«Come ti chiami?»
«Jimmy Border, ma in giro mi chiamano tutti Pelleossa.»
«Pellerossa?»
«No no… Pelle e ossa.»
«Ah… e come mai?» gli domandò Bob appoggiandosi alla staccionata.
«Perché quando ero giovane ero magrolino e allampanato da far schifo.»
«Quando eri giovane? Perché adesso quanti anni hai?» gli chiese l’uomo abbozzando un sorriso storto.
«17, perché?»
Bob preferì non rispondere. Tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accese una. Cercò di ricordarsi cosa pensava lui del mondo a 17 anni. Ma era passato davvero troppo tempo. Fece due lunghe tirate mentre il ragazzo lo fissava ancora con aria interrogativa, un occhio strizzato per il sole che gli sbatteva in faccia.
«Mi ha detto Turner che vuoi imparare il mestiere e che sei sveglio» gli fece quindi Bob togliendosi con due dita una briciola di tabacco che gli si era fermata sulla lingua.
Il ragazzo fece spallucce.
«Sei proprio sicuro che vuoi fare il ladro come mestiere?»
Pelleossa fece spallucce di nuovo; poi dopo qualche secondo, poco convinto, chiarì: «Spacciare non mi piace.»
«Va bene… si può allora iniziare già da stasera, se ti va» fece Bob estraendo dal giubbotto le chiavi della macchina. «Cominciamo da una cosa facile facile. Tu non dovrai fare niente, devi solo venirmi dietro cercando possibilmente di non fare casini.»
«Ok» fece l’altro.
«Ah… e non portare armi. Non servono e provocano solo guai. Quindi se anche hai con te un coltello a serramanico da difesa lascialo a casa. Lo stesso vale per lo smartphone. Si mettono a suonare nel momento meno opportuno e consentono il tracciamento.»
«Ok.»
«Ci vediamo qui verso le undici di sera. Andiamo con la mia Corvette. Non è vicino ed è meglio usare la macchina, anche se è la mia. La parcheggeremo però alcuni isolati prima.»
«Ok»
Era una villa di lusso, vuota. La famiglia che ci abitava era in vacanza già da qualche giorno a Tulum per una visita ai cenote del luogo. Bob aveva già provveduto, entrando nella rete wi-fi di casa, a staccare le telecamere di sorveglianza e l’impianto di allarme. Gli avevano già fatto avere anche la combinazione della cassaforte a muro. Tutto come da copione. Doveva essere una passeggiata, insomma.
«Rimani dietro di me» gli raccomandò lui, non appena scesero dalla macchina, porgendogli un cappuccio nero e una torcia. «Del cappuccio non ce ne sarebbe in realtà bisogno, ma è una sicurezza in più. La torcia invece accendila quando saremo dentro e non appena lo farò io». Il ragazzo annuì.
Scavalcarono il muro di cinta e, attraversato tutto il rigoglioso giardino al chiarore di una luna quasi piena, arrivarono davanti alla porta di ingresso. Anche se blindata Bob la aprì in pochi secondi. Entrarono. Accesero la torcia. La cassaforte, secondo le indicazioni avute, era situata nello studio dietro a un arazzo. Bob aveva studiato a memoria la piantina della villa e così trovò lo studio al primo tentativo, come se ci avesse sempre abitato. Pelleossa si guardava in giro tranquillo. Aveva un’aria controllata e apatica come se quella situazione non lo riguardasse affatto e fosse solo routine.
Avevano appena fatto ingresso nello studio quando udirono un lieve rumore dietro a loro. Si voltarono entrambi di scatto. Il cuore in gola. Perlustrarono accuratamente la stanza alla luce delle loro torce. Non vedevano nulla di anomalo. Poi, d’un lato, nella zona più buia della stanza, avvistarono un’enorme testa seminascosta da un pianoforte a coda. Un imponente mastino napoletano li stava osservando. E aveva appena cominciato a ringhiare.
La seconda puntata domenica prossima --> Tulum (seconda parte)