L’efficienza e l’efficacia del gravame

Dunque le parole del gravame e le parole della sentenza gravata devono essere in equilibrio tra loro (non si può chiedere di più di quello che si è domandato, si può chiedere di meno per far scivolare alcune statuizioni nel giudicato).

Le parole del gravame devono però anche essere efficienti ed efficaci.

Contrariamente a quanto si possa pensare efficienza ed efficacia non sono sinonimi puri, nel senso che non sono termini equivalenti. Sono, al contrario, concetti non sovrapponibili se non in minima parte.

L’efficienza infatti è la capacità di un soggetto di poter sfruttare al meglio tutte le risorse (poche o tante che siano) a sua disposizione per l’assolvimento di un compito dato: è il rapporto tra risorse a disposizione e risorse utilizzate; l’efficacia è invece la capacità del soggetto di utilizzare (bene o male che sia) le risorse a sua disposizione per raggiungere con successo l’obbiettivo.

Si può essere quindi efficienti ma non efficaci (come quando pur impiegando le risorse a disposizione non si è in grado di raggiungere l’obbiettivo prefissato) così come si può essere inefficienti ma efficaci (come quando pur non avendo risorse a disposizione o utilizzandole male o in modo riduttivo) si riesce ugualmente a ottenere il risultato; infine si può essere efficienti ed efficaci quando, utilizzando al meglio le risorse, con il loro minimo costo di impiego (anche di tempo), si ottiene un risultato positivo.

E il tessuto di parole del gravame deve avere proprio questa connotazione di efficienza e di efficacia.

Nel senso che deve sfruttare tutte le risorse disponibili per l’appellante o meglio quelli strumentalmente utili a tal fine (e dunque: far valere errori di fatto e di diritto commessi dal giudice, ma anche le ammissioni di controparte, le emergenze probatorie dichiarative o documentali non valorizzate e non comprese o mal interpretate dal giudicante, le argomentazioni nuove come strumenti di convincimento ai fini del ribaltamento della decisione, la proposizione insistita di aperture istruttorie denegate, la valorizzazione dei profili di vantaggio della posizione abbracciata, mascheramento o minimizzazione di quelli di svantaggio della stessa versione) ma deve anche convogliare tutte queste risorse verso l’obbiettivo della riforma totale o parziale della sentenza e per fare questo le censure devono essere specifiche, “aggredire” quelle statuizioni (dette od omesse) che, come si è appuntato all’inizio, costituiscano ciascuna una unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato.
[space]

↵ ↵ torna all’indice della Sezione Conferma nel resto

–> La priorità logica del gravame. Conclusioni
<– Quel che la sentenza non dice