Dormo ancora un po’

Quando aprì gli occhi ebbe la sensazione di aver appena fatto lo stesso ennesimo sogno.
«Devo smettere di addormentarmi continuamente» si disse «è un incubo troppo penoso. Non ne posso più.» Anche se poi non se lo ricordava neppure bene; gli rimaneva sempre però appiccicata addosso la colla vischiosa dell’angoscia fobica e sprazzi di immagini sbiadite come di foto riposte in un baule. Ebbe brividi di freddo: il letto era gelido. Il silenzio attorno aveva un limite. Cinque, dieci metri o poco più. Come un perimetro di roccia. Come in una scatola di piombo. Al di là di quel velo suoni lontani e sparsi, fruscii e forse voci.
«Sì devo smettere di addormentarmi» fece scendendo dal lettino. «Mi vado a fare qualcosa di caldo, magari mi passa e poi leggo qualcosa.»
Puntò i piedi verso il basso alla ricerca delle pantofole ma il pavimento sembrava più in giù, molto più in giù. Si aggrappò al letto per non cadere. La stanza gli girava tutt’attorno, ma non alla stessa velocità; le cose più vicine erano lente rispetto a quelle in fondo.
«Ma dove sono?» si chiese sgranando gli occhi. «Questa non è casa mia, sembra un ospedale piuttosto. Cosa è successo?»
Si allontanò dal lettino facendo alcuni passi incerti. Il suo corpo nudo per un attimo si rifletté sulla lastra di alluminio della parente di fronte. Aveva un mucchio di punti di sutura sul corpo. Rimase senza fiato. Anche se quella scena l’aveva già vista e rivista si toccò i punti fatti a croce uno ad uno saggiandone con i polpastrelli il rilievo e la consistenza.
«Non mi sembra abbiano fatto un gran bel lavoro…» si disse. «Queste sono cicatrici che si vedranno. Potevano stare più attenti.»
Fece per girarsi ma le sue gambe cedettero. Rovesciò da uno scaffale un bottiglino di plastica mezzo vuoto e alcuni altri oggetti di metallici che caddero sulle piastrelle lanciando nell’aria un suono curioso.
«È meglio che ritorni a letto. Chiamerò l’infermiera perché mi porti una coperta.»
Si trascinò sino al suo lettino cercando di ricordarsi che giorno fosse e dove si potessero trovare a quell’ora Marta e Ida. Avrebbe dovuto chiamarle. Ma il cellulare dove lo aveva lasciato?
«Forse è invece meglio che dorma ancora un po’» fece stendendosi nuovamente. «Non riesco a resistere a questo sonno.»

«Hai finito per oggi?» gli chiese Walter entrando con il collega nella sala autoptica.
«Sì, tre ore fa… ehi, ma chi me l’ha spostato nuovamente?» fece Piero fermandosi di colpo e indicando il corpo sul lettino. «È la terza volta quest’oggi che mi fanno ‘sto scherzo e mi spostano il cadavere. Prima o poi cadrà e la colpa sarà mia!»
«Non guardare me, siamo stati tutto il tempo insieme…»
«E allora sarà stato quello nuovo: non ha ancora imparato come si fa… assumono tutti ormai: il primo che incontrano per strada per loro va bene.»
«Comunque ancora per poco…» osservò Walter consultando un registro.
«In che senso?»
«Hanno telefonato che stanno per venirlo a prendere. Per la cremazione.»

23 pensieri su “Dormo ancora un po’

  1. è un racconto degno di Edgar Allan Poe…denso, tagliente e terrficante, con un pizzico di macabro umorismo

  2. Non ho le parole per descrivere questo racconto, è semplice, bello ma terrificante lo stesso. Sembra che per il nostro autore, la linea tra la vita e la morte non è così nitida…

  3. Non è un gran bel ridere questo pezzo…il sonno letale sarebbe stato un giusto titolo…ciao…e al prossimo brano …un po’ più umoristico si spera!

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