Il barattolo di vetro

L’uomo era anziano, la camicia azzurrino pallido abbottonata fin sotto il collo, come in un giorno di festa d’altri tempi; sembrava incedere mettendo avanti solo il piede destro, ma non era così. Tra le mani, scostato dal corpo, teneva stretto un barattolo di vetro completamente vuoto, che sotto il sole di un mezzogiorno arroventato si era vestito di luce preziosa. Lo teneva così, trattenendo il respiro, come una reliquia di un santo sventurato; la gente lo vide arrivare e sebbene insensibile alle passioni o a ciò che può agitarsi in un cuore vagabondo, lo osservava curiosa per quel suo modo bizzarro di muoversi.
«Cos’hai lì, nonno?» gli chiese un signore con sfrontata confidenza quasi lo conoscesse. L’uomo non rispose e continuò la sua strada mettendosi al sicuro sul marciapiede. Un bambino strattonò la madre costringendola a fermarsi proprio davanti a quello strano tipo che si guardava attorno spaesato.
«Cos’ha tra la mani?» gli ripeté imperioso un vigilante, le dita sul cinturone e il mento a indicare l’oggetto misterioso. Per un po’ l’anziano se ne stette zitto. Il fatto che non rispondesse pareva addirittura indisponente se non fosse stato per quel suo sguardo pulito e disarmante, di chi si fosse arreso alle complicanze della vita, un naufrago di professione in una pozza di immensa solitudine. Fece un po’ di prove per muovere le labbra, per ricordarsi come si dovesse fare; le inumidì con la punta ruvida della lingua, ma senza esito; poi, alla fine, cominciò:
«Quand’ero ragazzino… proprio in questo punto, c’erano ancora dei prati». I suoi occhi di mogano avevano appena bucato il presente e scorrevano lungo il passato, un film in bianco e nero di ombre e ricordi su quella pelle stropicciata. Scorgeva davvero quei prati incolti, la staccionata grezza, una signora con il grembiule fiorato e un cane che girava in tondo alla ricerca della propria coda. Sorrise a quelle immagini prepotenti con aria trasognata. «E c’era silenzio… me lo ricordo bene… un silenzio meraviglioso tanto che si poteva sentirsi persino ridere i bambini mentre giocavano a rincorrersi» disse ancora tra sé e sé mentre all’improvviso un ciclista con il suo vestito attillato gli si parò di fianco sicché sembrò che il vecchio si fosse messo a parlare con lui. Ma le ultime parole erano state cancellate da una guida turistica poco distante che, con un megafono, stava spiegando a una comitiva annoiata l’importanza storica di una lapide illeggibile.
«Sì, va be’…» fece il bambino liberatosi dalla stretta della mamma e incrociando le braccia. «Ma in quel vasetto si può sapere che c’è?» L’uomo si mostrò sorpreso per quella domanda. Per un attimo diede finanche l’impressione di non sapere di cosa si stesse parlando, ma tutti i presenti ormai fissavano assorti solo il barattolo e quello che avrebbe potuto contenere.
«C’è il silenzio di allora» fece il vecchio senza più esitazione «…ed è venuto il momento di liberarlo. L’ho infilato qui dentro, sotto vuoto, perché sapevo che con l’andare degli anni non sarebbe durato. A quel tempo mi presero per matto, quando decisi di conservarlo, ma non lo sono mai stato matto, io, nossignore, mai stato». Gli astanti lo guardarono stralunati, incerti sul fatto di aver capito bene. Il bambino guardò la madre, il ciclista si arrestò dal detergersi il sudore. «È una mia ricetta, sapete?» insistette lui tra l’incredulità generale «se volete ve la do, così nei vostri barattoli ci potrete mettete tutto quello che vorrete: dal sorriso di vostra madre al ricordo più bello». La gente a quel punto scoppiò fragorosamente a ridere, alcuni scossero la testa prendendo ad andarsene, altri biascicarono commenti spiacevoli facendo gesti indispettiti all’indirizzo di quell’uomo rimasto stupito di non essere creduto. Il vecchio non aggiunse altro e, serrando le mascelle, fece scattare il gancio di ferro schiudendo il barattolo. E subito fu un’ondata di mille carezze, una brezza gentile, tiepida, inebriante. In un attimo il silenzio si posò su ogni cosa, sui tetti, sull’asfalto ardente, sulle persone distratte, una coperta sottile e trasparente come l’involucro dei sogni. Il tram non sferragliò e le vetture sbuffanti nel traffico caotico di quell’ora annegarono in un sommesso fruscio. La donna con il megafono si azzittì e anche la gente smise di parlare cercandosi con gli occhi per capire cosa fosse successo.
«Ah… era questo allora, il silenzio…» sospirò una ragazza con dei libri in mano. Comparvero sorrisi qua e là, si rilassarono i volti, due innamorati si abbracciarono. Stava per scattare un applauso spontaneo di quelli che liberano la mente ma non alleggeriscono il cuore, quando un jumbo 747 preceduto da un assordante frastuono prese ad abbassarsi sulle loro teste per rollare sulla pista poco distante. E tutto tornò come prima.

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