La dispensa

«Cosa ci è caduto addosso? Cosa ci è caduto addosso?» urlò di terrore Nora. Franz si agitava senza dir nulla, ma si avvertiva che era profondamente smarrito. «State calmi, state calmi!» esortò Banco sforzandosi di dar l’impressione di avere la situazione sotto controllo. Invece il ragazzo aveva paura come gli altri, se non di più, avendo preso consapevolezza che dal Mondo delle Immagini non sarebbe più uscito vivo. «È qualcosa di caldo…» biascicò nervoso Franz tastando la cosa davanti a sé senza riuscirla a vedere nel buio fitto di quel luogo. «Allora è un animale, che schifo, che schifo!» fece Nora nel panico più completo che le fece abbandonare il suo aplomb da nobildonna inglese. «Ma non si muove, cara, forse è morto!» «Peggio! Adesso appesterà la poca aria che c’è qui dentro e ci attaccherà un mucchio di malattie!» Anche Banco si mise a toccare la cosa. Escluse però da subito che potesse trattarsi di un Demone perché Franz e Nora l’avevano visto cadere e ora lo potevano anche palpare. Escluse pure che fosse un animale, non ne aveva la forma: si sarebbe detta piuttosto una persona, viste le dimensioni e il tonfo di caduta. E, probabilmente, era solo svenuta. Passò del tempo. Si era fatto un silenzio imbarazzante là sotto. Adesso Franz e Nora sembravano comportarsi addirittura come se non fosse successo niente, come se ci fossero solo loro in quella prigione buia. Se non era possibile identificare la cosa, dopotutto forse era meglio ignorarla. Là sotto, l’odore di terra fresca saturava le narici. L’umidità penetrava nelle ossa e faceva freddo. Come spesso accade, poi, il buio ingigantiva le angosce. Poi, ad un tratto, il silenzio fu interrotto da un: «Salve!» Sembrava un mormorio cavernoso, che proveniva da lontano, ma aveva in sé qualcosa di dolce e di innocuo. Nora urlò per lo spavento. Franz se ne uscì con il suo solito ‘caspitaperdincibacco’. «Salve!» rispose Banco come volesse rassicurare la sconosciuta — perché di una donna si trattava — che anche loro non erano nemici, invitandola così a parlare. «Chi sei?» «Sono una Socia della Compagnia…» fece con un filo di voce «sono quella che era travestita da Morticia Addams». «Ah sì, mi ricordo di te…» disse Franz rincuorato. «Ti ho visto ballare dai monitor. Cosa ci fai qui dentro?» «Stavo lottando a fianco di Saruman e il suo gruppo quando all’improvviso mi sono resa conto che non ero veramente la Morticia della famiglia Addams come avevo preteso di credere all’ingresso di questa Immagine, ma solo una povera vittima, prigioniera di questa irrealtà». «E allora cosa hai fatto?» le chiese Banco. «Ho cercato di allontanarmi dagli altri senza farmi notare. Ma ad un certo punto sono caduta in un’imboscata. A catturarmi non sono stati però i membri dell’altra fazione, bensì qualcun altro della cui presenza non mi ero neppure accorta. Mi hanno presa con la forza, tramortita e buttata qua sotto. E voi?» «Io sono Franz e lei è Nora. Siamo i Gran Rettori della Compagnia…» «Franz e Nora? Sì certo, vi conosco» disse Morticia. «Mi fa piacere di non essere sola qua sotto». «E lui invece è Banco, un giovane ma promettente operatore CIA» continuò Franz, come se potessero vedersi. «Molto piacere!» «Piacere mio» fece Banco. «Ma chi è questa gente che ti ha assalito, cara Socia? Non ci dovrebbe essere più nessuno della Compagnia su questa Immagine…» chiese curioso Franz. «Non saprei proprio dirlo. Mi hanno preso di sorpresa e dopo un po’ non ho capito più nulla». «Non è per cambiare discorso…» fece a quel punto il giovane abbozzando un sorriso di cui nessuno si sarebbe accorto per il buio imperversante «ma sarebbe utile, qualunque sia il tipo di strategia che vorremo adottare per uscire di qui, capire le dimensioni di questa stanza…» «Giusto, hai ragione. Non bisogna abbassare la guardia» si compiacque Nora. «Rendiamoci utili. Al lavoro!» «È abbastanza grande…» relazionò Franz facendo un rapido giro di ispezione in ginocchio dopo aver toccato le pareti di terra friabile «ma è piuttosto bassa, non si riesce neppure a stare in piedi se non sulla verticale della botola… chissà cos’è questo posto». «Forse è un rifugio per qualcuno…» azzardò Morticia. In quell’istante la botola si aprì e qualcuno buttò qualcosa che si abbatté sulla testa dei malcapitati. Per un attimo la luce esterna filtrò nella stanza dove si trovavano i quattro. Tutti poterono vedere chiaramente, anche se in un rapido flash, la bellezza un po’ particolare di Morticia spettinata e in disordine, ma piena di fascino. Poi divenne nuovamente tutto scuro. «Cosa hanno buttato giù, ora?» chiese Nora con tono meno terrorizzato di prima come se oramai ci avesse fatto l’abitudine. «Ad occhio e croce, dall’odore, sembrerebbe, la carcassa di un animale» diagnosticò Banco. «Ma è terribile!» insistette ancora Nora: «contaminerà la nostra aria!» «Forse ho capito a cosa serve questa camera» se ne uscì Banco per nulla contento di quella deduzione. «Credo sia una dispensa». «Una dispensa?» fece eco Morticia «e di chi?» «Non so» ribatté Banco, che avrebbe voluto invece spiegare che, con tutta probabilità, si trattava della dispensa dei Demoni e che loro stessi avrebbero costituito senza dubbio, in un prossimo futuro, una scorta di cibo, una volta che fossero stati così sfiniti dalla fame e dalla sete da non essere più in grado di opporre una valida resistenza. Poi considerò che questa notizia avrebbe gettato nel panico i suoi compagni e che, dunque, era meglio soprassedere per il momento. Sistemarono la carcassa su un lato della stanza cercando anche di seppellirla, per quanto fosse possibile farlo con le mani. Nell’aiutare gli altri Banco si accorse che doveva trattarsi della carcassa di un daino o di un cervo giovane. Aveva la pancia aperta e le viscere fuoriuscivano. Quel che c’era di peggio era che sembrava che l’animale fosse stato ucciso a morsi. «C’è qualcuno a cui è venuto in mente un modo per uscire vivi di qui?» domandò Franz con il tono di chi non si aspettava una risposta. «Anche se ci mettessimo uno sopra all’altro, come avevo pensato in un primo momento» sospirò forte Nora, ben sapendo che nessuno l’avrebbe contraddetta «avremmo pur sempre un quattro o cinque metri buoni sopra alla nostra testa prima di raggiungere la botola». Quella fu l’ultima frase che si sentì nel buio, cui nessuno volle replicare per mancanza di idee e per il pessimismo imperante. Là sotto sembrò trascorrere un giorno intero. Il giovane percepì concretamente, per la prima volta, la sensazione che il tempo fosse fermo. L’aria cominciava a diventare irrespirabile: un po’ per l’animale morto, un po’ per la mancanza di ricambio di ossigeno. La stanza era tutto sommato piccola e loro erano in quattro. Banco si era sdraiato a terra: stava perdendo le forze, come del resto anche gli altri. Avevano la nausea e la sensazione continua di perdere i sensi. La fame e la sete poi erano diventate insopportabili. I suoi compagni di prigionia avevano smesso di parlare. Nel buio il ragazzo se li immaginava immobili, a pancia in su come era lui, con gli occhi socchiusi e la bocca spalancata, a catturare quanto più ossigeno fosse possibile. L’unica che non si lamentava era Morticia. Si muoveva spesso, badando bene a non urtare gli altri. Pareva cioè non soffrire né il caldo, né la fame, né la sete e non sembrava neppure inquieta. Anzi, pareva tranquilla come se quella fosse stata la sua camera da letto. Per essere una donna, pensò Banco, è davvero molto forte. Stava facendo queste considerazioni quando la botola si riaprì. Per istinto tutti e quattro si alzarono in piedi strizzando gli occhi per la luce che inondò la fossa, ma si alzarono anche istintivamente sulle punte dei piedi protendendosi verso quell’ossigeno insperato che in modo prepotente saturava la dispensa inebriando i prigionieri. Banco ebbe tutto il tempo di dare un’occhiata a Morticia, per curiosità. Era l’unica di loro che aveva l’aria riposata, il colorito roseo e un aspetto invidiabile anche se il vestito era stracciato in più punti e la gonna era stata resa corta per rendere possibili i movimenti: non c’era dubbio, considerò Banco, Morticia era una bella signora davvero. Forse erano quei suoi occhi scuri così profondi o forse ancora quel portamento altero e pieno di dignità. Dal bordo della fossa, in alto, c’erano ora due Demoni Carena diversi da Gola Squarciata e Guance Forate. Guardarono un po’ in giù, come per accertarsi che tutto andasse per il meglio e che le prede non fossero scappate. Quindi, come era già successo la volta precedente, con mossa fulminea, gettarono altre carcasse di animali uccisi. Solo che questa volta erano decine e decine di animali che riempirono pressoché tutta la stanza e parte del condotto di accesso fino a ostruirlo per qualche metro. Dopo quella pioggia di corpi la botola fu richiusa. I prigionieri provarono subito un senso acuto di soffocamento. Anche perché gli animali erano stati uccisi da poco e perdevano ancora sangue in abbondanza: anzi, alcuni di loro avevano persino fremiti di vita. Ben presto scoppiò lo smarrimento. Soprattutto Nora sembrò aver perso tutta la sua calma e il raziocinio. La donna alternava rise isteriche a pianti irrefrenabili: Franz cercava di calmarla. Solo Morticia taceva. Il silenzio ritornò a fatica in quella dispensa, e sempre più assomigliava a una cupa disperazione. «Potremmo usare le carcasse degli animali come basamento…» propose il ragazzo con entusiasmo «…e poi salendo uno sopra all’altro potremmo cercare di uscire di qui». «Mi sembra una splendida idea!» aderì entusiasta Morticia. Anche gli altri furono subito d’accordo nel fare questo tentativo. Nella cella serpeggiò di nuovo l’ottimismo e le scene di scoramento di poco prima erano state già dimenticate. Di buona lena, furono allora ammonticchiate una sopra all’altra le varie carcasse; furono sistemate a spina di pesce, in modo che rimanessero incastrate tra loro e non scivolassero di lato. Fu lasciato solo uno spazio da una parte in modo che i quattro potessero, a turno, salirvi a formare, a partire dal basamento così reato, una specie di totem. Quando tutto fu pronto, Franz propose: «Io sarò il primo: sono abbastanza massiccio da tenervi tutti quanti!» «D’accordo» assentì Nora. «Io sarò la seconda, perché sono più robusta di voi» alludendo a Banco e Morticia. «Io sarò l’ultimo» fece Banco «potrò allungarmi meglio per aprire la botola». «No, preferisco essere io l’ultima» se ne uscì inaspettatamente Morticia «ho le spalle molto delicate, non ce la farei a reggerti, Banco». Il ragazzo avvertì che la donna, nel buio, gli aveva sorriso. «Va bene, allora è deciso: questo sarà l’ordine!» concluse Banco. ‘E ce la si dovrebbe fare’ pensò, ‘considerato lo spessore della pedana creata con le carcasse degli animali, la complessiva altezza di noi quattro in relazione a quella del pozzo’. Come se avessero provato e riprovato l’esercizio più volte, in pochi attimi Franz, Nora e Banco furono in posizione. Toccò quindi, da ultimo, a Morticia che si arrampicò con qualche fatica. «Non ci arrivo» quasi piagnucolò Morticia una volta raggiunta la cima della colonna umana: «mi manca ancora diversi metri!» Non si vedeva nulla lì dentro per cui Banco non era in grado di vedere quanto mancasse. «Ma sei sicura?» fece il ragazzo incitandola a riprovare ad allungarsi. «Sì, sono sicura, mi spiace, non c’è proprio niente da fare». Banco cercò di pensare a una soluzione alternativa, ma non gli venne in mente nulla. Non sarebbe stato infatti possibile alzare ancora la pedana perché non c’erano carcasse sufficienti. Il fallimento di quel tentativo ebbe un effetto disastroso sul morale del gruppo. Dilagò infatti un mutismo pesante, avvilito, senza apparente rimedio. Anche quando più tardi la botola si riaprì nuovamente, i quattro non si mossero neppure come avevano fatto la volta prima. Se ne stettero anzi immobili, già vinti nell’animo prima ancora che nel corpo. Nello spiraglio che era rimasto tra la catasta di carcasse che non avevano avuto la forza di rimuovere e la parete del pozzo, Banco vide Gola Squarciata lanciare dentro uno spago cui era agganciato un grosso uncino da macellaio. Afferrò così un animale morto e lo tirò su in una sorta di pesca facilitata. Ripeté la manovra altre quattro volte procurandosi probabilmente in questo modo il pasto per sé e i suoi accoliti. «Ecco come finiremo…» sbottò Franz prostrato. «Appesi ad un gancio da carnefice, per essere poi divorati vivi». Quando la botola si richiuse sopra alle loro teste era come se fosse stato messo il coperchio a una bara, tanto il senso di resa definitiva si era impadronito dei prigionieri. Per provare a dimenticare l’incubo che stavano vivendo, i quattro si distesero ancora una volta sul fondo della dispensa. Forse dormire o cercare di farlo avrebbe permesso loro di non sentire i morsi della fame o l’arsura della sete o la mancanza di aria fresca. Banco si mise le mani intrecciate dietro alla nuca, come faceva di solito quando voleva calmarsi. Le possibilità di sopravvivere diminuivano man mano che il tempo trascorreva, anche se il tempo non trascorreva affatto. L’atmosfera era tesa, nervosa. Nel buio avvertì che il respiro della donna era calmo e armonico e sentì distintamente che qualcosa in quella donna non lo convinceva.

Lasciami un tuo pensiero