Caccia alla testuggine

Cercò la sorella in ogni parte della casa. Dalla soffitta alla cantina, dai bagni al giardino. Gridò il suo nome più volte. Niente: si era volatilizzata. Pensò allora che forse era venuta la zia, come preannunciatogli da sua madre: rimaneva quindi la speranza che fosse stata lei ad averla portata via con sé. Andò nella stanza dei genitori a controllare, ma vide che tutte le valigie erano al loro posto. No, la zia non si era ancora fatta vedere e poi Tessa gli avrebbe lasciato un messaggio. Ritornò nella propria stanza. Non riusciva a capacitarsi. Andava avanti e indietro cercando di capire cosa potesse essere successo. Poi gettò casualmente uno sguardo dalla finestra: si accorse che qualcosa di scuro, nella penombra della sera, fuoriusciva dal cassonetto della spazzatura. Con il cuore in gola fece gli scalini a due a due. Corse al cassonetto più velocemente che poté. Al chiarore della luce del lampione distingueva male di cosa si trattasse. Si fermò un attimo: il cuore gli stava impazzendo nel petto. Riprese a camminare, piano piano: poi riconobbe il profilo della sua bicicletta. Si sedette sull’erba del giardino accanto. Gli tremavano le mani e le gambe non lo reggevano più. Aveva temuto il peggio, pensava che quella figura fosse Tessa. Rialzandosi si diede una manata sulla fronte. Sulla bicicletta c’era il suo zaino e, in una tasca, la tessera della biblioteca con l’indirizzo di casa. La Banda dei Malvagi, che aveva evidentemente sottratto la sua bicicletta, aveva anche rintracciato la sua abitazione e di conseguenza rapito la sorella. Rientrò subito in casa considerando amaramente che, come operatore CIA, valeva davvero poco: stava infatti commettendo errori su errori. Un vero disastro! Decisamente, quell’incarico non faceva per lui e ora aveva messo anche in pericolo la sorella. Quanto accaduto poteva significare, oltretutto, che nemmeno lui dovesse considerarsi più al sicuro. Salendo le scale gli venne in mente che gli Emissari potevano aver portato via non solo la sorella, ma anche il Gator. E se così fosse stato, avrebbe dovuto dire addio all’idea di poter salvare Tago e probabilmente anche Tessa, nel caso fosse stata trasferita su qualche sperduta Immagine. In camera cercò il navigatore sotto il letto, sulla scrivania, nel bagno. Anche lui sembrava sparito. Poi, quando Banco ormai aveva perso ogni speranza sentì: «Sei ancora arrabbiato con me?» fece una vocina da sotto il cuscino. Era Gator. «No, affatto!» fece Banco sorridendo, «anzi, sono proprio contento di vederti. Ma cosa è successo?» «Sono venuti in quatto. Erano vestiti di scuro. Non hanno affatto nessun rumore. Sembrava non camminassero neppure tanto era leggero il loro passo. Si sentiva solo un vento caldo attorno a loro e un alito di morte che attanagliava i miei sensori. Due sono andati immediatamente da tua sorella e l’hanno portata via dopo averla addormentata, gli altri si son messi a cercare me. Hanno rovistato dappertutto. Ma io, per non farmi trovare, ho preso la forma di un libro: per essere sicuro di non emettere il più piccolo suono, mi sono disattivato». «Sei in gamba!» si complimentò il giovane. «Ma allora ci tieni un po’ a me?!?» «Forse… ma non ti montare la testa» cercò di fare il difficile Gator. «Riesci davvero a prendere la forma che vuoi?» chiese il ragazzo curioso. «Già, noi assistenti di primo livello, modestamente, siamo modelli molto avanzati. Possiamo far questo e un mucchio di altre cose che forse un giorno scoprirai…» Poi, accigliandosi, Banco gli disse: «Adesso cosa faccio? Oltre a Tago, ho perso anche mia sorella. Dove possono averla portata?. «Non è ho purtroppo idea: è un bel pasticcio, non c’è che dire…» «Però potrei cominciare con il liberare Tago: con la sua esperienza nell’Altra Dimensione potrebbe poi aiutarmi a trovare Tessa…» «Sì. Ma da quello che ho capito… dal Paese dei Ragni Giganti non si torna indietro. Francamente ti sconsiglio di andarci». «Ci devo provare, Gator, mia sorella e il mio nuovo amico sono troppo importanti per me». Gator si accorse che le vibrazioni del ragazzo erano piene di buone emozioni e che chi le emetteva era davvero disperato. «Va bene, ti aiuterò… Dove vuoi che ti trasferisca?» «Nell’Oceano Sovrapposto, nella ex Sede della Compagnia». «Ma c’è solo mare lì» obiettò Gator. «Sì, hai ragione. Ma all’arrivo nell’Immagine, non so per quale motivo, si viene depositati su degli scogli che poi purtroppo, anche se lentamente, si sciolgono nell’acqua». «Lo so,» fece il navigatore con aria da saputello «è una procedura di sicurezza che entra in funzione automaticamente quando il luogo di destinazione non garantisce le condizioni di sopravvivenza del trasportato». «Se riesco a richiamare la testuggine, attraverso il cui Varco di Fuga Tago è sparito, spargendo tutto attorno il mangime che mi ha dato un mio amico, potrei non finire affatto a mollo: ritrovata la tartarugona marina, scendo dentro di lei e raggiungo il mio amico, lo salvo e torno indietro per andare a liberare Tessa!» «Un bel piano, davvero. Mi sa però che fai le cose troppo facili. Per esempio: una volta che sei faccia a faccia con i Ragni come pensi di combatterli, facendo loro ciao ciao con la manina?» «Qualcosa mi verrà in mente, Gator, non fare il complicato» fu la risposta laconica del ragazzo, che a forza di ripetere quella frase aveva preso a crederci. Banco si alzò, prese lo zainetto e vi infilò alla rinfusa qualche sua invenzione. Tirò su anche il sacco del mangime per tartarughe e poi, afferrando il Gator, disse: «Sono pronto, navigatore, andiamo nel bagno, che voglio partire il più presto possibile». «Non c’è più bisogno del bagno» rivelò a sorpresa Gator. «Ho ricevuto un aggiornamento del software. Ora è possibile navigare anche senza impugnare i rubinetti. Basta afferrarmi con tutte e due le mani. Al resto ci penso io». «Ma è fantastico! Ero stufo di sentirmi ridicolo con i rubinetti in mano!» «Hai visto che qualche vantaggio lo si ha, a possedere un Gator di primo livello?» «Senza dubbio! Ma questo lo hai già detto un mucchio di volte! Se non fossi così vanesio e ripetitivo, saresti anche simpatico» disse ridacchiando. Poi Banco, con lo zainetto in spalla, si posizionò sul letto con la sveglia in mano e il sacco del mangime ben stretto tra i piedi. Era consapevole dei rischi di quella missione di salvataggio, ma sentiva che la riscossa contro il Malvagio e la Banda dei Demoni sarebbe iniziata dalla liberazione del suo amico. Prima di afferrare il Gator con tutte e due le mani, il ragazzo chiuse gli occhi come per concentrarsi. Al campanile della chiesa di San Properzio rintoccavano le sei del pomeriggio: il pomeriggio di un sabato prometteva di non avere mai fine. Il ragazzo trasse un lungo sospiro, poi fece contatto. La luce, ancora più rapidamente delle altre volte, disegnò il suo profilo esplodendo in una fantasia di scintille gialle, rosse e blu. Come già era accaduto, Banco vide, subito dopo attorno a sé, una luce intensa che sfarfalleggiava nel buio senza essere in grado di distinguere nessun altro particolare. In effetti aveva contato sul fatto che, al posto della Sede della Compagnia, ci fosse ancora il mare, e quei segnali di disturbo lo rassicuravano in tal senso. Temeva solo di rientrare in uno spot: non avrebbe avuto né la voglia né il tempo di ritrovarsi a lottare con cavalieri esuberanti e aquile selvagge. Poi, delle righe orizzontali invasero tutta la scena, che gli ballò davanti agli occhi in modo persistente e fastidioso. Sentì anche delle voci confuse e biascicate che sembravano venire dall’interno del suo corpo. Era come se qualcuno lo chiamasse dal fondo dell’Inferno. Non capiva se per invitarlo a proseguire nella sua avventura o per dissuaderlo. Un brivido gelato gli corse lungo la schiena e lo terrorizzò. Fu di nuovo la volta del buio, con qualche lucina colorata qua e là a formare quella che parevano tante piccole stelle cadenti. Un sonoro glang rimise le cose a posto facendogli di colpo apparire la distesa immensa del mare che ben conosceva. Per un attimo ebbe un sobbalzo. Aveva fatto tanta fatica ad andarsene via di lì ed ora ci era ritornato volontariamente e per giunta da solo. Per fortuna si ritrovava senza sorella e pure sugli scogli, come aveva previsto. Ora occorreva solo far presto, prima che si sciogliessero. Così aprì il sacco di mangime che gli aveva dato Canio e lo vuotò intorno alle rocce affioranti stando bene attento a distribuirlo per tutta la circonferenza di quella isoletta. Poco dopo, era già piazzato sullo scoglio più alto a cercare di individuare la sagoma della testuggine. Dopotutto, pensò, quel tratto di Oceano disegnato in quell’Immagine non doveva poi essere così profondo e la tartarugona, attirata dal mangime di cui era ghiotta, non avrebbe tardato a farsi vedere. Ma Banco si sbagliava. Qualcosa non stava andando per il verso giusto. La testuggine non stava affatto arrivando, anzi non se ne vedeva neppure la sagoma scivolare sotto il pelo dell’acqua. Invece gli scogli avevano preso puntualmente a sciogliersi. Di colpo il ragazzo si sentì in trappola. Considerò che sarebbe finito ben presto a bagno, senza quella testuggine che gli avrebbe consentito il passaggio per il Paese dei Ragni e senza essere in grado, per la lontananza, di raggiungere a nuoto la zigrinatura dei due lembi sovrapposti per poter scappare dall’Immagine e rientrare nella Realtà. Il pericolo di finire in fondo al mare, esausto per la fatica della lunga nuotata che lo aspettava, si riaffacciava dunque prepotente e concreto. Banco ebbe tutto il tempo per pentirsi più volte di aver tentato di nuovo quell’avventura. Forse sfidare per la seconda volta la fortuna era stato arrogante da parte sua. Oltretutto, ora non poteva neppure più contare sulla esperienza di Tago, che avrebbe potuto consigliarlo su come comportarsi e si sarebbe dovuto pure disfare dello zaino, con le sue preziose invenzioni, che lo avrebbero appesantito nella nuotata. Sì, era stato proprio un incosciente a farsi trasportare dal desiderio di salvare il suo amico: adesso lo aspettava di nuovo lo spettro della sete e della fame se non l’eventualità di finire a far compagnia ai pesci. Il sole alto a picco nel cielo non stava facendo complimenti e il ragazzo sentiva già che gli tirava la pelle. Osservava con sgomento gli scogli di roccia nera, dura e levigata che si stavano disfacendo secondo un copione ben conosciuto. Cercava di elaborare velocemente soluzioni alternative, ma la distesa di mare blu pressoché piatta per la bonaccia imperversante non gli faceva venire in mente nulla. Il contrasto tra la pace di quel luogo e la tragedia che stava rivivendo era davvero molto forte. Stava considerando che l’acqua gli arrivava quasi alle caviglie, quando, con la coda dell’occhio, notò una grossa macchia scura che stava avvicinandosi rapidamente di lato nella sua direzione. Ebbe un sobbalzo al cuore e il sorriso gli tornò sulle labbra. Forse non tutto era perduto, la testuggine aveva sentito il richiamo del cibo e stava finalmente arrivando. Ma no. Non sembrava la ‘sua’ testuggine: doveva trattarsi di un pesce molto più grande. Ebbe appena il tempo di capire che si trattava di una manta delle dimensioni di un aliante che la stessa, dopo esser uscita con un balzo di diversi metri dall’acqua, si catapultò con violenza sul mangime che era stato sparso sulla superficie. Il contraccolpo dell’onda venutasi a creare lanciò il ragazzo lontano dagli scogli, facendogli persino eseguire un non voluto salto mortale all’indietro prima di ricadere anche lui in acqua, di pancia e di faccia. La manta, nel rigirarsi e ritornare nel punto dove si trovava il cibo, evidentemente di suo gradimento, con la coda robusta e lunghissima spazzò una vasta area di mare attorno a sé, finendo per agganciare lo spallaccio dello zaino di Banco, che venne così prima tirato fuori di peso dall’acqua e poi ributtato con forza in mare, con un colpo secco che ricordò quello di una frusta. La manta eseguì due o tre volte queste rapide virate fino a quando fu ben certa di aver risucchiato tutto il cibo sparso in superficie. Quindi l’animale marino s’inabissò portandosi dietro Banco. Benché tramortito, il giovane aveva fatto in tempo di riempire i polmoni d’aria, ma più per l’istinto di sopravvivenza che per un calcolo razionale. Impigliato per lo zaino alla coda della manta, viaggiava ora sott’acqua ad una velocità elevatissima, tanto che non riusciva neppure a tenere aperti gli occhi. L’animale, visto il modesto peso del ragazzo, neppure si era accorto della sua presenza, nuotando tranquillo ad una profondità di diversi metri. L’aria nei polmoni del giovane si stava esaurendo rapidamente. Approfittando del momento in cui la manta ebbe a rallentare un poco l’andatura, sganciò lo spallaccio rimasto attaccato alla coda e si ritrovò libero. Guardò con angoscia la superficie sopra alla sua testa, rendendosi conto che non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungerla. In cerca di una via di scampo, rivolse allora lo sguardo verso il fondo: mezzo nascosto dalla vegetazione marina c’era lo scafo rovesciato di un’imbarcazione. Nella certezza di non essere in grado di arrivare in superficie, decise per lo scafo. Con poche rapide bracciate entrò nell’imbarcazione rovesciata in un punto dove era rimasta sollevata per la presenza di un grosso masso. Dentro al fasciame, come si augurava, trovò una modesta sacca d’aria rimasta imprigionata al momento in cui la grossa barca era affondata. Era ossigeno: ossigeno vecchio, stantio e maleodorante, ma pur sempre ossigeno. Schiacciandosi contro il soffitto dello scafo respirò avidamente, con affanno. ‘Che razza di situazione’, pensò sconfortato, ‘non poteva andar peggio: quest’Oceano non mi porta fortuna. Il piano è fallito miseramente’. E mentre ancora stava inspirando a bocca spalancata i pochi centimetri cubi d’aria a sua disposizione, sentì un rumore cupo provenire dal basso. Provò a non muoversi e a trattenere il respiro: lo sentì di nuovo. Si immerse per vedere che cosa fosse. Spostò alcune scatole piene di barattoli di conserva di pomodoro e piselli che erano state portate a bordo dell’imbarcazione. Levò un remo troncato in due e cercò di pulire l’acqua davanti a sé, sporca di polvere e detriti molto fini. Non vedeva nulla, anche perché la luce filtrava a stento. Poi, pian piano, abituando gli occhi alla scarsità di luce, pressoché sul fondo di quel mare, distinse due occhi gialli che lo stavano guardando supplichevoli. Prese il remo e lo imbracciò come una fiocina, quindi, con molta cautela, tolse il pezzo di sacco di iuta che copriva parzialmente la faccia o il muso di quell’essere che aveva di fronte. Si accorse che era lei: la ‘sua’ testuggine. Banco tornò a prendere un’altra boccata di ossigeno sul fondo della barca, poi si ributtò per raggiungere l’animale. La testuggine era rimasta intrappolata là sotto e non riusciva più a muoversi. Aveva una espressione rassegnata, come di chi avesse accettato quella fine tanto improbabile. Banco prese un’altra boccata di ossigeno riempiendo questa volta completamente i polmoni. Poi si mise a cavalcioni della testuggine pronto ad infilarsi nel Varco di Fuga che sapeva essere posto alla sommità del carapace; con il mezzo remo ben saldo in mano toccò l’apice dello scafo rovesciato. Poi delicatamente si lasciò scivolare dentro al rettile il quale, paziente, aspettava che il ragazzo entrasse. Poi, prima di sparire del tutto dentro l’animale, Banco, adoperando il legno che imbracciava, alzò con forza il fasciame sino a farlo ribaltare. La testuggine, vista sopra alla sua testa l’insperata superficie del mare, si lanciò finalmente libera nella sua direzione, spingendosi con forza con le due zampe posteriori. Il ragazzo, mollato il remo, s’introdusse invece completamente dentro al pertugio, scomparendo alla vista. Banco era scampato una seconda volta all’inferno dell’Oceano Sovrapposto, ma la vera avventura, per lui, doveva ancora iniziare.

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