La sindrome di Cotard

«Gli era passato, le dico, pareva tornato come prima ma adesso, adesso… aiutatelo vi prego…»
L’uomo sembrava avere più anni di quelli che mostrava, era agitato, gli occhi stanchi, il volto sfinito e senza pace. Accanto a lui un giovane allampanato: gettava occhiate rapide in giro, distratto, come se la sua presenza al pronto soccorso non lo riguardasse in nessun modo.
L’infermiera del triage non badava a loro e faceva finta apparentemente di non ascoltare. Leggeva dei documenti presi ad uno ad uno da una pila alla sua destra. Ogni tanto metteva un timbro con un colpo secco del polso e firmava nervosamente in calce. Dopo un po’ che l’uomo anziano non smetteva di parlare, lei disse direttamente al giovane evitando di fissarlo:
«Insomma lei, come mi parte di capire, crede di essere morto?»
«Come dice, scusi?» fece il ragazzo avvicinando un poco la testa verso il vetro separatore.
«Se lei crede di essere morto» continuò la donna ignorando la domanda «come pensa sia possibile che io le parli?» Rise con le labbra un po’ storte, compiaciuta per la sua logica inaffondabile.
Il ragazzo si fece ancora più serio.
«Per quel mi risulta è morta anche lei» rispose in un soffio.
La donna fece un impercettibile passo all’indietro, sorpresa. Ora fissava il giovane ed era rimasta senza parole; poi si rivolse all’uomo che accompagnava il ragazzo:
«Questo è un pronto soccorso non un reparto psichiatrico. Suo figlio ha probabilmente la sindrome di Cotard; è una malattia rara, ben inteso, ma è contemplata in letteratura e trattabile clinicamente; deve essere visitato da uno specialista… con una terapia adeguata e un’assistenza costante potrebbe persino condurre una vita quasi normale…» sentenziò con freddo distacco ritornando ai suoi documenti.
«Non sono suo figlio, ma suo nipote» ribatté il ragazzo che ora non sembrava poi così tanto giovane. «Se non fosse così come dico io, perché mai secondo lei avrei delle mani così flaccide e raggrinzite e le unghie nere… E guardi il mio cane, qui vicino a me: è morto stecchito, non lo vede? E pure mio zio lo è, che fa tanto il furbo…»
L’infermiera li squadrò con sufficienza. Quindi sbottò con sarcasmo:
«Le sue mani sono rosee e ben irrorate e non hanno nulla che non vada; il suo cane sta abbaiando e mi disturba tutta la sala d’attesa. Dal punto strettamente fisico, per quel che mi consta, lei sta benissimo… forse suo zio avrebbe bisogno di bere meno, ma questo è un altro discorso.»
«Ci pensi meglio» insistente il giovane alzando un indice indagatore nella direzione dell’infermiera. «Non le sembra da qualche giorno che il tempo non passi mai, che la sua giornata non abbia fine… che sia sempre giorno?»
«Facendo questo lavoro per otto ore di seguito e per la paga da fame che mi danno non potrebbe essere diversamente… Vorrei vedere lei…» fece la donna contrariata. «E ora uscite dalla fila per cortesia che me la state bloccando. Ho da fare…»
«Lei ha capito bene cosa intendevo dire…» incalzò il ragazzo. «È proprio sicura di non aver già avuto l’impressione che l’ora, come dire?, si sia come inceppata? Che questa scena l’abbia già vissuta diverse altre volte?»
La donna si irrigidì.
«Sì, forse, un pochino… ma cosa c’entra, vedo tanta gente. Ho solo bisogno di andarmene in vacanza, come tutti.»
«L’ho anche vista poco fa che rispondeva al cellulare… non le è sembrato di dire le stesse cose, alla stessa persona, come in un loop senza fine?»
La donna a quel punto posò il timbro e guardò prima il ragazzo poi il vecchio, come per avere una spiegazione. L’uomo anziano scosse la testa per poi volgere lo sguardo altrove, imbarazzato.
«Oddio… oddio… ma allora… ma allora…» cominciò a ripetere la donna retrocedendo e mettendosi una mano sulla guancia «e perché mai ho le mani raggrinzite e le unghie così nere?»
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19 pensieri su “La sindrome di Cotard

  1. Complimenti Briciola!
    Ma sbaglio io o stai scrivendo una serie di racconti dove il muro tra morte e vita è sempre più sottile o addirittura poroso?
    Continua così, sei l’erede naturale della vecchia serie “The Twilight Zone”!

  2. questo è bello!!

    ps: il “rovesciamento” mi riporta sempre a quell’episodio dei vecchi Confini della realtà, in cui sono tutti deformi tranne la protagonista, ma per tutta la storia si è portati a credere il contrario. E poi naturalmente, per similitudine col tuo racconto, al Sesto senso e The others

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