Era il 1990

A scuola l’avevano presa di mira tutti. Angela, una ragazzina di quindici anni, era impacciata, timida, forse un po’ sovrappeso, e soprattutto non era in grado di difendersi. Erano i maschi che in particolare la torturavano, più che le sue coetanee. C’era qualcosa in lei che forse li metteva a disagio e l’unico modo per sottometterla era farla segno di scherzi stupidi e feroci.
Così Angela si era trovata un giorno lo zainetto pieno della sabbietta di Paco, il gatto dell’estroverso Luca, con tanto di bisognini dentro. Così Angela aveva trovato le tasche del suo giubbotto in jeans chiuse ermeticamente con la spillatrice del simpatico Tobia. Così Angela si era trovata il cappello di lana ricolmo di gomme masticate di fresco, raccolte diligentemente da tutta la classe.
Non c’era giorno che non le facessero un dispetto o che scorresse via senza che qualcuno non si inventasse qualcosa ai suoi danni; era diventato un passatempo divertente, insomma, da coltivare e tenere costantemente vivo. Tanto che la ragazzina cadde in depressione.
Ben presto non volle più andare a scuola: si chiuse a doppia mandata in camera sua e si mise a letto fingendosi malata; i suoi genitori non sapevano più cosa fare.
Poi, a una festa, Luca, Tobia e Carlo, dopo aver bevuto un po’, pensarono di farle uno scherzo ancora più crudele. Angela, lo sapevano tutti, aveva una cotta per Carlo, il bello della classe: e il terzetto pensò che, con la scusa che erano diversi giorni che la ragazzina non andava a scuola, Carlo l’avrebbe potuta chiamare per telefono per sentire come stava per poi invitarla a fare una passeggiata con lui. Angela sarebbe sicuramente andata in visibilio lasciandosi andare a gridolini e a sogni deliranti, mentre poi, sul più bello, le avrebbero rivelato che era tutto uno scherzo perché nessun ragazzo della terra, sano di mente, sarebbe mai uscito con un cesso simile. E ci avrebbero fatto sopra, a microfono aperto, delle sonore risate.
Ma sì, era una splendida idea. Allora era deciso.
Carlo, tra spinte e risatine degli altri due, la chiamò. Dapprima lei stava sulle sue non potendo credere che proprio il suo ‘mito’ le stesse telefonando; ma poi si lasciò andare cominciando a chiacchierare del più e del meno, fino a quando al momento giusto, aizzato dagli altri, Carlo la invitò a uscire. E poi successe quello che nessuno aveva previsto. Anziché i gridolini e chissà cos’altro, Angela si mise a piangere. A dirotto. Prima di un pianto silenzioso, sottomesso, dolente e poi con singhiozzi irrefrenabili fino a quando lei non riuscì a confessargli di essere una nullità, che non se lo sarebbe proprio meritata la sua compagnia e che non avrebbe mai potuto accettare perché il suo mondo era finito e privo di senso. Luca e Tobia, che ascoltavano in viva voce, stavano per spiattellarle che era tutta una burla, per riderne a crepapelle, quando Angela interruppe improvvisamente la comunicazione riattaccando.
«È stato comunque divertente…» disse Luca dopo qualche attimo sforzandosi di ridere.
«Eccome!» aveva risposto Carlo, serio serio.
Ma qualcosa invece si era rotto dentro di lui. Quello di Angela era un pianto disperato, profondo, tanto sincero quanto terribile. Si era sentito per la prima volta sgradevolmente solo e indifeso al centro dell’universo, senza vie di uscita. Più cercava di non pensarci e più ci pensava.
E così il giorno in cui lui le aveva detto che sarebbe andata a casa a prenderla per fare un giro, ci andò davvero. Non sapeva perché, ma era la scelta giusta. Rimase però in strada, davanti alla porta ad aspettarla, senza suonare, senza dir nulla, immobile come una pianta: la vedeva mentre lei lo guardava dalla finestra.
Trascorsero diversi minuti, forse mezz’ora, poi lei si preparò e uscì.
Aveva un bel vestito, era senza occhiali, i capelli a posto. Era anche dimagrita. Sembrava un’altra persona.
Era il 1990. Il 5 aprile 1990.
Ora, lei e Carlo, sono ancora felicemente sposati e vivono a Lughi con i loro tre figli. Angela è una bellissima donna, sicura di sé, che ha ritrovato nella vita ogni senso perduto.

36 pensieri su “Era il 1990

  1. Che bella storia!
    Ciao Briciola. Perché mi sia piaciuta è assai semplice. C’è il lieto fine. C’è una redenzione. C’è il riemergere del rispetto e c’è l’amore, ma soprattutto mi ha ricordato la mia giovinezza, alle superiori, quando mingherlino, ma mai sottomesso, facevo a botte anche con chi era più grande, più alto e più grosso di me per difendere altri, oggetto di sgarbi, di cattiverie, di soprusi dai soliti bulletti (c’erano anche allora).
    Unica differenza, l’amore con mia moglie e il matrimonio sono stati frutti di un corteggiamento quasi normale e son passati ormai più di 50 anni di vita insieme con figlio e figlia ciascuno a casa propria.
    Vedi, caro briciola, cosa riesci a far riemergere dal pozzo dei ricordi?
    Complimenti.
    banzai43

  2. E vissero felici e contenti ma… non è una banalità, è la bellezza degli esseri umani quando non perdono il loro ‘sentire’, che è poi la vera intelligenza. Grazie, una bella storia!

  3. Ho insegnato per 36 anni, e posso dire, con piena cognizione di causa, che in tutte le classi, ripeto: TUTTE, c’è uno scolaro vittima del bullismo di buona parte del resto della classe. E che la stragrande maggioranza degli insegnanti non si accorge di niente.

    • Ne sono sicuro.
      Nella mia classe, un bel po’ di tempo fa, la situazione era tale che di ‘capetti’ ce n’erano più di uno e io ho brigato (senza riuscirci) per fare gli ultimi due anni del liceo in uno.

  4. Bella storia, con un finale a sorpresa che va a contro-corrente: uno si potrebbe aspettare che lo scherzo continui e che la poveretta cada in una crudele trappola. Comunque, hai fatto bene a precisare che era il 1990: secondo alcuni (media, insegnanti, genitori…) il bullismo è stato inventato 10 anni fa da alcuni utenti dei social media (FB, Instagram…), ma ahimè è sempre esistito. Grazie per quelle belle storie!

  5. i ragazzi, ma non solo loro, diciamo molte persone in generale, soffrono di complessi e scaricano le loro insoddisfazioni su qualcuno preso di mira. Angela, del racconto, ha saputo essere se stessa convincendo Carlo con i valori della sincerità.
    Peccato che non sempre sia così.

  6. Impeccabile come sempre. Però non concordo sul fatto che non sia una storia vera. Tutto sommato nella vita un pochino si cresce e si matura, e queste cose a volte accadono. Anche se non vengono riportate dai giornali con gli altri fatti di cronaca, perché la normalità ci annoia.

  7. Mi è piaciuto questo racconto e ho apprezzato il lieto fine, non solo in relazione al periodo difficile che viviamo, ma perché penso che, benché non numerose, esistano persone che hanno il coraggio di staccarsi dal branco e far parlare i loro sentimenti. Penso anche che chi scrive svolga anche una funzione educatrice e che fornendo un modello di comportamento positivo, possa dare un contributo alla sensibilizzazione dei giovani.

    • Grazie Silvia,
      anche se non mi trovi affatto d’accordo sul fatto che lo scrittore debba avere una funzione educatrice (a meno che non si rivolga per professione o per vocazione ai ragazzi in età scolare) ritenendo piuttosto che, tutt’al più, debba sforzarsi di essere coerente con sé stesso e con quello che intimamente prova, va detto, come giustamente osservi, che in questo periodo, davvero unico che stiamo vivendo, è più auspicabile un lieto fine anche se non del tutto sincero.

  8. Il finale mi ha ricordato in qualche modo il mio film preferito “Ritorno al futuro” in cui il padre del protagonista viene sempre preso di mira da un gruppo di bulli fin quando – dopo l’intervento del figlio venuto dal futuro – il padre prende fiducia in sé. Tornato nel futuro, il protagonista si rende conto di come le dinamiche siano completamente cambiate.
    E comunque, tornando nella realtà, anche per me il periodo scolastico, soprattutto quello vissuto alle medie, è stato un vero e proprio incubo.

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