Per non dimenticare

«Attilio! Non ci posso credere. Sei proprio tu? » gli disse incredulo non appena lo vide sulla porta. I due amici non s’incontravano da trent’anni. Si abbracciarono con trasporto in un momento di forte commozione. «Come hai fatto a trovarmi?» gli chiese Franco emozionato. «Anch’io, sai, ho provato a rintracciarti più volte, ma non ci sono mai riuscito. Dai, entra… non startene lì come un babbeo.»
«È perché da qualche tempo abito su un satellite di Kos, nel quadrante 91 nordorientale» chiarì Attilio come per giustificarsi. «È il satellite artificiale HHN6, sai, quello di nuova costruzione.»
«Ah… roba da vip, allora… del resto si vede che sei tirato a lucido e che stai una favola…»
Attilio si sentì per un attimo a disagio, nel suo costoso completo autorefrigerante di cachemire blu all’ultima moda; l’amico gli appariva al contrario dimesso, piuttosto invecchiato e forse anche malato. «Sono qui per una conferenza in città» precisò per riprendere spigliatezza. «Sono un Top Promoter Manager e dovevo tenere una conferenza in materia di magnetosfera; insomma, per farla breve, ho parlato proprio poco fa, per caso, con un tizio incontrato al bar dell’albergo e, durante la nostra conversazione, è saltato fuori che ti conosceva e sapeva dove abitavi. Un certo Paolo Migrenti, mi sembra. Così non ci ho pensato un attimo, ed eccomi qui.»
«Paolo Migrenti? Sì, certo, una gran brava persona. Hai fatto benissimo a venire, è una sorpresa magnifica!»
I due ricordarono i bei tempi spensierati in cui, ragazzi, si ritrovavano in uno scantinato a suonare rock d’avanguardia. Si raccontarono un mucchio di episodi felici, ridendo e scherzando, come se i due si fossero allontanati solo un attimo prima, giusto per il fine settimana, e non fosse invece trascorsa una vita intera.
«Non ti ho offerto nulla… che maleducato. Cosa prendi?» gli chiese Franco alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi al cucinotto del monolocale. «Vuoi un caffèlimone, uno jabbar? O un prendizucchero?»
«No, no grazie, non voglio niente, sto bene così, davvero… a meno che… a meno che tu non abbia…»
«Cosa?» fece l’altro con un sorriso sornione.
«Dell’acqua! Mi hanno detto che sai come procurartela, quella vera, intendo.»
Franco assunse un’espressione atterrita e subito gli cenno di zittirsi. «Sei impazzito?» gli disse sottovoce. «Hanno ricevitori ultrasensibili dappertutto, ora riescono a bucare i muri come fossero di gelatina.»
Attilio rimase sorpreso per quella reazione scomposta tanto che l’amico capì subito di avere esagerato; la paura per i controlli di polizia era diventata ultimamente un’autentica ossessione per la loro capillarità e severità. Decise di farsi perdonare: in fondo quello era il suo più caro amico. Guardò fuori dalla finestra scostando la tenda. Tutto sembrava tranquillo. Staccò con un colpetto della mano una mattonella dal muro e da un anfratto tirò fuori con solennità un barattolo quasi fosse una reliquia. Fece ancora segno all’amico di tacere. Quindi scrisse su un tablet: ‘Quest’acqua liofilizzata è davvero ottima. È himalayana. Me la danno al confine’. Attilio assentì e afferrò dallo scolapiatti un bicchiere mentre Franco, con estrema cautela, faceva scivolare una cucchiaiata di granulato blu preso dal contenitore. Attilio ammirò il composto estasiato. C’erano, in mezzo, anche dei semini ovoidali color rosa, segno inconfondibile che si trattava di un prodotto di ottima qualità. Subito Attilio prese a scaldare il bicchiere con entrambe le mani e pian piano che il calore si irraggiava al suo interno il granulato si sciolse trasformandosi in chiara acqua di fonte. Bevve. L’espressione che assunse era di chi aveva appena fatto una passeggiata in paradiso. Di lì a poco però si sentì un ronzio insistente dalla provenienza indefinibile; diventava a ogni attimo sempre più forte. Franco, che aveva invece compreso bene quello che stava per accadere, divenne pallido e non fece in tempo a chiudere il barattolo che subito comparve quello che sembrava a prima vista un innocente moscone: si trattava invece di un dispositivo elettronico infernale ben conosciuto. Dalla pancia del microdevice partirono, infatti, immediatamente e a raffica, decine e decine di flash; il ‘moscone’ non smetteva di ronzare e fotografare, perlustrando con millimetrica precisione il cucinotto, il barattolo, il tablet, Franco, l’ospite e il vano vuoto nel muro. Pochi attimi dopo era già sparito.
«Cos’è stato?» fece Attilio impaurito e ancora abbagliato dai flash.
«Sono rovinato, amico mio, sono rovinato, ecco cos’è stato.»
«In che senso, cosa è successo, fammi capire» insistente piuttosto scosso.
«È un Perlustratore. È stato attivato da uno dei tanti recettori ultrasensibili che sono in strada. Hanno captato la nostra conversazione. L’hanno giudicata sospetta e hanno mandato qui a controllare il device… e ora sanno… o mio Dio, ora sanno tutto» e si coprì il volto con entrambe le mani.
«È così grave?»
«È contrabbando, Attilio mio, c-o-n-t-r-a-b-b-a-n-d-o: è considerato un atto criminoso di secondo livello rifornirsi di acqua non omologata. Ma come si deve fare? Secondo il Supervisore dovremmo farci andar bene la razione di acqua sintetica che ci distribuiscono in busta paga. È una polvere però pessima, disgustosa e comunque insufficiente. Qualsiasi cosa tu mangi assieme sa di rancido, mi viene la nausea solo a pensarci, e finisce subito; la sete rimane inestinguibile, senza contare le troppe controindicazioni che il prodotto ha; Loro negano tutto, ma sono in aumento i casi di neoplasia al fegato e al cervello.»
In quel momento il visore a muro del cucinotto s’illuminò e apparve questa scritta:

Egregio signor Franco Pietralata, cantone 55/2, lock 3009, è stata poc’anzi accertata a suo carico la grave infrazione al canone 1064.3 B; come da Editto del Supervisore, reso a suo tempo noto alla Popolazione tutta, abbiamo proceduto all’addebito di 7500 di shin zi sul suo conto monetario provvisorio. 
Buona giornata.

«Mi spiace tantissimo» gli disse Attilio alzandosi. «Sono mortificato, sono senza parole.»
«Non ti preoccupare, è tutta colpa mia, sono io che l’ho tirata fuori. Lo sapevo cosa rischiavo. Ci tenevo a festeggiare con te questa occasione così speciale.»
«Almeno però ti è rimasta la scorta di granulato» si sentì di dire Attilio.
«Macché, hanno visto anche quella. Domattina presto dovrò consegnarla al primo Punto di Controllo, sennò mi decuplicano la sanzione. È andata così, amico mio, non c’è scampo» e scosse la testa. L’atmosfera tra i due si era raggelata. Preferirono salutarsi.
«Mi faccio vivo io, allora, te l’assicuro» lo rassicurò Attilio con i lucciconi agli occhi. «Ora so dove abiti, faremo in modo di vederci più spesso. Vedrai, saprò sdebitarmi, te lo prometto.»
«Non ti preoccupare Attilio, tu non c’entri nulla, te lo ripeto. Sarebbe bellissimo se venissi ancora a trovarmi. Lo so che sei un amico affettuoso.»
Una volta in strada, l’aria fresca della sera sembrò risvegliare Attilio da quell’incubo. Non poteva credere che in quel quadrante della Galassia potessero succedere cose tanto incresciose. Si sentiva avvilito. Forse avrebbe dovuto offrirsi di pagare la multa. 
Giunto al suo spacevan ToyotApple 9000 KKG, vi si accomodò. La sua esistenza, vista da quella plancia sofisticata, non era però poi così tanto male. Considerò che l’aspettava quella mora conosciuta il giorno precedente all’airpub di sosta su a Sygma e ai segnali molto incoraggianti che gli aveva lanciato. Ne era sicuro: quella sera sarebbe andato in buca. Mise in funzione il navigatore e impostò la rotta. L’arrivo sul terzo satellite di Kos era previsto in un’ora, 34 minuti e 12 secondi. Stava per premere il pulsante start, ma si trattenne. Rifletté un attimo. Aperto il cruscotto prese un blister di Nidhoral e ne ingoiò una compressa: l’avrebbe reso vigile durante il viaggio di ritorno. Dal momento che c’era, prese anche una pastiglia di Treklene, giusto per essere sicuro di avere, al momento debito, l’aiutino di cui avrebbe avuto sicuramente bisogno con Marlène, in serata. Indugiò ancora. Afferrò infine il flaconcino di Erase NT. Il sentirsi depresso per la storia di Franco non gli avrebbe giovato con la ragazza, neanche se si fosse ingollata tutta la confezione di Treklene, scatola compresa: lo sapeva bene. Soppesando in mano la capsula rossa e blu dell’Erase, intravide nel riflesso del monitor il suo haircut perfetto e gli splendidi ritocchi estetici agli zigomi e alle arcate sopraciliari dell’anno precedente; di scatto si cacciò in gola il medicinale, scrollando il capo per inghiottirlo insieme al resto. Di lì a pochi minuti la capsula avrebbe fatto effetto azzerando ogni ricordo delle sue ultime tre ore. Avrebbe dimenticato l’acqua himalayana, l’insetto perlustratore, l’episodio sgradevole. Certo, non avrebbe più saputo nulla neppure di Franco e soprattutto non si sarebbe ricordato di quell’avventore che gli aveva fornito per caso l’indirizzo sicché l’avrebbe perso di nuovo e questa volta per sempre. Si disse però, per convincersi, che, in tutti quegli anni, in fondo, era vissuto benissimo anche senza quello sfigato. Cosa c’entrava del resto lui con le scelte sbagliate del suo amico? 
Si sentiva già più sereno. 
Alzò le spalle e premette il propulsore start: lo spacevan partì alla velocità della luce.

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