema, ci sembra particolarmente ‘nostra’ e come tale, a volte, entri a far parte per sempre del nostro bagaglio emozionale: è nostra perché in parte l’abbiamo creata noi, anche se a valle del ciclo creativo.
È in questa alchimia che inoltre si nasconde il fascino della parola scritta: il consentire la ricostruzione ex novo dell’opera da parte del lettore tutte le volte che viene letta. Una simile coinvolgente partecipazione è invece interdetta, come si è visto, in altre forme artistiche.
La sceneggiatura del film, per esempio, è già cristallizzata al suo nascere, la problematica della visualizzazione del contesto è già stata risolta ab origine dal regista e lo spettatore si limiterà a guardare senza immaginare.
Dovendosi quindi confrontare con questo coinvolgimento ideativo polivalente, a quattro mani, (lo scrittore da una parte, il lettore dall’altra) chi scrive deve star attento a non lasciar dubbi o incertezze nella trama, né vuoti ricostruttivi o carenze descrittive, badando bene a confezionare un kit autosufficiente e facile da adoperare.
Il lettore dovrà essere messo in grado, da solo (la lettura è silenziosa e solitaria) di poter tirar fuori dalla scatola di montaggio gli utensili cognitivi utili onde poterli assemblare, durante la fase della immedesimazione del reading, in un puzzle finale. E tanto lo scrittore si rivelerà bravo quanto più saprà far transitare al lettore i suoi tools senza farli apparire tali, ma come fossero stati richiesti dalla storia o pretesi dal lettore.
Lo scrittore deve quindi uscire dal proprio egoismo creativo per predisporsi fin dall’inizio a entrare in contatto empatico con il lettore che, pur non compresente alla nascita del prodotto, sarà colui che, in ultima analisi, potrà garantire la buona riuscita dell’opera. Per alcuni esempi su come coinvolgere il Lettore –> Il finale aperto del racconto. Il ruolo chiave del Lettore e –> Lasciare che il racconto sia terminato dal Lettore.
Non bisogna mai dimenticare infatti che la parola è prima di tutto comunicazione: deve veicolare significati ed emozioni. Se non trasmette nulla è solo un involucro vuoto o incompleto.
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IN CONCLUSIONE
Dunque, ricapitolando, di cosa si è parlato in questa pagina:
Il Lettore è un polo imprescindibile del prodotto letterario. Lo scrittore deve tenerlo sempre bene a mente pensando a lui quando scrive, passandogli con il testo il kit necessario per poterlo sceneggiare al meglio nel proprio immaginario.
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Maurizio
Pienamente d’accordo. Cerco di ricordarmi sempre di coinvolgere il lettore, qualunque sia il contenuto che voglio comunicare: un libro, un post, anche un semplice messaggio su WhatsApp.
Sei incredibile. Mi piace il tuo modo di scrivere perchè porta a creare le immagini di quello che descrivi a supporto della lettura. E’ vero, la scrittura forse è unidimensionale ma per quel che mi riguarda anche leggendo questo post “didattico” la “voce interna” del testo letto accompagnava le immagini che leggendo le tue parole si creavano.
uau! penso comincerò a leggermi tutti gli articoli a riguardo! 🙂
molto interessanti queste “briciole” di analisi testuale. Mi permetti di postarne qualcuna nei mei blog didattici , citando la fonte, ovviamente?
Buona domenica
Sì, sicuramente, ne sarei anzi felice; questi ‘lavori’ hanno anche questa funzione, oltre che di studio e discussione.
Grazie. Appena postati ti invio il link.
Perfetto, grazie a te