Il concorso

fiera-di-roma-concorso-magistraturaAppena dopo aver sentito qual era il tema del terzo scritto gli venne da piangere per il nervosismo accumulato in quei tre giorni. In quello di esordio la traccia era difficile ma fattibile, durante il secondo era rimasto più di un’ora a scrivere in un angolo del foglio uso bollo quale potesse essere il possibile sviluppo del tema; aveva dei vuoti di preparazione per un passaggio cruciale della prova ma poi alla fine era riuscito a capire cosa effettivamente buttar giù realizzando un elaborato finanche al limite del soddisfacente.
Ed ora, preso nota della terza traccia, non ci poteva cedere che si trattava di un argomento che conosceva benissimo per averci scritto addirittura la tesi di laurea. Il suo sogno si stava realizzando. Dopo anni di studio, di sacrifici, di rinunce, cominciava a vedere la fine. Il superamento degli scritti in quel concorso, lo sapevano tutti, assicurava un buon 80% della sua riuscita perché la selezione era feroce e spietata.
Non si fece prendere però dall’eccessivo entusiasmo. Era stanco, aveva mangiato e dormito pochissimo. Ma ce la poteva davvero fare. Decise allora di non scostarsi dal suo metodo dei giorni precedenti e che aveva già dato buoni frutti. Prima in sintesi l’indice e i paragrafi con cenni sul contenuto e infine la stesura vera e propria.
E anche se le parole, le idee, i pensieri adesso gli si affollavano nella mente per essere l’argomento più che noto, la prese comunque con calma, senza fretta, con giudizio.
Così, quando mancavano circa tre ore al termine della prova, iniziò a scrivere in bella, con grafia comprensibile cercando di non lasciarsi andare a modifiche dell’ultimo momento. Al completamento si poteva dire soddisfatto: anche se i primi due compiti li poteva definire appena sufficienti con il terzo aveva centrato l’obbiettivo. Il superamento delle prove era adesso alla sua portata.
Si era nel frattempo quasi fatta l’ora di consegnare. Si alzò. Stava rileggendo qua e là, ma solo per scrupolo, quando la luce generale dei locali si abbassò sino a spegnersi. Glielo avevano detto che in quei concorsi facevano così. Era un modo per avvertire i candidati nelle diverse sale dove si svolgeva il concorso che era il momento di consegnare; l’abbassamento della luce era anche un modo per non consentire di scrivere ulteriormente.
La cosa strana, però, è che lui sapeva che le luci si spegnevano e si accendevano per tre volte consecutive, dopodiché la luce veniva molto attenuata ma non spenta del tutto così come stava accadendo. Qualcosa non stava andando per il verso giusto.
Sentiva intorno a sé il brusio dei candidati che si stavano alzando dai loro banchi. Cercò istintivamente il cellulare per farsi luce ma poi si ricordò che l’aveva consegnato all’entrata, come tutti del resto, prima di sedersi. Si mosse a tentoni, provando a ricordarsi com’era la fisionomia dell’aula e la ubicazione della cattedra principale ove consegnare il compito. Ogni tanto sentiva il fruscio di qualcuno che gli sfilava silenzioso accanto, l’odore di una merendina, il profumo leggero alla frutta di qualche ragazza.
Dopo un po’ la luce all’improvviso tornò. Si accorse di trovarsi da solo in un corridoio molto ampio da cui non era mai passato. Guardò l’ora: era le 18.10. Doveva assolutamente consegnare. Accelerò il passo. Alla fine del corridoio girò a destra finendo in un’ampia sala vuota. C’erano tracce di un buffet e vassoi semivuoti. Cominciò a disperarsi. Prese a gridare se ci fosse qualcuno e dopo un po’ uscì da una stanza un signore brizzolato, con gli occhiali spessi e l’aria contrariata.
«Ma è impazzito? Cosa urla? Dove pensa di essere?» gli chiese con la faccia torva.
Lui spiegò che era un candidato e che stava cercando il modo per consegnare il compito. Gli mostrò anche i fogli che aveva ancora in mano.
L’uomo brizzolato gli chiarì che a quel piano non c’erano aule. Gli spiegò che non avrebbe dovuto salire le scale e che doveva scendere la prima rampa a sinistra.
Quali scale?‘ disse lui non accorgendosi di alzare la voce. ‘Io sono sempre rimasto al piano”. Ma l’impiegato così com’era uscito di fretta dalla sua porta vi rientrò sbattendola.
Lui allora si mise a correre nella direzione indicata ed effettivamente trovò un’ampia rampa. Il cuore gli martellava nel petto. Non poteva perdere l’occasione di consegnare il compito. Non quella volta.
Arrivato al pian terreno vide davanti a sé una porta chiusa con un maniglione antipanico rosso e un vistoso cartello a lettere cubitali: “AULA DI ESAME”.
Meno male’ pensò mentre il sudore freddo gli si stava rapprendendo sulla camicia. Si avventò sulla porta con tutta la forza che aveva. E si ritrovò in strada. Era il traffico della sera, caotico, ostile, ottuso. Si voltò per tornare indietro ma intanto la porta si era chiusa dietro di lui con uno scatto definitivo. I fogli uso bollo, finemente scritti, gli caddero dalle mani.

13 pensieri su “Il concorso

  1. Che incubo!
    Credere di essere arrivato alla meta e non esserlo davvero…la vita è anche questo; quando sai perfettamente che ciò che hai vissuto è stato vano, diciamo una presa di coscienza.

  2. Un sogno terribile. Anche se penso che ci sia anche un altro messaggio oltre a quello dell’ansia da concorso e lo vedo alla fine, quando si ritrova in strada, come se fosse quella la sua primaria difficoltà; ossia la vita reale.

  3. Come quei sogni “kafkiani” in cui non riesci a fare o andare 🙂
    c’è chi dice che dipendano da fatti “fisici” (un blocco, la digestione) però potrebbero – voglio sperare – essere anche altro 😀

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