Dislocazioni

Quando cercò di riaprire gli occhi non ci riuscì. Erano come sigillati. Dal sonno, dall’intensità dei sogni, dalla stanchezza spossante di quei giorni. L’incubo da cui era appena uscito gli aveva cucito addosso una sensazione di timore, di allerta, di straniamento. Strinse i pugni come per raccogliere le forze.
Riprovò ad aprire gli occhi e finalmente si spalancarono tra mille spilli che gli parevano bucare le cornee. Doveva decidersi a darsi una regolata. Non poteva più prendere la vita in quel modo. Occorreva un reset, nuove regole, nuovi limiti. Ci doveva provare, lo doveva quantomeno a sé stesso.
Ma dov’era?
Peraltro era sicuramente tardi. La mattina sarebbe stata come al solito impegnativa. La riunione con il personale, la videoconferenza con la Direzione, il tavolo ristretto con i dirigenti di compartimento per le problematiche insorte la settimana precedente. E chissà cos’altro. Doveva far presto. Saltare giù dal letto e farsi una bella doccia ristoratrice; la colazione l’avrebbe fatta in ufficio, solo se ci fosse stato tempo.
Non sentiva però il respiro della moglie accanto a sé. Forse allora non era a casa.
Adesso che ci pensava meglio non poteva che trovarsi nel suo solito albergo ad Alvona. Per l’assemblea mensile. Solo in quell’hotel ci poteva essere tanto buio; avevano la mania di serrare le tapparelle per la sicurezza degli ospiti tanto da indurre effetti claustrofobici. Era uscito anche sul giornale. Doveva cambiare albergo. I colleghi gliene avevano consigliato un altro, sul lungomare, così vicino alla spiaggia da poter sentire in stanza, alla sera, lo sciabordio della risacca e il profumo della salsedine. E con in più, annesso, un ristorante diventato famoso per cucinare in modo divino gli spunciacorrente. Sì, la prossima volta non avrebbe fatto lo stesso errore. Basta.
Ma no, che gli diceva la testa? Era domenica, adesso sì che ricordava: era nella casa di campagna; poteva rimanere a dormire quanto voleva. Altro che riunioni o incontri. La moglie, che si alzava sempre presto, sapeva bene che non voleva essere disturbato. Era per questo che era solo, nel lettone, avvolto dal silenzio delle colline di Poggiobrusco. E quelle prime ore della domenica erano sacre: si sarebbe alzato solo quando sarebbe stato il momento; quando avrebbe sentito le “pile” ricaricarsi. Anche se, a dire il vero. non pareva proprio che volessero saperne di ricaricarsi persino solo un po’. Non si rammentava di essersi mai sentito così. Come se stesse covando una qualche malattia. Già, una malattia…
Pian piano si ricordò che alcune settimane prima si era sentito male. Era stato ricoverato. Ricordava il volto rassicurante del medico che parlava a sua moglie al suo capezzale. Ma lui non aveva capito quale fosse il problema. La moglie in seguito era rimasta per ore seduta accanto a lui. Gli sussurrava ogni tanto qualcosa, con dolcezza e accarezzandolo, ma senza che lui potesse comprendere cosa stesse accadendo.
Oddio. Pensò. Allora era ancora in ospedale, a Lughi! Dov’era l’infermiera? Doveva assolutamente parlarle.
Però, a esser sinceri, non c’erano i suoni tipici dell’ospedale. Non si sentiva neppure il vicino di letto russare come un trombone stonato; e dal soffitto non spioveva quell’odiosa luce arancione. No, non era affatto lì. Era sicuramente altrove.
Poi gli tornò in mente che le sue condizioni di salute si erano a un certo punto aggravate. Dopo qualche giorno di ricovero era entrato in coma. È strano che ora lo rammentasse così bene. Si era sentito come risucchiato in un buco nero, dove l’anima era rimasta da una parte e il corpo era caduto nel pozzo senza fondo come un oggetto inutile.
Quindi, il fatto che adesso fosse sveglio, non poteva che significare che ne era appena uscito. Stava meglio. Doveva parlare con un medico. Subito.
Provò ad alzarsi, ma sbatté la testa. Allargò le braccia. Capì.
Era dentro a una bara.
Cominciò a urlare. Con tutte le sue forze.

26 pensieri su “Dislocazioni

  1. Un racconto stupendo! Mi piace molto come riesci a descrivere lo stato di stanchezza e confusione del protagonista, che non riesce a ricordarsi bene dove si trova e che pian piano incomincia a capire la situazione. Finale meraivglioso, un finale alla Edgar Allan Poe!

  2. Riesci sempre a creare straordinari climax ascendenti nei tuoi testi, che travolgono il lettore e poi lo “sbattono” lì dove non avrebbe mai immaginato. Meraviglioso.
    Ad ogni modo, credo tu abbia descritto uno dei peggiori incubi di ogni essere umano.
    Nel paese di mia nonna, quando ero bambina, si raccontava a bassa voce fra noi bambini e ragazzi, di una signora che aveva subito questa triste fine, a causa di un errore nell’accertamento della morte…e poi, nella bara, vi morì davvero. Non ho mai saputo se fosse realmente accaduto o se si trattasse di una delle classiche “storie dell’orrore” che i più grandi del gruppo raccontavano ai più piccoli per quel sottile gusto sadico di vedere, dall’alto della loro manciata di anni in più, i nostri occhi sgranati e atterriti.
    Per sicurezza, io opterei per un telefono satellitare incorporato nella bara, da utilizzare in caso di bisogno. Non si sa mai! 😂

  3. Ed è per questo che nel testamento ho specificato che voglio essere sepolto con il mio vecchio cellulare: così mentre attendo che finisca l’aria nella bara ingannerò il tempo giocando a Snake!

    (Un consiglio, smetti di mangiare la peperonata la sera)
    😊

  4. Carissimo, sto ridendo. Il 18 luglio del ’71 ricevetti la mia prima estrema unzione,
    Al risveglio pensavo anch’io di essere in un albergo (di Cefalù) e fu immensa la sorpresa quando, chiamato il cameriere si presentò un infermiere.
    Beh ho rischiato di brutto di picchiare la testa sul coperchio di legno, finii invece sul pavimento appena tentai di mettermi in piedi 😉

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