L’anima della città

Quando tutto iniziò non ci aveva pensato su troppo. Aveva riempito ben bene lo zaino, tirato fuori il suo coltello da caccia preferito, preso le scorte alimentari per i primi giorni ed era partito per le foreste più lontane. Più chilometri riusciva a mettere tra sé e il mondo malato e più avrebbe avuto la possibilità di cavarsela.
Il primo giorno camminò senza sosta. Il secondo cominciò a rallentare. Il terzo iniziò a guardarsi attorno per scegliere il posto giusto dove accamparsi. L’esperienza di caccia degli anni passati e le uscite in solitaria nei boschi sin da bambino gli sarebbero tornate comodo. Ma era tutto diverso, adesso. Non sarebbe tornato alla civiltà per molto tempo. Sarebbe vissuto solo di quello che fosse riuscito a procurarsi senza il minimo contatto con il genere umano.
Le prime settimane fece molta fatica a trovare da mangiare, ma poi ci prese la mano. Le trappole che metteva non erano più divelte o rotte: ora funzionavano. Ci rimanevano porcospini, leprotti e una immangiabile volpe. E poi non mancava la frutta, le bacche e, perché no?, insetti.
Si era costruito un ripiano sul palco di un solido sicomoro, provvedendo pian piano ad alzare delle pareti in legno e frasche per trovare riparo dall’umidità della notte. Era tutto molto scomodo, freddo, pauroso, ma almeno apparentemente al sicuro.
Ogni sera, prima di addormentarsi, se ne stava ritto nel suo rifugio a guardare in direzione della città che aveva abbandonato. Gli prendeva una malinconia stordente che lo sfiniva fin nel profondo del cuore. Gli era necessario però guardare quelle case perché era l’unico contatto che gli era rimasto con la sua vita. Ciò che lo angustiava di più era notare però che il fascio di luce che da quelle case un tempo promanava chiaro e nitido diminuiva di intensità notte dopo notte. E non tardò poi molto che il buio fosse completo. Dopo qualche giorno, si spense persino quell’alone prima di azzurro, poi virante al grigio e infine intessuto di diafano che aveva aleggiato per un po’ intorno alla sua città intrappolato dalle nubi. Come fosse stata l’anima a lasciare da ultimo il proprio corpo. E ora era tutto scuro, laggiù. E la solitudine gli piombò addosso come un assassino.
Le giornate proseguirono lentissime, tutte eguali. Niente sembrava più avere senso. Invece di sentirsi felice e libero avvertiva un nauseante senso di colpa. Forse non avrebbe dovuto scappare. Forse avrebbe dovuto rimanere lì e lottare con tutti gli altri, fare la sua parte.
Si alzava al mattino senza sapere perché; viveva come un automa e andava a dormire solo per abitudine.
Non si coricava però se non dopo aver osservato un’ultima volta la sua città in lontananza. Anche se ora era solo un buco nero.
Passarono altre settimane. Altre notti.
Si accorse che non dormiva quasi più.
Baluginante, una sera, in quell’ammasso di pece che un tempo era il suo paese, una luce si riaccese.
Pensò di essersi sbagliato.
La sera dopo le luci erano tre e poi dieci.
Capì che era l’ora di tornare.

16 pensieri su “L’anima della città

  1. Eccone un’altra, anch’essa bella. In me ha creato partecipazione. Ho rivisto le molte persone che conosco “nascondersi”, stare lontane in attesa … in attesa di poter riaparire e riappropriarsi del proprio ruolo. Forse. Strada consentita a coloro che tornare potranno, magari fra le lacrime.
    Ciao, splendido/a amico/a. Stai in salute e dacci anche oggi il nostro racconto quotidiano.
    “Ad majora”. banzai43

  2. Bravo Briciola, per un poco ti sei estraniato dalla realtà, ma ora hai trovato la strada per tornare e aiutarci a lottare!

    😕

    E mai come ora c’è stato così tanto bisogno dell’aiuto di tutti!

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