L’urlo di Chang

Il cinese entrò nella stanza del dr. Enea Frangi passando di corsa sotto le gambe del Carabiniere della scorta il quale, essendo legato a lui dalla catena e dalle consuete manette a vite usate per le traduzioni, fece un doppio salto mortale all’indietro accartocciandosi sul pavimento. Giunto al cospetto del Giudice, a ridosso della scrivania, l’arrestato mollò un urlo a squarciagola:
«Aaaaaaaaaaaaahg… »
Poi ricomponendosi, con un profondo inchino:
«Molto, molto piacevole incontlo… io Chang Thai Long» esclamò il cinese sparando una mano ammanettata al di sopra del tavolo che lo sovrastava per tutta la persona «… e tu?»
Enea scendendo dalla poltrona sulla quale si era raggomitolato per lo spavento, alzandosi cauto in piedi, si sporse in avanti, gettando un’occhiata al di là della linea della scrivania per vedere chi avesse parlato. Si accorse solo allora di un esserino tutto sorriso e denti che lo guardava raggiante attraverso due fessure d’occhi.
Sforzandosi di assumere un’aria di severo rimprovero, il Magistrato sussurrò (per non contrariare nessuno):
«Si accomodi per favore!»
«Celto signole, con molta, molta piacele intenzione!» poi guardatosi attorno «calattelistico, molto calattelistico… e le telecamele dove essele?»
«Quali telecamere?» sbigottì Enea facendo schioccare le ossa di un dito mignolo in segno di una strisciante agitazione motoria.
«Ma quelle dello show… del simpaticissimo gioco a quiz… ben studiato, velamente ben studiato, non si vedono neppule le onolevoli telecamele…» e, dicendo questo, si sfilò le manette come fossero braccialetti posandole sullo scrittoio.
Quasi senza aprire la porta dell’ufficio (o almeno nessuno se ne accorse se lo fece), preceduta da un soave e fiabesco scampanellio di pendagli e orecchini d’oro che tanto rievocavano ad Enea le lande norvegesi solcate da slitte trainate da nobili renne, l’Avvocato Matilde Spazzamare, con l’abituale evanescente grazia, vaporeggiò con il ciuffo biricchino sul naso, fin sulla sua sedia preferita, regalando, agli astanti, sottintesi ammiccamenti di saluto del tipo ‘felice giorno a tutti’.
«Glielo spieghi lei dottoressa che non siamo in uno studio televisivo e che lui è qui in stato di arresto perché colto nella flagranza del reato di sfruttamento di lavoro clandestino e, soprattutto, gli faccia capire che non c’è niente da ridere.»
«Ci proverò dottore…» poi rivolta al cliente, dopo aver preso più volte fiato come se dovesse effettuare un’immersione senza bombole, titillando con l’indice il collier d’oro rubinato che mandava bagliori accecanti alla luce della lampada, cinguettò:
«Senta Ching Lhoi Tung…»
«Chang Thai Long, signolina, Chang Thai Long, ha sbagliato la plima risposta…» ribatté il cinese allargando ancora di più il sorriso tonsillare «anche lei concollente?»
«No, non sono concollente, sono difensole, Avvocato difensole e il signole che le è di flonte le falà domande e…»
«Ah! E’ il signol Plesentatole… molto, molto piacevole incontlo» esclamò il cinese buttandosi giù dalla sedia e tendendo di nuovo la mano a Enea alla cui vista, però, era completamente scomparso come inghiottito dal pavimento.
«Grazie dottoressa, non so proprio come avrei potuto fare senza di lei…» sibilò il GIP abbondando in sarcasmo e in occhiate folgoranti.
La Spazzamare tintinnò arrossendo.
«… e lei si segga, per cortesia, ovunque si trovi… MI SENTE…???»
«Celto, celto… come volele tu. Sai… sono molto, molto emozionatissimo, qui tutti così gentili, tutto così festoso…» e, dopo essersi riarrampicato a fatica sulla sedia, il cinese seguitò «… e dile tu a me…» attenuando il tono ed indicando nello stesso istante i due Carabinieri che si erano appena dipanati dall’intrico di catene «quei due signoli là, essele folse valletti?»
Enea, iniziando a far scricchiolare le ossa della dita e quelle del naso, prodromo inconfondibile di un nervosismo montante, si schiarì ripetutamente la voce per farsi coraggio:
«Bene cominciamo…»
In quel preciso istante suonò il telefono.
«Pronto?» esordì squillante Enea senza ottenere, tuttavia, risposta. Dopo qualche secondo, ripeté con tono sonoro e al triplo del volume «PRONTO… PRONTO!!! MA INSOMMA CHI E’???» perdendo la pazienza.
«La cornetta, dottore…» trillò la Spazzamare.
«Quale cornetta?!?»
«La cornetta del telefono, se non la alza non può rispondere… funziona così…» si schermì in modo amabile la donna abbassando gli occhi come per supplicare perdono per quella sciocca osservazione.
Enea, comprendendo di essere stato preso in contropiede, si giustificò:
«Tanto avevano sbagliato numero…»
«Molto, molto piacevole sketch…» esplose di felicità l’arrestato battendo le mani e i piedi «velamente poltentoso, bla-vis-si-mi… lo dilò ai miei amici… così venile anche lolo…»
Enea si mise a sudare gelido:
«Benissimo, dove ero rimasto…?»
«Sceglielei la busta numero due…» disse sicuro di sé il cinese che, da seduto, sgambettava come fosse sul seggiolone.
«Dunque lei si chiama Chang Thai Long» proseguì Enea facendo finta di non aver sentito.
«Celto!» rispose quello dando delle sonore manate ad un posacenere pensando fosse il pulsante.
«… ed è nato nello Zhejiang (Cina Popolare) com’è scritto su questa informativa…»
«Celto!»
«… in data 2 maggio 1965…»
«Celto!»
«… ma si può sapere perché continua a ridere… e perché non sta fermo?»
«… pelché vado folte, nevvelo?»
«Senta io sono molto paziente con lei, ma non ho affatto tempo da perdere…»
«Tempo scaduto? Tempo scaduto? Nessuno mi aveva detto che tempo ela scaduto, mi puoi fale altla domanda blavo Plesentatole?» squittì il cinese guardandosi intorno alla ricerca della telecamera giusta che lo stesse inquadrando.
Enea avviandosi a far scricchiolare le altre dita delle mani, le ossa dei polsi e quelle del collo e resistendo dalla voglia di far scricchiolare anche quelle della Spazzamare che stava giocando a yo-yo con un ricciolo impertinente, continuò:
«… lei è stato arrestato perché nel suo laboratorio di pelletteria sono stati sorpresi alcuni suoi connazionali clandestini che lavoravano a paga zero, ne hanno trovati…»
«… tledici… è esatto?» rispose felice Chang che si sforzava di parlare nella penna stilografica che il Giudice gli brandiva sotto il naso pensando fosse il microfono «vado ploplio foltissimo, nevvelo?»
«… già proprio tredici connazionali…» proseguì sempre più cupo il Magistrato «… e ammette che li gratificava per questa attività lavorativa, in nero, unicamente mettendo loro a disposizione l’alloggio sito sopra al laboratorio medesimo e fornendo altresì, quale vitto quotidiano, solo un po’ d’acqua e un pezzo di pane…?» insisteva incalzando il GIP deciso ad andare fino in fondo.
«Celto! Ma questo solo nei giolni lavolativi… con acqua e un piccolo onolevole pezzo di formaggio, la domenica!»
«… quindi ammette che i suoi lavoranti non fossero in regola…»
«Macché lavolanti… lolo sono ospiti miei, come io sono ospite lolo, così come noi tutti, su questa tella siamo ospiti del Magnifico Onolevole Confucio, come anche Magnifico Onolevole Confucio salà ospite di qualcun altlo che io nella mia umilissima ignolanza non oso neppule pensale chi possa essele che ospitale Lui… noi tutti essele piccole, piccole sciancate folmiche su quali un giolno glande dispettoso cane falà enolme piscia e noi tutti così affogale, siamo piccoli glanelli di polvele in occhio di dlago, stalnuto di mosca nel molto onolevole oceano, diallea di moscelino nell’immensità del cielo stellato di oscula notte d’estate senza luna… ho… ho lisposto bene?»
Enea si stava ormai scanocchiando le caviglie e le dita dei piedi in un irrefrenabile moto convulso che domava a fatica. Ogni tanto lanciava occhiate cariche di angoscia al cinese, che non smetteva di sorridergli e di parlare.
La Spazzamare, invece, che all’inizio dell’interrogatorio era rimasta un po’ interdetta per l’esuberanza di Chang, ora, per la contagiosa idea di star partecipando ad una trasmissione a quiz, cominciava pian piano a crederci anche lei, giusta anche la vacuità che traspariva dagli occhi di Enea, che non accennava in alcun modo ad una reazione. La donna finì quindi per tirar fuori dal beauty-case griffato, uno specchietto in oro massiccio e un portacipria in platino diamantato, per rifarsi il trucco, cercando, nel contempo, di indovinare dove fossero in effetti nascosti quei diavoli di cameramen.
Poi uno dei due Carabinieri, quello che sembrava divertirsi meno, ruppe il silenzio:
«Dottore, mi scusi, siccome lei è tanto bravo… la farebbe anche a me una domandina, magari facile facile, con un piccolo aiutino?»
«Macché aiutino!!!» sbottò Chang buttandosi giù dal seggiolone e precipitandosi dal Milite, cui arrivava appena alla cintola «lei non può fale questo… lei essele valletto non concollente, non essele cosa buona fale confusione, si faccia plima allestale e poi si vedlà… nevvelo molto onolevole Plesentatole?!?» chiese ad Enea, senza neppure voltarsi, essendo intento, con molto impegno, a schiaffeggiare vivacemente la fondina della pistola dell’Appuntato La Martora.
«Brutto ciospo d’un cinese, come ti permetti di…»
«Non parli così al mio cliente!» s’inalberò scampanellando la Spazzamare svolazzata in aiuto di Chang, piazzando, sotto i baffi del Carabiniere, una spilla insmeraldata più grossa di una cipolla che metteva in risalto il sottostante seno da mozzafiato.
A quel punto, richiamati dal vociare del connazionale, dilagò nella stanza una miriade di parenti del cinese che, fino a quel momento, si erano accalcati rumoreggiando nel corridoio: mamma, babbo, figli, fratelli, suocera e cugini. Tutti, vestiti allo stesso modo, perfettamente identici in altezza, peso e nel dominante colore zafferano pallido (tant’è che l’Avvocatessa continuava a mormorare ‘Oh cielo! Oh cielo!’ non riuscendo più, lì in mezzo, a distinguere quale fosse il suo cliente), all’unisono, cominciarono a sbraitare in dialetto cantonese, strattonando da ogni parte i due Militi che tentavano di ripararsi in qualche modo dalla gragnola di calci negli stinchi e di testate al basso ventre.
A quel punto Enea, alla vista di quella indecorosa scena, dopo uno strenuo tentativo di rimanere calmo, ancorato alla poltrona nella cui pelle aveva affondato le unghie delle mani e dei piedi, scivolò lento e senza far rumore, sotto il tavolo, sopraffatto dall’ennesima crisi nervosa.
Dopo circa mezzora durante la quale, nella gran baraonda, si poteva cogliere distintamente un ‘tu valletto no concollente…’ inframmezzato da ‘una domanda anche a me… una domanda anche a me…’ oltre che da un ‘minchia, ma quanti sono?’ si udì l’urlo prepotente di Chang che lacerò l’aria.
«Aaaaaaaaaaaaahg… felmi… felmi tutti… »
Un silenzio si distese marmoreo nell’aria.
«Dov’è il signol Plesentatole?» domandò rasoterra l’arrestato. Una miriade di occhi con l’itterizia (e rasoterra) perlustrarono in lungo ed in largo la stanza.
«Già dov’è il signor Giudice? » s’interrogò smarrita la canea gialla.
«Celto potevano anche avveltilci che show essele finito…» si sgonfiò deluso Chang mollando finalmente il posacenere-pulsante sull’alluce dall’Appuntato.
«E’ velo… è velo…!» sbottarono tutti insieme «non si fa così… non si fa così… plotestelemo all’Ambasciata!»
«Non so neppule cosa avele io vinto!!!» mormorò ancora tra sé e sé Chang divenuto triste, con gli angoli degli occhi che quasi gli toccavano le spalle.
Poi, spintonandosi e protestando, come fosse una scena di massa dei boxer nel film ‘Cinquecento giorni a Pechino’, se ne uscirono compatti starnazzando dall’ufficio.
La Spazzamare, presa a compassione, in un moto irresistibile di trillante tenerezza, essendo riuscita a riconoscere finalmente Chang che si era reinfilate le manette, lo prese in braccio cincischiandoselo al petto prosperoso.
«Potevano anche dircelo che oggi ci sarebbe stata la televisione, mi sarei data una ravvivata ai capelli» imprecò il Carabiniere della scorta spegnendo la luce e chiudendo la porta.
Poi, sorridendo nel ripensarci, disse:
«Quando lo saprà mia moglie, matta diventa…»
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