Hezekiah

L’uomo, disteso immobile sul letto, pareva ancora più vecchio. Avevo uno sguardo fisso, scuro e ogni tanto muoveva la mascelle come se stesse masticando qualcosa. Il suo corpo minuto non occupava nessuno spazio sotto le lenzuola di tessuto grezzo.
«Padre, vuole che Le faccia la barba?» chiese sottovoce l’uomo vicino a lui che gli teneva devotamente la mano. Il silenzio del monastero aveva aggiunto un’eco a quelle parole mentre un crocifisso di legno, bucherellato dalle tarme, si protendeva verso di loro dalla parete spoglia di fronte.
«No, Tiberio, dove sto per andare il Signore non ci baderà.»
L’uomo che gli era accanto posò delicatamente la mano sul letto come volesse restituirgliela. Il suo saio scuro si stagliava contro il candore del letto rendendolo ancora più irreale nella luce del mattino che aveva varcato il recinto della cella. Poi si mise a spianare con il palmo della mano alcune pieghe inesistenti delle lenzuola e ripiegò in modo meticoloso la coperta pesante in fondo al letto che già era riposta con estremo ordine; volle infine sprimacciare il cuscino dietro alla testa di Padre Rosenberg:
«Calmati Tiberio, per favore… mi fai girare la testa…» pronunciò con fatica.
«Mi scusi Padre, vuole un po’ d’acqua?»
«L’ho bevuta poc’anzi, grazie. Cos’è che hai, Tiberio? Si può sapere?»
«È che Lei non è del Suo solito umore, Padre reverendissimo: direi che è mesto, afflitto, anzi dolentemente rassegnato…»
«Sto per morire, Tiberio, dovrei essere felice, forse?»
«Lo so Padre, ha ragione, come sempre, ma la morte non l’ha mai spaventata…; è qualcosa di diverso: mi sembra piuttosto che abbia una grande pena nel cuore…»
Padre Rosenberg guardò il suo discepolo. Era invecchiato anche lui, e neppure tanto bene, in tutti quegli anni al suo servizio: si era ingobbito, i capelli bianchi e radi, il naso sottile e cereo.
«Non ti si riesce a nascondere nulla, vero?» Tossì più volte.
Tiberio gli riprese la mano come per dire che a lui avrebbe potuto raccontare ogni cosa.
«Vedi, mio buon Tiberio: ho 88 anni e per tutta la vita, come ben sai, sono stato un uomo pio. Ho dedicato la mia esistenza agli altri, alla Chiesa, alle opere di carità, ai diseredati…»
«Lei è stato molto di più di tutto questo, per noi…» sentì di dover dire Tiberio.
Il vecchio gli fece il gesto di farlo finire. Disse ancora:
«Ma non mi è riuscito di fare neppure un miracolo…»
Tiberio lo squadrò stupito.
«Non sarò mai Beato e Santo… Ho fatto tante cose belle, tante cose utili e giuste, ma miracoli niente. Non che non ci abbia provato, tutt’altro ma… ecco… semplicemente non sono venuti… non ero fatto per questo, dopotutto… e finiranno per dimenticarsi di me.»
«Ma sono io il Suo più grande miracolo, Padre reverendissimo…»
«Cosa stai dicendo, Tiberio?»
«Certo… non si ricorda… quarant’anni fa, in occasione della processione del Santo patrono di Lughi… io mi sono avvicinato a Lei per chiedere l’elemosina…»
«Mi ricordo benissimo, Tiberio, come se fosse ieri: io ti diedi una moneta, e poi ti presi con me nella congregazione» e tossì ancora.
«Esatto Padre, solo che io ero stato inviato…»
«Inviato?»
«Sì: la Sua vita specchiata, la Sua infinita bontà, il Suo carisma davano fastidio… e così mi hanno inviato per… per distruggerLa…» confessò Tiberio abbassando il capo.
«Vuoi dire che tu… che tu sei…»
«Sì, Padre… ero un demone, anche di prima classe. Il mio vero nome è Hezekiah. Ero anche molto bravo nel mio lavoro, ma evidentemente non a sufficienza. La Sua Parola, il Suo Esempio, la Sua Luce interiore mi hanno annichilito… e così sono diventato il Suo più umile servitore… Potrà mai perdonarmi?»
Padre Rosenberg lentamente sorrise e pose una mano sulla testa ancora abbassata di Tiberio.
«Bene, bene… mi compiaccio» disse annuendo più volte, sempre più pallido. «Allora adesso posso morire in pace.»
Chiuse gli occhi e volse il capo da un lato. Emise un rantolo sopito e spirò.
Trascorse ancora qualche minuto.
Tiberio sentì dalla mano del vecchio che non aveva più polso. Si alzò e, lentamente, si raddrizzò con la schiena; diventò imponente e maestoso, assumendo lineamenti del volto bellissimi; il corpo era di nuovo vigoroso e giovane, mentre un paio di ali robuste si dispiegarono senza far rumore a riempire tutta la stanza.
Guardò con aria di scherno il corpo senza vita nel letto e fece:
«È ora di riprendere il lavoro rimasto interrotto quarant’anni fa…»
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hat_gy

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23 pensieri su “Hezekiah

  1. Secondo me non era succube proprio per niente: ha recitato per quarant’anni la farsa del servo fedele per potergli fare commettere all’ultimo istante della vita quel peccato di superbia che gli sarebbe costato la salvezza eterna. E adesso che ha compiuto la missione per la quale era stato inviato, può rientrare in servizio.

  2. Bello, veramente! E come diceva un personaggio malvagio (non so più quale) “Et in Arcadia ego”. Il Male (o come lo vogliamo chiamare) è un parassita, per sconfiggerlo basta staccargli la spina, privandogli del suo nutrimento: odio, liti ecc.

  3. Ma è terribile che la bellezza sia associata al demone…nel mio immaginario la bontà rende belli e la cattiveria abbruttisce…comunque bel pezzo…rende bene l’idea degli istanti finali di chi fa un bilancio di vita…bel pezzo… Specie per il fatto che il prete muore sereno…ma non mi spiego come l’altro possa fare il bel gesto di farlo morire in pace se è pronto a tornare demone…

  4. Ben fatto, il racconto è di una logica cristallina. Alla fine Tiberio scopre che l’uomo che lo aveva soggiogato psicologicamente è un normale essere umano, con i suoi pregi e i suoi difetti, e quindi con la sua morte le catene che lo imprigionavano cadono: e questo spiega anche il nervosismo di Tiberio, visto che in presenza di una energia di origine divina lui sarebbe rimasto per sempre legato alla sua forma umana.

    🙂

  5. Che poi già il fatto che qualcuno si dispiaccia per non aver fatto miracoli o perché non passerà alla storia è indice di superbia e vanità: alla fine il demone ha vinto, perché quel moto di compiacimento finale non è granché in linea con le aspirazioni di santità… 🙂

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