Parla! In nome del popolo italiano

«Cos’hai a che fare con la pettorina scomparsa ad Anaspasio???» chiese a tradimento Julius al suo interlocutore scegliendo un tono agrodolce.
Non avendo ricevuta risposta alcuna:

«PARLA! IN NOME DEL POPOLO ITALIANO!»

Ilaria Gaia Felicetta della Gioia, perennemente incinta di otto mesi e ventinove giorni, seduta giunonicamente nell’ampio vano strombato della finestra della Camera di Consiglio, che già aveva assistito ai fasti leggendari del Sommo, stava succhiando ed impastando, impastando e succhiando le sue caramelle all’issopo attivo.
Proprio lì, in effetti, e sin dall’inizio del racconto, l’avevamo lasciata insaccottata nel suo vecchio ed unico tailleur. E ancora adesso, con apparente disincanto, se ne stava giunonicamente assisa rimirando, attraverso i vetri chiusi, spaesate nuvole lontane.
«Come l’hai scoperto?» domandò la donna senza neppure voltarsi.
«E’ stato semplice… la carriola!»
«Quale carriola?»
«Quella che l’impresa edile da te gestita ha scordato… in casa di qualcuno… del tuo committente, presumo.»
«Che sciocca! M’ero giusto chiesta dove si fosse cacciata…»
«Della Letizia è tuo zio, vero?»
«Già, Fausto della Letizia era mio zio. Alla sua morte improvvisa, due anni or sono, ho rilevato la ditta… non sentendomela di mettere in mezzo alla strada i muratori, ho deciso di continuare ad occuparmi io di tutto: mio padre, come ben sai, sta scontando un mucchio di ergastoli e non ho nessun altro al mondo .»
«E tuo marito, non poteva interessarsene lui?»
«Non sono sposata!» chiarì Felicetta finalmente girandosi.
«…»
«Ti meravigli per il fatto che sono in stato interessante? E’ una lunga storia anche questa. Ora, comunque, ho definitivamente cessato ogni attività di cantiere e ho licenziato gli operai… non ce la facevo più» poi guardando fisso negli occhi il PM aggiunse: «sono io che ho sottratto la pettorina ad Anaspasio…»
Il Cipollone fece cenno di sì scompigliando la capigliatura a caschetto. Lo sapeva!
«Era mia intenzione confessare ogni cosa, ma tu mi hai preceduto… sei in gamba, devo riconoscerlo (per quanto non mi ricordassi che la tua la pelle fosse così verde!).»
«Primo Fante era d’accordo con te?» sibilò il PM tra i denti.
«Assolutamente no! Che c’entra Primo Fante in questa faccenda???»
«Non lo so, dimmelo tu!» incalzò Julius strofinandosi le palme delle mani da dittero impaziente «gli indizi portano a lui prima ancora che a te. Del resto la carriola è stata adoperata proprio per trasportare il suo cadavere sin davanti l’impresa di pompe funebri di un certo Solmartimer.»
Un lieve alito sulfureo si sparse nell’aere.
«Scorreggina è un incurabile fessacchiotto, anzi era un incurabile fessacchiotto, ma lui non l’ha nemmeno mai toccata la pettorina, adorava troppo il Presidente per potergli fare un tale sgarbo. L’ho sottratta io, dall’armadietto di Anaspasio, quel maledetto pezzo di stoffa e l’ho sempre tenuta con me fino a quando non l’ho consegnata. Non avevo e non ho niente contro Sua Sommità, anche se a volte mi pare che esageri un po’ con la sua prosopopea. Non ho agito neppure per spirito di invidia nei Suoi confronti o per qualsivoglia altro biasimevole motivo. Tutt’altro! Forse mi è finanche simpatico.»
La donna scosse il naso lungo e piatto che creò uno spostamento d’aria nella stanza.
«Non so nulla di cadaveri che se ne vanno a spasso in carriola, né tantomeno di questo Mortimer o come caspita si chiama. Ti prego di credermi.»
«E allora perché l’hai ucciso?»
«Ucciso? Ma mi stai prendendo in giro?!? Come puoi anche solo ipotizzare una mala azione simile, e dire che ci conosciamo da tanto tempo…» rispose stralunata la collega, che non riusciva a capacitarsi che le si movesse una così grave accusa «dopo tutto l’assassinio non è il passatempo di famiglia… benché potrebbe sembrare il contrario… io mi sono limitata a prelevare la pettorina, come ti ho testé riferito, peraltro non mi sono indotta a ciò neppure per un tornaconto personale… è stato solo per fare un favore… un dannatissimo favore. Accidenti a me! E dire che doveva essere solo uno scherzo… e invece è stata una sequela di tragedie; non avrei mai immaginato che sarebbero accaduti tanti eventi terribili… per il nostro paese, per il Presidente. Mi era stato assicurato ch’era a fin di bene… capisci… a fin di bene!!! Invece mi rendo conto soltanto adesso che è stata tutta colpa mia! Come facevo a immaginare che la pettorina potesse essere così importante per Anaspasio?» Scoppiò a piangere in modo convulso.
«Allora chi l’ha ammazzato?»
«Non ne ho la minima idea!» seguitò tra i singulti «so solamente che la mia carriera e soprattutto la mia esistenza sono irrimediabilmente rovinate! E la vergogna per ciò che ho commesso sarà una condanna anche peggiore… e per cosa poi? Fosse servito!»
«Perché a cosa doveva servire?» proseguì impietoso Julius squadrando Felicetta di sbieco.
Nel silenzio un borborigmo intestinale del PM gli ricordò quanto fosse duro il suo mestiere.
«Dimmi almeno chi ti ha incaricato del trafugamento?»
«Non posso dirtelo Julius, vorrei poterlo fare, ma non posso e non voglio… potrebbero accadere altri fatti orribili e non lo potrei sopportare» si sfogò tra le lacrime la donna che aveva persino smesso di succhiare.
«E delle scritture contabili dell’impresa, che mi puoi dire…»
«Le scritture sono andate distrutte, tempo fa, in un incendio nel mio garage… ho presentato regolare denuncia…»
«La verità e che non me le vuoi mostrare… perché hai capito benissimo che dal registro delle commissioni potrei risalire all’ultimo cliente, a colui, cioè, presso la cui casa, eseguendo forse un lavoro di ristrutturazione, hai dimenticato quell’arnese con le ruote, insomma potrei facilmente identificare il mandante del furto e forse dell’assassinio, il tuo complice insomma!»
La della Gioia ritacque.
«Mi vai a prendere dell’acqua per cortesia?» chiese allora la donna per allentare la tensione «mi è venuta una gran sete… sai nel mio stato e poi queste caramelle sono diventate amare come il veleno.»
«Va bene» gli fece il Cipollone «però non scappare.»
«No, aspetterò che ritorni» lo rassicurò con profonda tristezza nel viso.
Poi nel vuoto della stanza singultì ancora in modo trattenuto, mormorando qualcos’altro che non fu possibile udire.
Il PM ci mise poco meno di un paio di minuti, ma allorché rientrò nella stanza, la della Gioia era riversa bocconi. Una soffice schiuma bianca le usciva dalle labbra. Si era appena suicidata ingerendo cinque pacchetti di puntine da disegno.
Julius ne rimase seriamente turbato. E confuso. Restò così con il bicchiere stretto nel pugno, non sapendo che fare.
Poi si accorse di qualcosa di strano. Il pancione di Felicetta, nella caduta sul pavimento, si era spostato tutto da una parte. Accucciandosi, girò il corpo supino per controllare meglio.
La collega non era affatto incinta, non lo era mai stata. Si trattava di un’imbottitura che teneva insieme grandi e piccoli libri legati fra loro da robuste cinture assicurate alla linea della vita.
‘Ecco perché sembrava che la gravidanza durasse da un’eternità!’ rifletté Julius ‘era finta! A questo forse si riferiva quello spiritato di Solmartimer, quando mi avvertiva che non sempre ciò che sembra lo è davvero!’
Prese i registri in mano. Li consultò…
Erano le scritture obbligatorie della ditta di costruzioni della Letizia. Cercò il registro delle committenze. Lo lesse.
Il quadro fu finalmente completo.
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<– Julius, Julia e la carriola –> capitolo ventiseiesimo
–> Il bungalow 114 –> capitolo ventottesimo

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