Un bunker nel deserto

«Cosa è stato questo rumore?» chiese la moglie sussultando.
«Non lo so, Bonnie, non lo so» le disse lui cercando di nascondere la propria agitazione. «Deve essere il vento.»
«Vai a vedere, ti prego…» implorò lei guardando la bambina di dieci mesi che dormiva serena nella culla.
«Lo sai che non è possibile uscire, è vietato» rispose lui perentorio.
«Ma è notte, chi ti vede a quest’ora?»
«Hanno messo in campo i droni militari, se ti beccano finisci dritto dritto ad Attica…»
«Addirittura?»
«Sì, non è più il momento di scherzare… Comunque, in questo bunker siamo al sicuro. Abbiamo da mangiare e bere a sufficienza per un bel po’ ed è impossibile entrare qui dentro. Che ci importa di qualche rumore là fuori?»
In quel mentre, tutto il bunker in cemento si mosse avanti e indietro come fosse stata una scatola di cerini nelle mani di un gigante. Karl si precipitò alla feritoia del lato nord. Il buio era totale. Non c’era neppure la luna e l’alba era ancora lontana.
«Cos’è stato, Karl?»
«Una scossa di terremoto… Bonnie. Stai tranquilla.»
«Ne sei sicuro? Non è zona di terremoti, questa.»
L’uomo andò alle altre feritoie. Si pentì di non aver sistemato un impianto di illuminazione esterno prima di barricarsi lì dentro con la famiglia. Ora non avrebbe avuto quella sensazione claustrofobica di impotenza.
«Vedi niente?» fece la moglie.
«Non c’è nulla… è tutto calmo» disse lui sforzandosi di apparire credibile.
Passò una decina di minuti e il bunker si scrollò di nuovo per diversi interminabili secondi. Qualunque cosa fosse a muoverlo era di una forza inaudita.
«Cosa sta succedendo, Karl?» fece lei addossandosi al muro con la testa tra le mani. Sul tetto si sentiva rovistare rumorosamente, come se qualcuno stesse trascinando qualcosa di pesante. L’uomo andò nello sgabuzzino e afferrò il fucile. Lo caricò.
«Cosa pensi di fare?»
«Vado a dare un’occhiata.»
«Tu non vai da nessuna parte. Ho paura, Karl. Hai ragione tu, siamo più sicuri se rimaniamo barricati qui dentro.»
Non aveva fatto in tempo a finire di parlare che il bunker fu scosso ancora una volta così violentemente che entrambi caddero per terra. La luce all’interno si spense e la piccolina si svegliò mettendosi a strillare. Un colpo sordo si abbatté sulla porta, poi un secondo e poi un altro ancora. Qualcuno stava cercando di entrare. Bonnie andò a calmare la figlia mentre Karl si piazzò davanti alla porta con il fucile tra le mani. Si accorse che stava tremando. Un’altra scossa più violenta delle altre staccò dal muro la scaffalatura in ferro della dispensa che gli cadde addosso. Bonnie si mise a urlare.
«Karl! Karl!» Lui però non rispose. «Karl! Kaaaarl!» urlò ancora lei cercando nel buio di sollevare i ripiani.
I tonfi alla porta si fecero più forti. All’interno del bunker creavano un rimbombo spaventoso. La bambina urlava a pieni polmoni.
«Karl, ti prego, Karl… aiutami.»
Poi delle luci in lontananza si misero a ballare attraverso le feritoie sul pavimento. Sembravano delle stelle ma Bonnie si accorse subito che stavano diventando sempre più grandi.
«Karl! Ti prego, alzati… guarda… i droni. Avevi ragione tu.»
Il rumore alla porta all’improvviso cessò. Alla donna parve di vedere delle figure scure scendere disordinatamente dal tetto.
Trascorsero lentamente diverse ore. A fatica la donna era riuscita a liberare il marito. Era rinvenuto, ma Il braccio era rotto.
All’alba la donna ebbe il coraggio di uscire. Sulla porta spessa di cemento del bunker c’erano dei larghi tagli come fossero stati praticati da un coltello su una torta. C’erano anche larghi buchi un po’ dappertutto sul terreno circostante e un odore pesante nell’aria: un misto di selvatico, di piombo e di combustibile bruciato.
Guardò la bimba che aveva al collo: ora sembrava tranquilla.
Karl apparve sulla soglia del bunker dietro di lei. Si teneva il braccio destro con l’altro; un lungo taglio gli divideva in due la tempia.
«Dobbiamo andare via di qui, Bonnie. Non siamo più al sicuro. Anche se non so come faremo.»
Lei guardò il deserto davanti a lei, mentre alcuni tumbleweed rotolavano senza meta. Annuì nel vento e rientrò.

23 pensieri su “Un bunker nel deserto

  1. Direi che fare l’Inter-nauta in una casa condominiale sia, forse, meno pericoloso. Se mi cade la libreria addosso, al richiamo di mia moglie, qualche vicino mascherinomunito si presterà a dare una mano. Non ci sarà la sabbia del deserto, nessuna erbaccia rotolante e se dovessero venire gli ultracorpi alieni … in città o nel deserto immagino sarebbe la stessa cosa … o no?

    Piacevole come al solito, il tuo racconto. Cerca di restare in salute.

    banzai43

  2. Mi spiace Briciola, non ti ho nemmeno chiesto come stai. Il fatto è che leggendo i tuoi racconti mi par quasi di saperlo già, senza bisogno di fare domande. Per esempio immagino che tu stia lavorando da casa, e che la cosa ti pesi “Dobbiamo andare via di qui” però hai capito che “non siamo più al sicuro” e hai deciso di reagire “Anche se non so come faremo”. Se è così stai reagendo molto bene.

    • Ti ringrazio per il tuo interessamento, Birbo.
      Me ne starei volentieri a casa, te lo assicuro, ma purtroppo sono uno dei pochi fortunati che, di questi tempi, deve uscire pressoché tutti i giorni per andare al lavoro.
      I miei racconti non rispecchiano (quasi) mai la mia vita privata. Ma capisco come sia facile cadere nell’equivoco.
      Tu, piuttosto, come stai?

      • Mi fa piacere che tu stia bene. Per quanto mi riguarda io vivo appartato, e passo le giornate curando il giardino e infornando enormi lastre di pizza. Per dimagrire ci sarà tempo, poi. A volte mi sento stanco, perché so che non tutto tornerà come prima, però poi penso che in fondo il mondo di prima faceva abbastanza schifo, e questa volta potremmo riuscire a smussare alcuni degli angoli più taglienti.

          • Ma certo. Non ho il forno a legna, però pane, pizza, calzoni e erbazzoni (una bontà) si fanno anche con un normale forno da cucina, anche se il risultato finale è un po’ diverso. Basta avere lievito e farina, e io, vedendo quanto accadeva in Cina, ho provveduto per tempo a fare scorta di questi e altri generi di prima necessità. Ah, di passaggio, a volte faccio in casa anche la ricotta e il formaggio, e non è difficile, basta solo averne il tempo.

  3. Stare in casa per la situazione emergenziale ti fa venire voglia di immaginare cose pericolose? Anche in casa ci stanno dei pericoli: il barattolo di nutella o le buste di patatine…bisogna stare attenti…se ti acciuffano si fanno mangiare…ahahah

  4. A me sembra evidente il riferimento alla situazione che stiamo vivendo.
    La minaccia che viene dall’esterno potrebbe incarnare l’idea che rimanere reclusi sia necessario ma che il mondo intorno a noi stia cambiando e niente sarà come prima.

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