L’ultima cosa che ricordo

«Avanti!»
La voce imperiosa che filtrava a stento da dietro la porta del Direttore non era stata tra le più incoraggianti. Sarà stato poi vero che mi aveva fatto chiamare? Mi voltai verso la scrivania di Ottavia, la segretaria particolare, per averne conforto. Ma stranamente non c’era. La sua faccia da carciofino sottolio, in quell’istante, mi mancò molto, come il suo sguardo severo e penetrante di chi ti rimprovera d’esserti dimenticato di fare la doccia.
Abbassai la maniglia che riempiva completamente l’incavo della mia mano. Ricordo che quando cominciai a spingerla per entrare, pensai a quanto dovesse essere costata una porta simile e se i soldi necessari a comprarla erano stati trattenuti dallo stipendio da fame che mi davano ogni mese.
Appena varcai la soglia un faro di luce mi abbagliò.
«Non vedo niente!» esclamai chiudendo gli occhi.
«Sì sì, non si preoccupi, la lampada si è bloccata. Entri, entri pure e chiuda la porta» mi fece il Direttore.
Ubbidii docilmente, accostai la porta di noce massiccia e mi inoltrai per un paio di metri nella stanza: tenevo gli occhi bassi, senza poter vedere nulla.
Un forte “glang” proveniente da chissà dove all’improvviso saturò l’aria. E la luce andò via.
«Ecco, ci risiamo» sentii dire dal Direttore.
Nell’oscurità totale continuavo a vedere a intermittenza la luce abbacinante che si era impressa sulla mia retina.
«Cosa devo fare?» chiesi stupidamente.
«Ma cosa vorrebbe fare?» mi rifece il verso Lui in modo come al solito sgarbato. «Stia fermo, per carità. Che ci sono cose preziose qui dentro e che se si mette a girare alla cieca mi ci sbatte contro e me le rompe…»
Sentii armeggiare mentre santiava tra i denti. Il telefono dovette cadere per terra insieme ad altri oggetti che non riuscii a identificare. Istintivamente allungai le braccia verso la fonte del rumore come per prendere al volo quelle stesse cose, ma poi, vista l’inutilità del gesto, le riabbassai.
«Direttore?» chiesi quasi a me stesso senza ottener risposta.
Poi sentii un urlo. Era un grido di dolore, disperato, definitivo e un corpo che cadeva malamente, a peso morto. Feci un passo indietro spaventato, dalla parte opposta rispetto alla direzione dell’urlo.
«Direttore… Direttore… sta bene? Cosa è successo?»
Il silenzio era solido, denso, cupo. Cercai di tornare sui miei passi per trovare la porta da cui ero entrato. Tastavo il muro, ma non la trovavo. ‘Eppure è qui’ mi dissi per rincuorarmi, ma ero nel panico.
«Non ti muovere, è meglio per te…» mi intimò un’altra voce roca. Mi paralizzai. Non era quella del Direttore.
Dopo qualche istante mi venne da domandare:
«Cosa è successo al Direttore? Che gli ha fatto?»
«Quello che si meritava… non lo odiavamo forse tutti?»
«Ma non tanto da ucciderlo…» saltai subito alle conclusioni.
«Chissà quante volte invece ci hai pensato tu stesso.»
Sentii un rumore lento di passi venire nella mia direzione. Alzai di nuovo le braccia intorno a me verso quel suono come per fermare la minaccia incombente. Poi avvertii una brezza gelida sul collo. Mi toccai come fossi stato punto da un insetto e agitai ancora di più le mani a mulinello davanti a me nell’oscurità.
«Hai paura, eh? Sto fiutando la tua adrenalina nel buio…» mi sussurrò la voce strascicata. Mi arrivava il suo alito aspro di alcol e di fumo. Ma fu solo un attimo perché subito dopo mi ha gettato addosso un bicchiere d’acqua sui vestiti che mi inzuppò completamente. In quello stesso istante qualcuno entrò rapido dalla porta accendendo la luce: era Ottavia. Mi guardò come se fossi stato un sacco della spazzatura lasciato da qualcuno in mezzo al salotto buono.
«E lei che ci fa qui dentro, al buio?»
Anziché rispondere mi volsi attorno per vedere chi fosse l’uomo che mi era accanto.
Sul parquet, poco distante, c’era invece solo il corpo inanimato del Direttore con un coltello piantato nella schiena. La mia camicia era lorda di sangue.
L’ultima cosa che ricordo è l’urlo lancinante di Ottavia quando anche lei vide la stessa scena.
[space]

dietro il racconto
Leggi –> Dietro al racconto

16 pensieri su “L’ultima cosa che ricordo

  1. Sarà che la rabbia e le frustrazioni del protagonista abbiano deciso di far un salto nel mondo materiale, divenendo così un “avatar” assettato di sangue di cui l’unica “raison d’etre” è di assassinare questo direttore, o un vero e proprio “killer” è stato inviato per fare un lavoro sporco? O la segretaria è un sicario professionista? Bel racconto, ottimo lavoro!

  2. … io lo trovo fantastico e tremendo allo stesso tempo. Ho sempre il segreto terrore di essere incastrata per un qualcosa che non ho fatto e di non avere (nonostante l’innocenza) nessuna possibilità di cavarmela…
    Hanno fatto diversi film su questo tema, il mio preferito: The Next Three Days
    ma il tuo racconto è anche peggio ^_^° il povero impiegato è stato proprio incastrato per benino…

  3. Sdoppiamento della personalità.
    Uccide ma non sa di essere stato lui.
    La rabbia (…misero stipendio…), la frustrazione, l’nsoddisfazione, l’ingiustizia…ci sono mlle motivi per far scattare qualcosa nella mente.

    • Sai Briciola, secondo me sei partito con un’idea molto chiara, pensando che il più era fatto, ma quando hai cercato di tradurla in parole sono cominciati i problemi; quindi hai operato molte revisioni, e scommetto che il risultato finale ancora non ti soddisfa.

      😛

      Ti stai chiedendo come faccio a saperlo? Beh, a te cose simili capiteranno raramente, mentre io praticamente ci ho fatto il callo.

      🙂

      E comunque se ti può consolare resta il fatto che sei circa un miliardo di volte più bravo di me.

      🙂 🙂 🙂

  4. Credo che vada sistemato il “mi ha gettato addosso”. Per il resto è un buon pezzo, e per quel che vale ritengo che l’assassino sia l’impiegato, perché tutto indica che effettivamente abbia sognato più volte di uccidere il suo direttore.

Lasciami un tuo pensiero