L’aggravante ex art. 585 c.p.

malviventePrima di procedere oltre, è bene, a questo punto, trattare dell’aggravante di cui all’art. 585 cod. pen.

Com’è noto, l’art. 585 cod. pen. prevede che, nei casi previsti dagli articoli 582, 583, 583-bis e 584, la pena sia aumentata fino a un terzo (circostanza aggravante a effetto comune) se il fatto è commesso con armi intendendosi per armi (agli effetti della legge penale) tra l’altro, tutte quelle la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona e tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.

È appena il caso di rilevare che, a un primo rapido esame, sembrerebbe esservi una contraddizione terminologica ai fini definitori di arma tra l’art. 30 TULPS e l’art. 585 cod. pen. Il primo infatti definisce ‘armi’ le armi proprie, cioè (quelle da sparo) e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; la seconda, anche dopo la modifica operata dalla L. n. 94/2009, (cd. ‘Nuovo pacchetto sicurezza’) fa riferimento, al comma 2 n. 2 (oltre a quelle da sparo) non solo a tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona (come recita l’art. 30 comma 1, TULPS) ma anche a tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.

Dunque, il legislatore, agli effetti penali, ritiene ‘armi’ gli strumenti atti a offendere, anche cioè quelli che l’art. 30 comma 2 TULPS (e l’art. 45 comma 1, Reg. TULPS) non indica come tali. L’art. 585 cpv. cod. pen. fornisce dunque una definizione di armi più lata, comprensiva di quegli oggetti che, in relazione alla loro facilità d’impiego e potenzialità lesiva, risultano idonei all’offesa della persona. Ma la discrasia è solo apparente, posto che la definizione data dall’aggravante in parola è valida, come si è visto, solo agli effetti della legge penale (quindi ai fini dell’applicazione dell’aggravante in parola, ma anche di altre norme penali dove viene operato il rinvio al concetto di armi, come avviene negli artt. 339, 393, 416 bis, 610-612, 625, 628, 629, 695 ss. cod. pen.) mentre, ai fini del testo unico delle leggi di PS, è la definizione di cui al combinato disposto di cui agli artt. 30 TULPS e 45 Reg TULPS che occorre far riferimento, definizione che, come si è visto è più circoscritta (vale a dire solo armi proprie).

All’accezione ristretta fa anche riferimento l’art. 704 cod. pen. che, agli effetti delle disposizioni in punto di contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro la vita e la incolumità individuale, statuisce che, per armi, si intendono quelle indicate nel numero 1 del capoverso dell’articolo 585 citato. L’aggravante in questione, di tipo oggettivo, deve dunque ritenersi ricorrente allorché venga usato un oggetto qualificabile come arma come definito dall’articolo, indipendentemente dalla legittimità del possesso o del porto di essa o dal luogo in cui viene usata.

in-auto-con-un-‘pattada’-coltello-sardo-finisce-a-processo-il-giudice-lo-assolve-20906La giurisprudenza ritiene che, per la ricorrenza dell’aggravante, occorre fare dell’arma un uso conforme alla sua funzione di strumento idoneo e destinato (anche occasionalmente) all’offesa della persona sicché essa rimarrebbe esclusa qualora (ad es., una katana), venga usata come corpo contundente ovvero in caso di strumento da punta o da taglio (ad es., un coltello a molletta) usato non dalla parte appuntita o tagliente, ma solo sempre come corpo contundente.

In questo caso si dovrebbe ritenere che non l’aggravante di cui all’art. 585 cod. pen. sarebbe configurabile, bensì quella di cui all’art. 4 comma 6 L. 110/75 che stabilisce, qualora l’uso stesso non costituisca un’aggravante specifica per il reato commesso, che la pena è raddoppiata nei casi in cui le armi o gli altri oggetti di cui ai precedenti commi sono usati al fine di compiere reati.
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