La natura è ottimista. Sono arrivato a questa conclusione guardando le piante sul finire dell’autunno.
Quando capiscono che il ciclo vegetativo è terminato, quando sanno che non metteranno altre foglie, né che accresceranno ulteriormente l’apparato radicale o fogliare, ebbene le piante investono le proprie ultime risorse energetiche nella preparazione delle gemme da frutto e da legno.
Le predispongono nei punti vitali della struttura, nei punti migliori, in quelli cioè che la pianta sa essere più adatti per la fruttificazione e la propria futura crescita e che, in relazione alla luce, all’apporto di aria e nutrimento, ritengono essere l’allocazione di maggior successo.
E le preparano per essere immediatamente pronte a riprendere il proprio ciclo di vita ai primi tepori della primavera, quando il freddo sarà cessato e la linfa riprenderà a scorrere. Prima di ridurre i giri del motore biologico al minimo vitale lasciano quindi il sistema pronto per funzionare nuovamente al primo segnale di ripresa, non appena si riaccenderà il relativo interruttore. È ciò che colpisce è proprio questo.
Se ci si pensa bene, tutta questa preparazione fa parte in fondo non dell’autunno, ma della primavera, non della fine del ciclo vegetativo, ma del suo recupero. In fondo la pianta potrebbe aver fatto un lavoro inutile potendo non superare l’inverno per mille motivi, uno dei quali è senza dubbio connesso al clima che potrebbe rivelarsi particolarmente rigido per i suoi standard biologici.
Nonostante ciò, l’arbusto, l’albero, il cespuglio scommettono su loro stessi, si predispongono per la vita, per la prosecuzione della propria sopravvivenza, come fosse scontato che ciò debba avvenire.
Le piante insomma sono pronte, con cieca ostinata determinazione, alla vita anche se prevedono che l’inverno sarà peggiore di altri e che la primavera potrebbe non arrivare in tempo. Dunque la natura è ottimista, non si arrende, non decide di non tentare di andare avanti perché il futuro sarò ostile o incerto o problematico. Sarà quel che sarà, insomma, ma è ugualmente disposta a vivere e a scommetterci.
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…Nonostante ciò, l’arbusto, l’albero, il cespuglio scommettono su loro stessi, si predispongono per la vita, per la prosecuzione della propria sopravvivenza, come fosse scontato che ciò debba avvenire…
…come noi del resto che quotidianamente facciamo progetti a breve e a lungo termine pur sapendo che non ci sono certezze, tranne una.
La vita attuale molto spesso ci porta ad allontanarci talmente dalla natura e quindi anche da noi stessi, che non riusciamo più a percepire i mutamenti delle stagioni e spesso neppure i nostri. Osservare, ascoltare, vivere le sue trasformazioni può essere, a volte, un grande insegnamento.