Nel Paese dei Ragni giganti

Scivolando giù dal Varco, Banco precipitò di diversi metri. Rotolò sull’erba fino a fermarsi contro una parete bianca spessa e appiccicosa. Si alzò un po’ ammaccato, facendo fatica a staccarsi di dosso quella lanugine attaccaticcia. Era notte. In cielo la luna piena rischiarava un paesaggio tetro e angosciante. Il silenzio regnava pesante, rendendo ancora più irreale quel che vedeva. Con ancora un po’ di sostanza vischiosa incollata ai capelli, il ragazzo tornò sui propri passi. Voleva fissare il punto da dove era entrato, caso mai avesse potuto servirgli per una fuga precipitosa. Ma il cielo era buio e tutto uguale. La mancanza di stelle, pur non essendovi neppure una nuvola in cielo, rendeva improbabile e fantastica quella situazione. IT del resto lo aveva detto: quella era una SuperImmagine di pura fantasia: avrebbe dovuto aspettarsi situazioni mai viste e anche improbabili o assurde. Inoltre, probabilmente si trattava di un Varco a senso unico che permetteva cioè solo l’entrata, ma non l’uscita. Banco comunque insistette a cercare il punto esatto da dove era sceso restando a lungo con il naso per aria, ma fu tutto inutile. ‘E poi’, pensò, ‘anche se capissi da dove sono sbucato non sarei mai in grado di arrivare fin lassù ovunque sia il passaggio’. Ora il giovane comprendeva perché Tago non era riuscito a ritornare con le proprie forze. Stava facendo queste considerazioni quando sentì tremare la terra sotto i piedi. Si nascose, in atteggiamento guardingo, dietro a un cactus. Da dietro una collina vide avvicinarsi prima due tronchi secchi, poi altri due e quindi altri quattro: si stavano muovendo nella sua direzione. Alzò gli occhi: i tronchi erano collegati ad un corpo irsuto su cui era attaccata una testa enorme e spropositata, con due cesoie affilate e ricurve lunghe un paio di metri. Era un Ragno come non ne aveva mai visti: un Ragno Gigante, uno di quei mostri di cui IT tanto si era compiaciuto. La bestia, che poteva essere alta come un palazzo di due piani, si avvicinò alla parete bianca. La toccò più volte in modo tale che sembrò la stesse riparando. ‘Dunque quella non era una parete come credevo, ma una disgustosa ragnatela’, pensò il ragazzo visibilmente alterato. ‘Finendoci contro ho emesso delle vibrazioni come di un animale intrappolato e il Ragno è venuto subito a controllare se ci fosse finita qualche preda’. Il giovane era paralizzato di fronte a quella apparizione. Poi il Ragno smise di palpare la ragnatela e si fermò ad annusare l’aria. Forse aveva avvertito la presenza del ragazzo, tanto è vero che si diresse lentamente e con circospezione proprio verso il cactus dietro al quale si era nascosto Banco. L’aracnide stava facendo dei passi piccoli come se fosse il primo a non fidarsi di quel nuovo odore. Il giovane era incerto sul da farsi, poi decise di scappare. Alzò una gamba come per correre quando si sentì immobilizzato. Cercò di divincolarsi ma non ci riuscì. Nella penombra Banco vedeva molto poco e non capiva che cosa lo stesse trattenendo. Poi si sentì trafiggere le carni. Mille spilli avevano oltrepassato la maglia e i jeans: era il cactus che lo stava bloccando tenendolo stretto per offrirlo in pasto al Ragno; questi, da par suo, si stava ormai spostando sempre più celermente verso di lui avendo capito che ciò che aveva davanti era cibo fresco. Banco, che pure si agitava in modo forsennato, cominciò a sentire uno strano torpore lungo le braccia e le gambe. Le forze e i sensi stavano venendo meno. Ormai il Ragno era a pochi metri da lui e probabilmente già pregustava un buon pranzetto quando una figura balzò fuori dalle tenebre. Sotto i raggi della luna brillò la lama di un coltello che aprì in due il cactus costringendolo a mollare la presa. Tago, perché quella figura rapida nella notte era il suo amico, agile come un felino, trascinò Banco in una buca nel terreno e poi lo fece entrare in un lungo cunicolo e quindi in un’ampia tana. Il rifugio era rischiarato da alcuni piccoli animali che sembravano criceti se non fosse stato per la loro pelliccia che era fosforescente ed emetteva una pallida luce verde. Diverso tempo dopo, difficile dire quanto, visto che nell’Immagine, come già si sa, il tempo non passa. Ma alla fine Banco rinvenne. «Tago, amico mio, che gioia rivederti» sospirò Banco ancora stordito dalla sorpresa. «Ma cosa ti è saltato in mente di venire qui? Sei pazzo?» fece Tago con aria di rimprovero. Del viso che Banco conosceva, il suo amico aveva conservato solo gli occhi espressivi. Il resto era quasi irriconoscibile, sembrava che il fuoco se lo fosse mangiato. IT aveva avuto ragione, i succhi gastrici dei Ragni avevano lasciato un segno indelebile sul suo volto. E vedendo che Banco lo guardava a bocca aperta, Tago continuò: «Sono diventato un mostro, vero?» Banco non rispose, ma lo abbracciò. Subito dopo si ritrasse, con un’espressione di dolore al corpo. «Non ti preoccupare, sono le punture delle spine del cactus: per fortuna ti ho preso in tempo. Metti questo sotto la lingua» lo invitò Tago, dando all’amico una pastiglietta rossa punteggiata di nero. «Cos’è?» cercò di informarsi Banco con la voce che gli si era fatta rauca. «Ti aiuterà a far passare il bruciore e in poco tempo non avrai più nulla». L’amico ubbidì. «Anch’io sono caduto nella trappola del cactus» si mise a raccontare Tago appoggiandosi ad una parere della tana «ed è stato allora che sono stato ingoiato per la prima volta. Ci sono stato un tempo infinito nello stomaco di quell’animale immondo. I succhi della digestione mi hanno levato subito il primo strato di pelle ustionandomi e riempiendomi di piaghe. Quando il Ragno si degnò di sputarmi fuori, mi sono curato facendomi impacchi di erbe e di argilla. In questo posto ho imparato a curarmi così. Il dolore a poco a poco è diventato sopportabile, ma la pelle non me l’ha ridata più nessuno. Ti assicuro che lo stomaco di un Ragno Gigante è quanto di più puzzolente e sgradevole si possa immaginare. L’odore ti accompagna per parecchio anche quando ne sei finalmente lontano. Ma quello che non ti passa più è lo shock di essere divorato vivo da queste bestiacce, di lottare con la mancanza di ossigeno in un sacco pieno di gas e di acidi che ti bruciano e ti consumano lentamente. Perfino quando ti vomitano non riesci a viverlo come una liberazione. Perché rimani come esanime, svuotato della voglia di lottare per sopravvivere. Per fortuna, dopo un po’, ci si riprende e si ricomincia a lottare per non farsi più catturare!» Banco si sentiva male ad ascoltare quanto Tago avesse sofferto e soffrisse ancora. Provava pena per lui. «La seconda volta sono caduto in una loro ragnatela» seguitò il ragazzo bruno, come se volesse sfogarsi «è stata tutta colpa di una raffica di vento molto teso. Qui a volte il vento soffia all’improvviso e ti coglie alla sprovvista. Ricordo che quel giorno il colpo di vento mi ha sbattuto prima contro una roccia facendomi perdere i sensi e poi mi ha gettato esattamente al centro di una di quelle ragnatele enormi che avrai senz’altro notato. Una volta che ci sei caduto dentro non c’è più modo di uscirne. Anzi, più cerchi di liberarti più ti invischi, con il solo risultato di avvisare il Ragno che l’ha costruita che una preda è rimasta intrappolata». Banco non sapeva trovare le parole giuste per consolare il suo amico. Tago stava riprendendo a raccontare quando i due avvertirono dei rumori provenire dall’imbocco del tunnel. Tago scattò verso il fondo della tana, prese una grata fatta di canne robuste e la conficcò nel terreno a tappare l’ingresso; poi afferrò un bastone terminante in una forcella e lo assicurò al cancelletto di bambù, inserendo l’altra estremità in un buco profondo appositamente scavato nel terreno. Avrebbe dovuto servire come sostegno per la grata, in modo da renderla più resistente ai tentativi di intrusione. Banco stava per chiedere cosa stesse accadendo quando vide un piccolo di Ragno, grosso però come un porcellino, che cercava di abbattere la protezione. Prese la rincorsa più volte ma non ci riuscì. Tago allungò una pertica con la punta acuminata e, passando attraverso la grata, cercò di ferire l’invasore. «Si fanno ogni giorno più furbi e invadenti» sbottò Tago continuando a tirare affondi. «Siccome i Ragni Giganti non riescono a penetrare nel cunicolo, mandano i piccoli che sono ancora più affamati degli adulti». «Però sei riuscito a farlo desistere» disse trionfalmente Banco vedendo che il ‘piccolo’ di ragno ne aveva avuto abbastanza. «Sì, ma non si è ritirato perché sconfitto… è solo andato a chiamare rinforzi. Presto sarà in compagnia di altri ‘cuccioli’ come lui e saranno in grado di fare a pezzi questa grata. Hanno un olfatto molto fine e ci hanno fiutati. Dobbiamo per forza andarcene di qui». Poi Tago vide che l’amico stava fissando i piccoli animali fosforescenti che illuminavano quel posto. «Sono piccole talpe. Sono domestiche ed affettuose. Sono loro che costruiscono questi rifugi sottoterra. Carine, vero?» Banco annuì. «Va bene, non possiamo più restare. Vieni!!!» E senza aggiungere altro, Tago prese a camminare a carponi per un altro cunicolo che, ad occhio e croce, puntava dalla parte opposta rispetto a quella da cui erano giunti. Per fortuna c’erano le piccole talpe che andavano e venivano che illuminavano loro la via. Procedettero un bel po’ in questo modo, tanto che Banco aveva già bucato i jeans all’altezza dei ginocchi. Il cunicolo prese quindi a dirigersi verso la superficie. All’imbocco, Tago spostò un masso che ostruiva l’uscita. «Ora indossa questo!» disse il ragazzo dopo aver tastato il terreno attorno all’uscita e afferrato qualcosa nell’oscurità della notte. «Cos’è?» chiese Banco rigirandosi tra le mani l’oggetto. «È un casco. L’ho costruito mettendo assieme scaglie di un legno durissimo che si trova in questa Immagine insieme a schegge di roccia, il tutto avvolto da cartilagine di ragno…» «Di ragno?» fece Banco. «Sì, ogni tanto mi prendo anch’io qualche rivincita riuscendo a neutralizzare qualcuna di quelle bestiacce, anche se si tratta solo dei loro piccoli. La cartilagine del corpo è resistentissima e sfruttabile per una molteplicità di usi». «Non mi hai ancora detto cosa devo farne di questo coso…» disse Banco alludendo al casco. «Ti ripara dai Sassi Volanti…» «Sassi Volanti?» «Qui tutta la natura o meglio, gran parte di essa, è alleata dei Ragni. Hai già fatto la conoscenza dei Cactus Cacciatori e presto vedrai anche i Gufi Sentinella che ispezionano volando tutto il territorio. Quando mi avvistano si precipitano lanciando un verso acuto e intermittente, come un allarme, chiamando così i Ragni Giganti che accorrono in gruppi ad assediarmi. Ho contato più di seicento Ragni solo in questa parte di Immagine». «C’è da chiedersi come tu abbia fatto ad essere catturato solo due volte». «I Sassi Volanti, invece, escono all’improvviso dalla boscaglia o da sopra una rupe o da dietro un albero. Arrivano velocissimi come fossero stati scagliati da qualcuno e puntano dritti alla testa. Se non li eviti ti tramortiscono. Una volta che ti hanno colpito e sono caduti a terra emettono degli ultrasuoni che i Ragni percepiscono accorrendo in frotte.» Banco si convinse della bontà di quella spiegazione e si mise subito il copricapo che gli stava però un po’ stretto. «E per te non ce l’hai?» «Non mi aspettavo visite: ne ho solo uno. Ma non ti preoccupare, io mi sono abituato a loro per cui, la maggior parte delle volte, i sassi li sento arrivare. Sul lato superiore del sasso hanno delle scaglie di silicio che, ruotando nell’aria, fammo uno strano quanto impercettibile suono: sembrano delle comete sonore». «E ora dove andiamo?» si informò Banco, che aveva preso comunque a camminare piegato in avanti per evitare i Sassi Volanti, imitando in questo l’amico. «Ti porto al sicuro nel mio rifugio, lì potremo mangiare e dormire un po’». Non procedettero mai in linea retta, scegliendo invece percorsi tortuosi e tenendo sempre quella posizione scomoda mezzi piegati in avanti. Superato un grande masso che aveva la forma di un fungo, arrivarono ad un corso d’acqua con un cumulo di pali disposti di traverso e appoggiati, su un lato, su di un’isoletta di sabbia nata nel fiume. «Ho imparato dai castori» sorrise Tago soddisfatto indicando con gli occhi il rifugio. «Ho pensato che l’unico posto dove sarei potuto stare al sicuro dai Ragni e dal loro olfatto acuto era in mezzo all’acqua. Anche perché i Ragni non sanno nuotare». Aveva appena finito di pronunciare queste parole che un Sasso Volante lo colpì violentemente alla nuca facendolo stramazzare al suolo. Contrariamente a quanto l’amico gli aveva detto il Sasso era stato silenzioso o il suono era rimasto coperto da quanto si stavano dicendo. La rapidità con cui accadde tutto ciò aveva avuto dell’impressionante. Tanto che Banco era rimasto a guardare l’amico per un po’, disteso a terra, senza rendersi conto di quanto fosse successo. Poi il sasso, appena toccato terra, cominciò a turbinare. Banco non lo poteva avvertire, ma la pietra stava chiamando in bassa frequenza i Ragni. Il suo primo istinto fu quello di afferrare la pietra aggressore e di lanciarla in mezzo al fiume. Forse lì dentro avrebbe fatto più fatica a trasmettere. Ma il ragazzo sapeva che doveva far presto. Raccolse l’acqua del fiume usando il casco come recipiente per gettarla in faccia a Tago. Se l’entrata al rifugio era sotto il livello del fiume, come pensava, non avrebbe potuto portarci l’amico svenuto. Gli diede degli schiaffetti sul viso per farlo rinvenire, ma non c’era niente da fare: il colpo doveva essere stato molto forte a giudicare dal taglio che aveva in testa da cui usciva copioso sangue. Tago aveva gli occhi semi chiusi e la bocca spalancata. Se non l’avesse visto respirare avrebbe giurato che era morto. Non sapeva più che fare: stava per avere un attacco di panico. Cercò di trascinare Tago in un punto più riparato, perché lì, sulla rena del fiume, sarebbe stato un ottimo bersaglio per qualunque attacco degli aracnidi. Lo afferrò per le braccia e lo tirò delicatamente in un punto dove due rocce creavano una rientranza. Quindi avvertì qualcosa che non avrebbe mai voluto percepire: la sabbia sotto i suoi piedi cominciò a vibrare. Non ci potevano essere dubbi: erano i Ragni che stavano arrivando. Banco realizzò che non sarebbe stato in grado di scappare con l’amico sulle spalle, né poteva lasciarlo in quello stato, sarebbe stato sicuramente divorato. E dire che probabilmente era a pochi metri da un posto sicuro, come il rifugio di Tago prometteva di essere. Decise di completare l’opera di occultamento dell’amico coprendolo in modo improvvisato in parte con la stessa sabbia e in parte con delle frasche munite di bacche che sentiva essere molto profumate. Forse quell’odore intenso avrebbe coperto quello di Tago e i Ragni non si sarebbero accorti di lui. Fece qualche passo verso la riva del fiume per allontanarsi il più possibile dall’amico che difficilmente sarebbe stato in grado di difendere. Poi vide spuntare dalla rupe a forma di fungo, proprio dalla direzione da cui arrivavano i rumori, il muso orrendo di un Ragno. Si vedeva che annusava eccitato l’aria. Il ragazzo decise di inoltrarsi ancora lungo il fiume come se da quella parte ci fosse una scappatoia. Poteva darsi che se avesse fatto una qualche manovra diversiva quella bestiaccia avrebbe risparmiato il suo amico. Aveva già dato qualche metro al Ragno, tutt’ora fermo come se volesse rendersi bene conto della situazione, quando sentì un rumore di frasche rotte alle sue spalle. Era un’altra creatura mostruosa, ma nera e pelosa con un corpo molto robusto, ma zampe più corte. Ora Banco aveva alle spalle il fiume, alla sua destra un enorme Ragno Bianco e di lato il Ragno Peloso che agitava paurosamente un lungo corno appuntito che gli usciva dal cranio. Era in trappola in quanto non poteva scappare neppure verso il monte perché una parete rocciosa a picco glielo impediva. L’idea di finire nello stomaco di una di quelle creature ripugnanti non gli piaceva affatto. Banco si tolse lo zaino. Frugò febbrilmente al suo interno alla ricerca di qualcosa che potesse essergli utile. Trovò il boomerang tagliente: quella era l’occasione giusta per vedere se funzionava. Infilò le dita all’interno del corpo di legno. Si ricordò che, in senso assoluto, non aveva mai tirato un boomerang in vita sua, né tanto meno uno così. Prese la mira, chiedendosi se, per tirare un boomerang, si dovesse prendere la mira. Anche se il Ragno Peloso era più vicino, era il Ragno Bianco che gli faceva più paura, fosse perché era a poca distanza da Tago. Oltretutto era un bersaglio più grosso anche se la luce della luna non permetteva di distinguerne esattamente i contorni. Il ragazzo dondolò più volte il boomerang all’altezza dell’orecchio destro — cercando di non tranciarselo — così come aveva visto fare in un documentario sugli aborigeni australiani, e lo tirò con forza. Il boomerang volò dritto e teso verso il Ragno Bianco proprio in direzione delle due cesoie aperte, ma, a un metro o poco meno dalle stesse, virò all’improvviso di lato per tornare indietro e sparire nella boscaglia. Banco, che aveva seguito tutta la traiettoria di quell’oggetto, rimase a bocca aperta: deluso per l’esito di quel suo lancio. Non era previsto che il suo boomerang dovesse fare così. Avrebbe dovuto collaudarlo a suo tempo permettendo di correggerne gli errori. Ora aveva perso anche l’unica arma che si era portata con sé. I due Ragni si erano fermati, lo spostamento d’aria del boomerang li aveva insospettiti, trattandosi di un qualcosa che non conoscevano. Quindi il Ragno Bianco riprese la sua avanzata verso il giovane anche se più circospetta. Lo stesso fece il Ragno Peloso che ormai era vicinissimo alla sua preda, tanto vicino che, se avesse alzato una zampa, avrebbe probabilmente schiacciato il ragazzo. Banco, per fare qualcosa, raccolse un sasso, ma la sua dimensione faceva ridere rispetto a quella del Ragno nero che si stava chinando pericolosamente verso di lui protendendo il lungo e affilato corno. Lo fece cadere per lo spavento. Si sentiva inerme, alla mercé di quella bestia che aveva uno sguardo oscuro, tetro e maligno. Il giovane rimase fermo e immobile, chiuso nel suo terrore. Il Ragno stava per trapassarlo da parte a parte con quella sporgenza cornea acuminata quando il boomerang uscì all’improvviso dalla boscaglia roteando ancora vorticosamente: arrivò di lato tranciando di netto al suo passaggio il capo del Ragno Peloso. La testa cadde pesantemente sulla rena rimbalzando nella polvere, mentre dal tronco ancora in piedi fuoriusciva un liquido giallastro e nero, maleodorante. Dopo qualche istante cadde anche il corpo acefalo, crollando come un’impalcatura rimasta senza i bulloni che la sorreggevano. Il rumore fu assordante come fosse caduta parte della montagna. L’altro ragno, quello bianco, dovette aver fiutato nell’aria odore di morte insieme al sangue dell’aracnide decapitato, perché cominciò prima a retrocedere e poi ad allontanarsi precipitosamente. Incredulo che avesse funzionato, Banco riprese il boomerang che si era fermato in aria, docilmente, a pochi centimetri del suo braccio, così come avrebbe voluto facesse. Ero visibilmente compiaciuto: non poteva credere di aver ammazzato un mostro di quel genere, anche se per sbaglio avendo mirato all’altro Ragno. Poi prese una bottiglietta d’acqua dallo zaino e la svuotò sulla sabbia. Benché provasse ribrezzo, la riempì con il sangue del Ragno che ancora zampillava dal corpo mutilato. Gli dispiaceva buttar via dell’acqua, ma qualcosa gli diceva che quel liquido aveva un qualche effetto repellente nei confronti delle altre bestiacce e si sarebbe potuto rivelare prezioso. Banco buttò un occhio in direzione di Tago. Vide che le frasche si stavano muovendo. Corse da lui. «Come stai?» gli chiese con apprensione. «Ho un gran mal di testa… ma che è successo qui?» chiese osservando la carcassa del Ragno decapitato e la sua testa recisa in un lago di liquido ora neroverdastro. «Ho avuto un incontro ravvicinato con un ospite sgradito». «Direi che hai saputo difenderti. Molto meglio di quello che ho saputo fare io in tutto questo tempo. Il bello è che ero io che stavo difendendo te. Avevo proprio bisogno di un aiuto come il tuo. Ma cosa hai usato per abbatterlo?» «Questo!» sorrise Banco mostrando il boomerang nel fodero. «Però!» «E ad ogni buon conto ho anche raccolto del sangue del Ragno ucciso» aggiunse. «Potrebbe tornare comodo: ho visto che agli altri suoi colleghi non piace affatto quell’odore». «Hai fatto bene. Tutto quello che può risultare utile in questo luogo infernale, è preziosissimo» ribatté Tago ancora confuso. Banco tirò su l’amico. «Te la senti?» gli domandò. «Sì, ora sto benone!» rispose Tago massaggiandosi la testa «anzi dobbiamo essere svelti ad andarcene. Non escluderei che possano arrivare altri Ragni a dar manforte a quello che è morto. Hanno uno spiccato senso della solidarietà». Così dicendo, si incamminò verso la riva del fiume. Sembrava quasi zoppicasse. Poi si voltò, sorrise all’amico e aggiunse: «Seguimi!» E si tuffò.

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