Non importa dove – Dietro al racconto

Il racconto Non importa dove è parzialmente autobiografico.

Quasi ogni mattina infatti, nel recarmi al lavoro, scorgo in lontananza un aereo (di cui però non conosco la destinazione) che solca il cielo sbucando tra i palazzi, in partenza dal vicino aeroporto. E ogni volta che lo vedo mi fa lo stesso effetto di mettermi di buon umore. Perché sa di vacanza, di spensieratezza, perché i viaggi sono la mia passione.

Nel racconto però il desiderio di partire del personaggio, giusto per creare un contrasto più netto con la storia che lui stesso racconta, ha toni esasperati anche perché, contrariamente a me, l’uomo è del tutto insoddisfatto del suo lavoro (ma anche della sua vita, in generale) sicché vorrebbe andarsene e non tornare più (ma non può, come si comprende tra le righe) come momento di frattura della ordinaria sua quotidianità.

L’olivo di Boemia (Elaeagnus angustifolia) è un albero con un bellissimo portamento ornamentale e dal profumo quasi stordente (per saperne di più –> olivo di boemia); si trova davvero nel giardino che attraverso (come scorciatoia) per arrivare in ufficio. Sto pensando di ordinarne un esemplare da piantare a Poggiobrusco.

Il titolo riprende parzialmente il testo (ma anche il senso) di una canzone (brano per chitarra) che scrissi tanto tempo fa (quando avevo vent’anni o giù di lì). Le parole di una parte della strofa erano queste:

Chiocciole in cammino, non importa dove
un viaggio senza fine, non importa come

Il riferimento alle chiocciole in cammino allude al viaggio per il mondo di due giovani ragazzi con lo zaino sulle spalle; anche se quello specifico viaggio cui fa riferimento questa canzone non fu purtroppo mai fatto così come del resto la canzone non fu mai completata.

Il “cielo di cipria” è invece una bella espressione che ho voluto adottare per fare omaggio a una giovane poetessa che ha scritto una poesia interessante che ho avuto modo di leggere per caso proprio qualche giorno fa.
Si intitola “Passeggiata” e in un passaggio scrive:

Armeggio il cellulare ma non viene
mai bene, non sa dire lo strumento
questa luce corsara, quei filari
di nuche esterrefatte a guardare,
la strada calpestata da un cane
con gli occhi pieni, buoni di mio nonno
e il cielo cipria in fondo, laggiù in fondo.
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