Prova generale

Era nervoso. La prova generale lo metteva sempre a disagio: per quel suo qualcosa di definitivo, di cerimonioso, ma anche di stridente. È a porte chiuse, a teatro completamente vuoto; tuttavia tutti gli orchestrali indossano lo smoking, come lui del resto. Come se si facesse sul serio, ma non troppo. Come se tanta fatica non meritasse di essere ascoltata. E accorgersi poi di un errore in quella ultima esecuzione, anche minimo, significa portarselo dietro anche alla rappresentazione ufficiale perché oramai è troppo tardi per correggerlo, nonostante le migliaia di note eseguite e le ripetizioni estenuanti.
Quello che lo preoccupava infatti, a dire il vero, era il terzo controfagotto. Gli era stato raccomandato da Lui e non era riuscito a dire di no. Non era all’altezza, quantomeno non di un brano di una difficoltà simile. Ma perché si era messo in quell’impiccio? E per una prima in quel tempio della musica, oltretutto!
Fece un respiro profondo ed entrò.
Gli orchestrali che lo stavano aspettando, chiacchierando fra loro, tacquero all’unisono. Raggiunse il podio senza salutare, come era suo costume. Alzò lo sguardo verso le luci. Quelle almeno erano perfette. I tecnici del suono erano al loro posto, anche i tre addetti alle riprese erano dietro le telecamere a simulare la trasmissione in eurovisione; c’erano persino i sostituti prescelti caso mai qualcuno dei professori si fosse sentito male. Era tutto a posto. Guardò per un attimo le fila vuote delle poltrone del teatro. Non ci avrebbe mai fatto l’abitudine, pensò. Chiuse gli occhi. Fece un altro profondo respiro, cercando però di non farsi notare. Batté tre volte la bacchetta sul leggio. Ottenuto l’assoluto il silenzio, cominciò.

Il primo violino era un grande. Era deciso, sciolto, morbido ma anche di carattere. Entrava e usciva dai complicati fraseggi con disinvoltura e colore. Era una sicurezza.
Il pianista invece non era eccelso, “sporcava” qualche nota, ma aveva una solida preparazione e suonava di esperienza. Anche i fiati gli davano soddisfazione; se non fosse stato per quel controfagotto sarebbe stato davvero tranquillo. Per fortuna “quellolà” era in ritardo solo su poche note, sempre le stesse, che il resto dell’orchestra avrebbe coperto tanto che nessuno lo avrebbe probabilmente sentito. Ma non lui, ovviamente, che aveva quel maledetto orecchio assoluto che gli faceva capire, nel bel mezzo della sinfonia, chi sbucciava anche solo una semibiscroma.
Forse avrebbe fatto meglio a dire a “quellolà” di farsi da parte o quantomeno di non suonare dalla diciannovesima alla trentesima battuta del terzo movimento. Poteva suggerirgli di far finta. Che fosse il loro piccolo segreto. Senza bisogno che Lui lo venisse a sapere, ben inteso. Dopotutto era un buon compromesso: lui avrebbe consentito al controfagotto di rimanere al suo posto in quella famosa orchestra e il controfagotto gli avrebbe fatto quel piccolo favore. Ma sì: era sicuro che, se glielo avesse detto, avrebbe capito.

I primi due movimenti erano perfetti. Ora doveva iniziare il terzo.
E se glielo avesse detto subito? Di non suonare in quel punto, cioè.
No, avrebbe dovuto avvicinarsi a lui, ora, e tutti si sarebbero chiesti che cosa avevano avuto da dirsi. Ci potevano essere fraintendimenti. No, glielo avrebbe chiesto alla fine della prova generale. E poi chissà, magari avrebbe fatto il miracolo e non avrebbe sbagliato.

Iniziò il terzo movimento. La diciannovesima battuta arrivò in un lampo e il controfagotto fu come al solito in ritardo sul mi discendente. Era stato come se qualcuno gli avesse dato una stilettata nell’orecchio. Una frazione di secondo, certo, ma in ritardo. Passaggio difficilissimo, niente da dire, ma intollerabile. Dalla espressione che l’orchestrale aveva sulla faccia tonda e grassa capì che non se ne era neppure accorto di quell’abominio.
Non fermò l’esecuzione, non era il caso. Sì, dopo il concerto gli avrebbe senz’altro parlato.

Stava per iniziare il quarto e ultimo movimento quando avvertì dietro di sé un rumore. Si girò. Dopo appena un attimo qualcuno entrò nella stanza.
«Caro, ti ho chiamato già due volte… è in tavola. Per favore togliti quello smoking che poi ti sporchi tutto e vieni subito che devi aprirmi la bottiglia di bianco…»
Lui fece una smorfia di disappunto. Andò al giradischi e staccò la puntina dal 33 giri. Posò sul tavolino la bacchetta. Poi, sempre davanti allo specchio, fece un leggero inchino.
«Signori, per questa sera allora è tutto. Bene così. A domani. Per il grande giorno.»
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15 pensieri su “Prova generale

  1. direttore d’orchestra mancato ma il suo orecchio è così fino. Sembra un allegoria moderna dove i raccomandati stanno nel posto sbagliato.

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