Il vecchio Puck

Il plotone stava prendendo il suo posto lentamente. L’esecuzione sarebbe stata eseguita, come da regolamento, all’alba contro il muro nord della caserma, là ove viene buttato il materiale non riparabile e gli scarti delle camerate e della cucina.
L’alba sembrava tardare sul filo dei monti lontani. E qualcosa si muoveva laggiù tra le ombre incerte della notte che si diradavano sasso dopo sasso; ma qualunque cosa fosse era protetta dal grigiore informe della luce. Forse era un coyote dallo stomaco vuoto, forse solo un sogno che non voleva abbandonare il mondo delle cose irreali.
McFarland si era sistemato in piedi guardando la radura. Un piede più avanti dell’altro, la sigaretta appena accesa tra le labbra. Faceva freddo ma la giacca la teneva aperta sul davanti e il bavero alzato come un capitano che scrutasse l’orizzonte e studiasse la debolezza delle difese nemiche. Il plotone si sistemò a pochi metri davanti a lui. I volti dei camerati erano induriti dalla notte insonne e dal nervosismo del momento. I fucili erano già pronti e le canne brunite sembravano listate a lutto. Un urubù dal collo nudo spiccò il volo con un grande sbatter d’ali, giusto per godersi lo spettacolo dall’alto.
«Signore, il prigioniero non può essere messo di spalle, Signore?»
Chiese Namara violando la consegna del silenzio durante l’esecuzione.
Il sottotenente sembrava aspettarsi quella domanda ma prese tempo. Poi urlò contro i monti che si stavano scoprendo al sole:
«Il prigioniero non è un disertore, Namara, e deve essere fucilato di fronte.»
«Signore, il prigioniero può essere bendato, Signore?» fece O’Roorke che neppure lui voleva sparare a un amico guardandolo negli occhi.
«È lui che non vuole la benda» rispose il sottotenente questa volta a voce più bassa, ma tutti lo sentirono bene perché sembrava provenisse direttamente dal profondo del proprio cuore.
«Perché l’hai fatto McFarland, perché?» mormorò un altro del plotone. Forse era Dooghan o forse Cameron, non lo sapremo mai. Ma McFarland non rispose o se lo fece fu coperto dal grido del sottotenente che spaccò in due l’aria come un tuono.
«PLOTONE, ATTENTI!»
McFarland ci guardava come se ci sfidasse. Noi, i suoi più cari amici.
«CARICARE!» urlò subito dopo.
«Pensaci tu al Vecchio Puck» mi disse McFarland.
Avevamo chiamato così un bellissimo maschio di cervo in cui ci eravamo imbattuti anni prima quando andavamo a caccia lassù nella gola del Puck’s Glen nel Cowal. La prima volta gli avevamo sparato mancandolo di poco mentre la seconda dovevamo averlo colpito, ma lui era rimasto immobile a osservarci quasi divertito, come se sapesse d’essere immortale; e poi si era girato trotterellando in direzione del Loch Lomond. Ci eravamo tornati tante altre volte ancora, io e lui, dimenticandoci del fucile e solo per vedere quel cervo maestoso il cui bramito d’amore riempiva la valle e faceva fremere i larici.
«PUNTARE!»
«Sì, andrò a trovarlo…» gli risposi meccanicamente pensando che tanto a McFarland non avrei tirato se non di lato per non colpirlo. Il cuore mi scuoteva le tempie.
«FUOCO!»
Quel ricordo mi distrasse. Esplosi il colpo una frazione di secondo in ritardo rispetto a tutti gli altri camerati che già avevano premuto il grilletto. Avevano tutti sparato al cielo, perché nessuno aveva voluto ucciderlo. Il mio colpo invece lo prese in pieno viso. La pallottola a punta cava usata per gli assalti gli portò via la mandibola che gli fu strappata via dal volto a schiacciarsi in una nuvola di frammenti d’ossa e sangue contro il muro di dietro; tutto il resto del corpo rimase in piedi, proteso verso di noi nel gesto di accogliere la morte. I suoi occhi grigi mi guardavano fissi, già vuoti ma increduli. Dopo un periodo interminabile McFarland crollò a terra come un sacco di sabbia.
«Grazie per aver sparato tu» mi disse O’Roorke, dopo un po’, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla.
«Ma ho sparato da un lato, ne sono sicuro…» dissi ancora sotto choc.
«Hai preso dalla rastrelliera il fucile di Campbell che in questi giorni è in guardina» mi fece lui. «Ha un mirino che fa schifo e sposta tutto a sinistra. A lui va bene così.»
Alzai lo sguardo verso di lui.
Aveva gli occhi gonfi e pieni di lacrime ma si tratteneva dal piangere.
«Hai fatto comunque la cosa giusta» mi disse tremando un poco; e toccò la sua fronte con la mia.

19 pensieri su “Il vecchio Puck

  1. Non è molto piacevole la narrazione …sei abile nel frasario …ma il discorso ha il sapore della perdizione e quindi lascia amaro in bocca…inizialmente attira ma il finale chiederebbe oblio…sei molto fantasioso… Ma per me ci vuole sempre il lieto fine…Ciao

  2. Insolito come racconto, soprattutto perché siamo rimasti intrappolati nelle prime righe, e ci stiamo ancora chiedendo cosa fosse quella cosa misteriosa che si muoveva laggiù tra le ombre incerte della notte!

    😛

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